LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20505-2017 proposto da:
I.S., M.S., e ME.FE., rappresentati e difesi dall’avv. GIULIANO VIVIO, e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO n. 105, presso lo studio dell’avvocato FABIO MAGNONI, rappresentato e difeso dagli avvocati CESARE CHIARINELLI, e ALESSANDRA CHIARINELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 902/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA depositata il 10/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/11/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.4.2004 L.A. evocava in giudizio Me.Fe., I.S. e M.S. innanzi il Tribunale di Rieti, lamentando che i convenuti avevano realizzato, in violazione delle distanze legali dal confine, un garage solo parzialmente interrato, rendendo praticabile la sua copertura e così realizzando illecitamente una servitù di veduta a carico del fondo dell’attrice. L’attrice invocava, quindi, il ripristino dello stato dei luoghi e la condanna dei convenuti al risarcimento del danno.
Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale, con sentenza n. 318/2009, accoglieva la domanda, condannando i predetti al ripristino ed al risarcimento del danno, quantificato in Euro 5.000.
I soccombenti interponevano appello avverso detta decisione e, nella resistenza dell’attrice, la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, n. 902/2017, rigettava il gravame.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione Me.Fe., I.S. e M.S., affidandosi ad otto motivi.
Resiste con controricorso L.A..
In prossimità dell’adunanza camerale la parte controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché la Corte di Appello avrebbe travisato le conclusioni della C.T.U. esperita nel corso del giudizio di merito, dalle quali contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito – non era emersa la prova che il manufatto realizzato dai ricorrenti fosse sporgente rispetto al piano di campagna.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e delle norme regolamentari integrative in tema di distanze legali dal confine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rimproverando alla Corte di Appello di non avere rilevato che l’ausiliario aveva misurato la sporgenza del garage rispetto ai piani della strada, della fascia di terreno confinante con la proprietà dei ricorrenti e del terreno circostante l’abitazione di questi ultimi.
Le due censure, che sono oggetto di trattazione congiunta da parte dei ricorrenti e meritano, quindi, di essere esaminate insieme, sono infondate.
Il ricorrente si duole, in sostanza, del fatto che la Corte di Appello abbia affermato, nella sentenza impugnata, che il manufatto sporgeva, rispetto al terreno, di 0,60 cm., poiché il C.T.U. aveva accertato che il piano di copertura del garage era posto, rispettivamente:
1) ad un livello inferiore, rispetto al piano della strada, di -0,05 metri;
2) ad un livello superiore, rispetto al piano del terreno confinante, di 0,20 metri;
3) ad un livello superiore, rispetto al piano del giardino, variabile tra 0,20 e 0,60 metri.
Sulla base di queste misurazioni, i ricorrenti ritengono che la Corte di merito non potesse ravvisare la sporgenza del manufatto rispetto al piano del terreno.
Il rilievo non può essere condiviso.
Come costantemente affermato da questa Corte, “la sporgenza di un manufatto dal suolo, quale requisito necessario a che lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali nel rapporto di vicinato, va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioè al livello naturale del terreno, non quindi al livello eventualmente inferiore cui si trovi un finitimo edificio realizzato con abbassamento di quel piano” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13529 del 21/12/1992, Rv. 480072; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5450 del 03/06/1998, Rv. 516044).
Si ritiene, quindi, che “ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 c.c. e ss., la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17390 del 30/08/2004, Rv. 576383, relativa ad una fattispecie in cui si discuteva dell’arretramento di una scala; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20574 del 28/09/2007, Rv. 599914).
Il principio, cui il collegio intende dare continuità, ravvisa dunque la nozione di “costruzione”, con conseguente obbligo di rispetto della normativa sulle distanze legali, in ogni manufatto che sia stabilmente collegato al suolo e non sia completamente interrato (in termini, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22086 del 22/10/2007, Rv. 600086 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25837 del 27/10/2008, Rv. 605426). Ne’ occorre che il manufatto si presenti come uno spazio chiuso, essendo sufficiente, ai fini della configurazione di una “costruzione” assoggettata alle prescrizioni di cui all’art. 873 c.c., anche una tettoia (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5934 del 14/03/2011, Rv. 616741 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5145 del 21/02/2019, Rv. 652632).
Nel caso di specie, dallo stesso ricorso risulta che il consulente tecnico aveva verificato che il punto di massima altezza del garage sporgeva, rispetto ai diversi piani delle aree confinanti, di una misura variabile da 0,20 a 0,60 cm. I ricorrenti, nel contestare l’affermazione della Corte capitolina, che aveva indicato nella propria motivazione soltanto la misura maggiore (0,60 cm.) non indicano alcun elemento istruttorio, diverso dalla consulenza tecnica, né specificano alcun passaggio di quest’ultima, dal quale emergerebbe la dimostrazione che il manufatto da loro realizzato sia completamente interrato. In base al già richiamato insegnamento di questa Corte, infatti, per poter escludere l’obbligo di rispetto della normativa sulle distanze l’immobile deve essere totalmente interrato, e dunque non deve presentare alcuna sporgenza rispetto al piano di campagna.
