Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5076 del 25/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18038-2019 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI CONSOLI, 62, presso lo studio dell’avvocato ENRICA INGHILLERI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 6116/2018 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona con decreto in data 2/5/2019, ha rigettato il ricorso proposto da N.A. nato in ***** il *****, volto, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto dello status di rifugiato, alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona di essere fuggito dal proprio paese in quanto era entrato a far parte di una confraternita che voleva costringerlo ad uccidere ed al suo rifiuto lo aveva minacciato di morte.

Avverso il provvedimento del Tribunale di Ancona il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 A Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B)e C); del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale non aveva ritenuto l’esistenza di un pericolo di danno grave alla persona che giustificava il riconoscimento della protezione sussidiaria nonchè l’assenza di elementi personali riconducibili ai requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale non aveva ravvisato i presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

Il ricorso è inammissibile in ordine a tutti i motivi proposti i quali contengono tutta una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento.

La sentenza impugnata ritiene che le dichiarazioni del ricorrente e la versione dei fatti alla luce delle dichiarazioni non sia attendibile.

A tal riguardo occorre anzitutto osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al citato D.Lgs. art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone tuttavia al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incoerente o incredibile anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett.c) e attendibilità (lette) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Nella fattispecie il giudice di merito ha escluso, per le ragioni anzidette, la attendibilità del racconto, per cui non vi era alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato ó la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, prime due lettere. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.

Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio.

L’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dal Tribunale il quale ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria officiosa che incombe sul giudice, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e art. 27, comma 1 bis, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, avendo così ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona nei casi previsti dall’art. 14, lett. C) e cioè “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Il secondo motivo di ricorso relativo in particolare alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria è inammissibile in quanto si limita a richiamare genericamente il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e la sua violazione senza indicare le ragioni ed i punti della motivazione nei quali la sentenza impugnata sarebbe incorsa.

Il giudice anche avvalendosi dei poteri di cooperazione istruttoria officiosa ha escluso con accertamento di fatto insindacabile in questa sede l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass.19/2/2019 n. 4890; n. 29459 del 2019).

Il ricorso proposto deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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