Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.5766 del 03/03/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2893-2017 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO MAURIELLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARANO DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI TOR FIORENZA 56, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI GIORGIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8071/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 23/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

RILEVATO

che:

1. P.A. ricorre, con due motivi, nei confronti del Comune di Marano di Napoli per la cassazione della sentenza n. 8071/2016, con la quale, in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento contenente la liquidazione dell’ICI per l’anno di imposta 2008, in relazione ad immobile accatastato in zona C/9, di cui la ricorrente risultava comproprietaria, la CTR della Campania, nel confermare la sentenza del giudice di primo grado, rigettava l’appello proposto dalla contribuente, sul rilievo che il giudicato esterno non poteva rilevare rispetto ad annualità diverse della medesima imposta, giacchè gli elementi di fatto che avevano originato l’imposizione si atteggiavano in maniera diversa per ciascun periodo di imposta; ritenendo, peraltro adeguata la motivazione dell’atto impositivo.

P.A. ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza, lamentando in particolare che il Comune avrebbe dovuto rivedere la destinazione dell’area all’edificazione pubblica popolare, trattandosi di area sottoposta a vincolo archeologico; producendo sentenza della CTR della Campania n, 4731/2017, la quale aveva respinto l’appello del Comune, rilevando la sussistenza del giudicato esterno con riferimento ad altre annualità, senza indicare, peraltro, la sentenza che avrebbe annullato gli altri avvisi del Comune con riferimento alle diverse annualità ICI.

Resiste l’ente comunale con controricorso.

CONSIDERATO

che:

2. Preliminarmente, occorre premettere che la procura è stata validamente conferita al difensore con riferimento al presente giudizio di cassazione.

In particolare, la procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita in epoca anteriore alla notificazione dello stesso, investire espressamente il difensore del potere di proporre il ricorso suddetto ed essere rilasciata in data successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione. Pertanto, se apposta a margine del ricorso, tali requisiti si desumono, rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione che, nell’atto a margine del quale essa è apposta, si fa della sentenza gravata, restando, invece, irrilevante che la stessa sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità. (v. S.U.. 13431 del 2014; Cass. n. 24422/2016; Cass. n. 8741/2017; n. 18834 del 28/07/2017).

3. Con il primo motivo rubricato ” violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 324 c.p.c., – contrasto con giudicati esterni pregressi e successivi alla decisione impugnata – sussistenza della violazione del principio del ne bis in idem – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4", la ricorrente censura la decisione dei giudici di appello per aver disatteso l’eccezione di giudicato esterno, nonostante che per gli anni 2003-2004, 2006, 2009 e per il medesimo anno di imposta 2008, oggetto del presente ricorso, la CTP di Napoli e la CTR della Campania avessero già deciso con sentenze passate in giudicato, annullando i relativi avvisi con la seguente medesima motivazione ” tenuto conto della totale assenza di motivazione, deve presumersi che in nessun conto si sia tenuto della presenza di vincoli archeologici di cui alla L. n. 1089 del 1939, debitamente documentato dalla contribuente, che oltre a costituire un vincolo alla libera utilizzazione del cespite, ne impedirà probabilmente la futura edificazione”.

4. Con la seconda censura, che prospetta “violazione della L. n. 296 del 2006, comma 161, del D.T.L. n. 3272001, art. 32, art. 6 che modifica con n. 2 bis, D.T.L. n. 504 del 1992, art. 11, – L. n. 212 del 2000, L. 241 – art. 3 – apparente motivazione – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., omessa valutazione delle prove ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione inesistente, nonchè per omesso esame del contenuto delle delibere richiamate nell’avviso impugnato, in base ai quali il decidente avrebbe potuto accertare che la motivazione utilizzata per l’imposizione Ici dell’anno 2008 era del tutto identica alle precedenti; l’esame delle delibere avrebbe convinto il giudicante dell’inesistenza della perizia menzionata dall’ente comunale e, soprattutto, della presenza sull’area di sua proprietà di un vincolo archeologico, non valutato dal Comune di Marano di Napoli, in conseguenza del quale, l’inserimento dell’area nel PRG non costituisce elemento sufficiente a determinare l’imposizione tributaria.

Afferma, in particolare la contribuente, che il vincolo menzionato rende l’area in oggetto equiparabile al fondo agricolo, richiamando al riguardo copiosa giurisprudenza in materia di espropriazione.

Deduce, inoltre, la ricorrente l’omessa valutazione degli elementi probatori forniti dalla stessa nel giudizio di merito, come la dichiarazione di successione della de cuius D.M.T., dalla quale si evince un valore dichiarato inferiore a quello accertato.