Va, al riguardo, dato atto che in un isolato precedente questa Corte ha escluso l’applicazione dell’art. 873 c.c., in presenza di una minima sporgenza: in particolare, con riferimento ad una superficie piana, attrezzata a campo da tennis, allineata al piano di campagna, ai plinti interrati di sostegno dei relativi pali di illuminazione e – in particolare – al “cordolo” di recinzione del campo, sporgente di 0,20 cm. dal suolo e sovrastato da rete metallica, in funzione della modesta elevazione di detta ultima struttura e della sua inidoneità ad intercettare aria e luce e formare intercapedini vietate dall’art. 873 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5956 del 01/07/1996, Rv. 498335). In quel caso, però, non essendo stato realizzato alcun volume – a differenza di quanto verificatosi nella presente fattispecie – è stato ritenuto che la minima sporgenza dal suolo di un cordolo destinato a sostenere la recinzione metallica di un campo da tennis non fosse idonea a creare alcuna intercapedine, in quanto la struttura non era atta ad intercettare aria e luce.
Va comunque segnalato che questa Corte, nelle successive decisioni, confermando quel remoto precedente, ha comunque ravvisato l’applicabilità dell’art. 873 c.c. in presenza di volumi solo parzialmente interrati (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4267 del 23/03/2001, Rv. 545123, relativa proprio ad un garage interrato parzialmente sporgente dal marciapiede).
Ed infatti, un conto è un cordolo destinato soltanto a sorreggere la rete metallica di recinzione di un campo da tennis ed altro conto è un volume interrato che sporga dal piano di campagna, sia pure di poco: nel secondo caso, infatti, la struttura e’, per sua stessa natura – trattandosi, appunto, di volume solo in parte interrato – idonea ad intercettare aria e luce, e dunque a creare intercapedini vietate ai sensi dell’art. 873 c.c.
Le censure mosse dai ricorrenti, sotto altro profilo, difettano anche di specificità, poiché in esse non si contesta il punto rispetto al quale il C.T.U. aveva operato le sue misurazioni, ma soltanto la circostanza – in sé, secondaria – che la Corte capitolina abbia indicato, nella motivazione della sentenza impugnata, soltanto la sporgenza maggiore riscontrata dall’ausiliario (0,60 cm.), senza dare atto dei diversi rilievi eseguiti con riferimento ai diversi piani circostanti il garage di cui è causa. I ricorrenti, in altri termini, non contestano che il C.T.U. abbia eseguito le sue misurazioni prendendo a riferimento piani diversi da quello originario di campagna, coincidente con il cd. “piano di posa” dell’edificio – che, per giurisprudenza costante, costituisce l’unico riferimento rispetto al quale dev’essere apprezzata la sporgenza del manufatto (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6058 del 17/03/2006, Rv. 587801; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5450 del 03/06/1998, Rv. 516044) – ma si dolgono del fatto che il giudice di merito non abbia tenuto conto di tutte le misurazioni svolte dall’ausiliario. Nel proporre tale censura, tuttavia, i ricorrenti tralasciano di considerare due aspetti fondamentali:
– da un lato che, proprio in base ai calcoli del C.T.U., la struttura di cui è causa risultava sporgente tanto rispetto al giardino circostante la loro abitazione, di una quota variabile tra 0,20 e 0,60 cm., che rispetto al piano della proprietà confinante, di una quota di 0,20 cm.: essa, pertanto, non poteva comunque essere considerate come totalmente interrata;
– dall’altro lato, che – in ogni caso – in presenza di costruzioni realizzate con dislivello, ovvero su un suolo inclinato, il piano di posa dell’edificio – corrispondente al piano di campagna – “…va determinato calcolando la media eventualmente pondenale delle misure dei vari punti del perimetro esterno, ottenuta abbassando, proporzionalmente alle superficie interessate, le quote più alte, in modo da innalzare, sempre in proporzione, le più basse, e ciò mediante la distribuzione di tutto il terreno, con esatto compenso di scavi e riporti, sino ad ottenere la anzidetta media” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12129 del 17/05/2018, Rv. 648833).
