LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 326-2020 proposto da:
C.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato VALERIO PANICHELLI, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.E.D. COOP. A R.L.;
– intimata –
avverso la SENTENZA n. 3212/2019 DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 14/5/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/1/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la sentenza del tribunale che, in data 21/2/2018, aveva rigettato l’opposizione proposta da C.A. nei confronti del decreto che gli aveva ingiunto il pagamento, in favore della C.E.D. coop. a r.l., della somma di Euro 7.837,01, oltre interessi e spese, quale compenso per i servizi di elaborazione dati ed accessori che la stessa aveva eseguito in suo favore tra gennaio 2006 e dicembre 2010.
La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, innanzitutto, che il credito della società appellata era stato ampiamente provato, risultando, per contro, del tutto infondate le eccezioni di prescrizione sollevate dall’opponente a norma dell’art. 2955 c.c., n. 2, ed, in subordine, dell’art. 2956 c.c., “non applicandosi la prescrizione presuntiva alla fattispecie in trattazione in quanto soggetta alla prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 c.c.”, ed, in secondo luogo, che priva di pregio era la contestazione relativa alla richiesta di interessi duplicati o errati nel calcolo, laddove, in realtà, “nessuna prova viene fornita circa l’erroneità del calcolo degli interessi applicati che, a ben vedere, risultano interessi dovuti e calcolati D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 4, … quali interessi che per legge si applicano al rapporto in trattazione”.
C.A., con ricorso notificato il 16/12/2019, ha chiesto la cassazione della sentenza.
La C.E.D. coop. a r.l. è rimasta intimata.
Il ricorrente ha depositato breve memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o l’errata applicazione di norme di diritto, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la contestazione concernente l’erronea richiesta degli interessi, omettendo, tuttavia, di considerare che la società istante non aveva provveduto ad un’esplicita costituzione in mora che non è necessaria per la maturazione degli interessi moratori di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, solo dal 1 gennaio 2013, quando è entrata in vigore la modifica apportata dal D.Lgs. n. 192 del 2012, laddove, per le somme richieste in data antecedente a tale modifica, la maturazione degli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 cit., avrebbe richiesto un’esplicita costituzione in mora.
1.2. La società istante, peraltro, ha aggiunto il ricorrente, ha computato direttamente in fattura tali interessi i quali, pertanto, al pari dell’acconto ricevuto nel 2008, hanno concorso a determinare la somma finale sulla quale sono stati, poi, calcolati, una seconda volta, gli interessi legali di cui al decreto ingiuntivo.
1.3. Peraltro, ha aggiunto il ricorrente, dalle risultanze istruttorie emerge che, dal maggio del 2010, quando il rapporto si è interrotto, la società non ha più svolto alcuna attività in favore dello stesso e che, pertanto, il compenso pari ad Euro 1.400,00, richiesto per tale periodo, non è dovuto.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Intanto, la Corte rileva che la sentenza impugnata non tratta in alcun modo la questione della necessità della costituzione in mora del debitore ai fini della decorrenza degli interessi moratori previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002. Ed è noto che, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità della censura, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto (cfr. Cass. n. 20694 del 2018): ciò che, nella specie, non è accaduto.
2.3. Per il resto, la Corte rileva che il ricorrente, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito: lì dove, in particolare, hanno riconosciuto alla società istante il diritto al pagamento del compenso per un’attività che dal maggio del 2010 non è stata più svolta ed hanno escluso la duplicazione degli interessi ingiunti con il decreto opposto. Così facendo, però, il ricorrente trascura di considerare che la valutazione delle prove raccolte costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio (nella specie, neppure invocato) consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
3. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o l’errata applicazione di norme di diritto, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha erroneamente rigettato le eccezioni di prescrizione che l’opponente aveva sollevato, in via principale, a norma dell’art. 2955 c.c., n. 2, con riferimento ai crediti anteriori al 10/1/2010, ed, in via subordinata, a norma dell’art. 2956 c.c., con riguardo alle somme richieste per il periodo antecedente al 10/10/2008, senza, tuttavia, considerare che il rapporto non è assoggettato a prescrizione decennale ma a quella triennale.
4. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, si limita a censurare il rigetto, che la corte d’appello ha deciso, delle eccezioni di prescrizione sollevate a norma dell’art. 2955 c.c., n. 2, ed, in subordine, dell’art. 2956 c.c., limitandosi a contrapporre la propria soluzione, e cioè che il credito azionato è assoggettato a prescrizione triennale, a quella sostenuta dalla corte territoriale, secondo la quale la prescrizione è decennale a norma dell’art. 2946 c.c.. Ed è invece noto che, per il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, ogni motivo richiede, oltre all’indicazione della rubrica, alla puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto e all’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata, anche l’analitica precisazione – nella specie, invece, del tutto mancanti – delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (Cass. n. 17224 del 2020).
5. Il ricorso, per l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, a sua volta, del tutto inammissibile: e come tale dev’essere dichiarato.
6. Nulla per le spese di lite, in difetto di controricorso da parte della società intimata.
7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 15 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021