5. La prima censura è priva di pregio.

In ordine all’applicabilità ai rapporti di durata, in materia tributaria, dell’efficacia del giudicato esterno, con riguardo al medesimo tributo, in relazione ad un diverso periodo di imposta, questa Corte, già nella sentenza a sezioni unite, n. 13916 del 16/06/2006 ha affermato il seguente principio di diritto: “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.

Peraltro, si rileva che qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.

Questa Corte ha precisato che “tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacchè anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato”.

Si evidenzia quindi che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (Cass. Civ., 20029/2011; Cass., 9 ottobre 2013, n. 22941 e Cass., 14353/2017).

5.1 Ne discende che la diversità degli atti impositivi impugnati, riferiti ad annualità diverse, non è da sola sufficiente, come affermato dai giudici regionali, ad escludere l’effetto preclusivo del giudicato tra le parti, in quanto il principio ritraibile dall’art. 2909 c.c., opera nella materia de qua entro i limiti oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della “causa petendi”, intesa come titolo dell’azione proposta, e del bene della vita che ne forma l’oggetto (“petitum” mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato (“petitum” immediato), ed è proprio su tali profili che l’attenzione dei giudici di appello si sarebbe dovuta concentrare, al fine di far emergere l’identità o meno dell’oggetto dei giudizi medesimi, riferita al rapporto tributario sottostante.

Questa impostazione è stata innumerevoli volte ribadita, ma anche puntualizzata, nel senso che (Cass. n. 4832/15): “in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicchè è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale”(così Cass. nn. 21824/18 e 30033/18; n. 1300 del 19/01/2018, conforme Sez. 5, Sentenza n. 18923 del 16/09/2011).

5.2 Nel caso di specie, le sentenze definitive invocate per ottenere la definizione dei rapporti controversi, relative a diverse annualità di imposta, hanno concluso per l’annullamento degli atti impositivi opposti, relativi ai medesimi cespiti di proprietà P., a causa del loro deficit motivazionale. In particolare, su quest’ultimo punto, la Corte ha già esaminato analoga questione, osservando che “l’annullamento dell’avviso di accertamento per un vizio di motivazione è una decisione che pur se passata in giudicato non estende i suoi effetti ad altre controversie, anche se tra le stesse parti, che riguardano il medesimo rapporto tributario, non involgendo il merito della pretesa tributaria (in arg. Cass. sez. un. 13916/2006) e pertanto non si crea contrasto con il giudicato -di merito-già intervenuto tra l’ente impositore e la comproprietaria” (Cass. 23051/2019; n. 34656 del 30/12/2019; n. 37/2019).

Il giudicato esterno incentra la sua potenziale capacità espansiva in funzione regolamentare solo su quegli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile sulla disciplina degli altri elementi della fattispecie esaminata, con la conseguenza che la sentenza che risolva la controversia sotto il profilo formale dell’atto opposto (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18907 del 16/09/2011; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20029 del 30/09/2011) non può precludere l’esame del merito delle controversie che attengono alla medesima questione, riferita ad annualità di imposta diverse.

Ciò in quanto solo l’accertamento su questioni di fatto e di diritto definito con sentenza passata in giudicato può precludere il riesame dell’identico punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo (v. Cass. n. 11600/2018).

In un caso simile, questa Corte ha escluso l’efficacia esterna di un giudicato di annullamento di un avviso di rettifica, privo di adeguata motivazione in altra controversia relativa ad un avviso, derivante dal medesimo verbale di constatazione, ma avente ad oggetto diversa annualità dello stesso tributo, in quanto il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i principi di diritto che ne costituiscono il fondamento(Cass. n. 12111/2020; Cass. n. 1837/2014).

5.3 Orbene, facendo applicazione dei superiori principi, ben sedimentati nella giurisprudenza di questa Corte, v’è da osservare che la peculiarità della fattispecie sta nel fatto che le sentenze della CTP di Napoli e della CTR della Campania, passate in giudicato, hanno acclarato l’illegittimità dell’atto impositivo con riguardo a diverse annualità, facendo esplicito riferimento per un verso ad un deficit di motivazione, correlato all’an ed al quantum della pretesa e, per altro verso, alla presunzione – desumibile dal deficit motivazionale – che l’ente comunale avesse omesso di valutare la dedotta presenza di vincoli archeologici (che potrebbero costituire, per le decisioni citate, ostacolo alla libera utilizzazione del cespite). Ora, è ben evidente che siffatti accertamenti operati dal giudice di merito con riguardo agli anni di imposta sopra indicati non possono estendersi rispetto all’annualità 2008, proprio perchè collegati ad emergenze fattuali variabili (adeguata o inidonea motivazione dell’atto impositivo avente ad oggetto quegli anni di imposta) che non consentono, dunque, di traslare le valutazioni operate da quei giudici dall’annualità per la quale si è formato il giudicato (v. anche Cass. n. 25516 del 10/10/2019).