I ricorrenti, pertanto, non potevano limitarsi alla mera critica del fatto che la Corte di Appello avesse indicato, nella sua motivazione, solo una delle diverse sporgenze verificate dal C.T.U., poiché, essendo sufficiente anche un solo punto di sporgenza per escludere la natura totalmente interrata dell’edificio, l’argomento non assume valenza decisiva. Essi, piuttosto, avrebbero dovuto argomentare specificamente in relazione alla posizione del piano di campagna, o di posa dell’edificio, formulando una precisa censura relativa all’erroneità del criterio di calcolo utilizzato dall’ausiliario, che tuttavia, in concreto, non risulta proposta.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 873 c.c. e delle norme regolamentari integrative delle distanze legali dal confine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, perché il giudice di merito avrebbe dovuto considerare che l’intervento realizzato dai ricorrenti non integrava una nuova costruzione, ma una mera ricostruzione di un precedente manufatto.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto – confermando, sul punto, la statuizione del Tribunale – che il manufatto di cui è causa integrasse nuova costruzione, non soltanto in relazione alla sua sporgenza dal terreno, ma soprattutto in conseguenza della modificazione della sua copertura, che era stata trasformata in terrazza praticabile. La doglianza non attinge questa seconda valutazione di fatto, che da un lato non è in sé stessa utilmente censurabile in questa sede, e dall’altro lato è idonea a giustificare la configurazione di una “costruzione”, essendo a tal fine sufficiente qualsiasi modificazione di una preesistente struttura che la renda nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5741 del 03/03/2008, Rv. 602211; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20786 del 25/09/2006, Rv. 592151, relativa alla modifica del tetto, e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9637 del 27/04/2006, Rv. 588984, secondo cui si configura costruzione in presenza di una qualsiasi modifica della superficie, del volume, della sagoma o dell’ingombro dell’edificio).
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la perplessità e l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (recte, n. 5), perché la Corte di Appello avrebbe configurato una nuova costruzione non già facendo riferimento alla sporgenza del manufatto dal piano di campagna, bensì per effetto della modifica della sua copertura, resa calpestabile.
Con il quinto motivo lamentano invece la falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e delle norme regolamentari integrative in materia di distanze dal confine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sempre per le medesime ragioni.
Ed ancora, con il sesto motivo, si dolgono della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte capitolina, valorizzando l’intervenuta modificazione della copertura del garage, avrebbe in concreto pronunciato su una domanda non proposta dall’originaria parte attrice.
Le tre censure, trattate unitamente dalla parte ricorrente, sono suscettibili di esame congiunto, e sono infondate.
Con esse, infatti, i ricorrenti contestano la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui quest’ultima ha ravvisato la realizzazione di una nuova costruzione in relazione alla modifica della copertura del garage, sul presupposto che, in tal modo, sarebbe stata resa una pronuncia su una domanda mai proposta dall’attrice, appellata, la quale aveva invocato la tutela delle distanze dal confine in riferimento alla realizzazione dell’intero manufatto, senza dunque riferirsi specificamente alla modificazione della sua copertura.
In realtà, tanto dalla sentenza che dal ricorso emerge che la L. aveva invocato il rispetto delle distanze legali in relazione all’intero manufatto realizzato dagli odierni ricorrenti. Il giudice di merito, interpretando la domanda, ha ravvisato la novità della costruzione, valorizzando la modificazione della sua copertura. Poiché la domanda originaria ineriva all’intero fabbricato, non sussiste alcun profilo di ultrapetizione, poiché la Corte distrettuale non ha fatto altro che statuire sulla domanda, ritenendola, in particolare, fondata in relazione ad uno specifico aspetto del manufatto di cui è causa. Aspetto che, peraltro, gli odierni ricorrenti non contestano neppure: in nessuna parte dei motivi in esame, infatti, la parte ricorrente contesta di aver effettivamente modificato la copertura del garage di cui è causa, rendendola praticabile, nei termini ricostruiti dal giudice di merito.
Con il settimo e l’ottavo motivo, i ricorrenti lamentano, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 905 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (settimo motivo) e l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ottavo motivo) perché il giudice di merito avrebbe accertato l’esistenza di una servitù illecita di veduta a carico del fondo della L., senza considerare che in realtà non sussisteva alcuna possibilità di inspicere e prospicere, posto che sul confine tra le due proprietà vi è una rete metallica dietro la quale, nel fondo della L., è collocata una fascia di terreno fittamente piantumata.
Le due ultime censure sono assorbite dal rigetto dei precedenti motivi di ricorso, cui consegue la stabilità della statuizione del giudice di merito con la quale è stata accertata la violazione delle distanze legali e disposta l’eliminazione della parte non interrata della struttura di cui è causa. Per effetto di tale rimozione, infatti, qualsiasi possibilità di inspicere e prospicere in alienum dal nuovo terrazzo realizzato sulla copertura del garage degli odierni ricorrenti è inevitabilmente preclusa in radice.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2021