Difatti, le sentenze definitive indicate dalla ricorrente, non hanno escluso l’edificabilità dell’area, ma hanno solo evidenziato una carenza motivazionale degli atti opposti rispetto alla prospettata rilevanza di un vincolo archeologico che avrebbe potuto incidere sulla quantificazione del tributo.

Anche le ultime decisioni allegate con le memorie difensive, non hanno valutato il merito delle questioni, ritenendo la relativa valutazione preclusa dal giudicato formatosi in relazione ad altre annualità del medesimo rapporto, con la conseguenza che esse non hanno l’attitudine ad acquisire la valenza di cosa giudicata, giacchè l’autorità del giudicato non si estende a tutto ciò che il Giudice possa avere affermato od esposto nelle argomentazioni di una qualsiasi sentenza, ma è circoscritta ai fatti, alle situazioni o ai rapporti, che abbiano costituito oggetto di deliberazione e di pronuncia da parte del Giudice stesso, in una sentenza finale di merito. 6.La seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità a causa della commistione di motivi eterogenei nell’unitario mezzo di impugnazione, che deduce, in modo cumulativo e promiscuo, i vizi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, peraltro in relazione sia a disposizioni ben individuate sia ad altre imprecisate di cui sono riportati solo il numero (e non anche la natura e l’anno della norma primaria) – e di omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Secondo giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte, non è consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge ed error in procedendo), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez.3, 23/6/2017 n. 15651; Sez.6, 4/12/2014 n. 25722; Sez. 2, 31/1/2013 n. 2299; Sez.3, 29/5/2012 n. 8551; Sez. l, 23/9/2011 n. 19443; Sez.5, 29/2/2008 n. 5471).

6.1 Parimenti la censura che attiene all’omesso esame delle delibere è inammissibile per difetto di specificità, non avendo la ricorrente assolto l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento(delibere comunali) nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. n. 13625/2019; n. 18506 del 2006).

6.2 In ogni caso, vale osservare come la sentenza impugnata valorizza nel suo argomentare – proprio il riferimento alle delibere comunali nn. 78 e 79 del 2008, che indicano i valori unitari al mq per le aree fabbricabili e individuano l’operazione di adeguamento al fine di avvicinarsi il più possibile al valore reale di mercato; argomentazioni che escludono l’assoluta mancanza di motivazione ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, denunciata dalla contribuente.

Si è dunque ben lontani dall’ipotesi di mancanza di motivazione, ovvero di motivazione soltanto apparente, posto che dalla sentenza in esame ancorchè estremamente sintetica – è chiaramente enucleabile la ratio decidendi adottata nella risoluzione del caso concreto. Ratio decidendi che, d’altra parte, la ricorrente ha potuto cogliere in tutta la sua sostanza, così da farla oggetto di puntuale e completa censura con il secondo motivo di ricorso.

6.3 Passando all’esame della questione ulteriormente riproposta in questa sede, concernente l’inedificabilità dell’area, sulla quale le sentenze definitive relative ad annualità di imposta diverse non si sono in realtà pronunciate, vale osservare che quanto alla edificabilità del terreno, l’indirizzo ampiamente condiviso da questa Corte sostiene che: “perle aree ricomprese nel piano regolatore generale, l’edificabilità può essere esclusa solo da vincoli assoluti, mentre vincoli specifici possono incidere sul valore venale dell’immobile, da stimare in base alla maggiore o minore attuabilità delle sue potenzialità edificatorie. (In applicazione del principio, la S. C. ha rigettato il motivo di ricorso con cui si propugnava l’applicabilità del principio della indeficabilità di fatto del terreno oggetto di rettifica)”(Cass. n. 31048 del 2017; Cass. n. 14763 del 2015; Cass. n. 23814 del 2016). Non è contestato, per essere stato espressamente precisato dalla medesima ricorrente che il terreno oggetto di accertamento è stato inserito nel P.R.G., sicchè tale circostanza incide senz’altro nella determinazione del valore venale del bene immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, che non viene meno per il fatto che il bene stesso sia assoggettato a vincolo archeologico (Cass. n. 7513/2016; n. 16749/2020, in motiv). L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius aedificandi, o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo.

In particolare, con riferimento alla dedotta mancanza del piano di lottizzazione, questa Corte ha chiarito, con indirizzo condiviso, che: ” l’edificabilità di un’area è desumibile dalla qualificazione attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, anche se non ancora approvato dalla Regione ovvero in mancanza di strumenti urbanistici attuativi, dovendosi ritenere che l’avviso del procedimento di trasformazione urbanistica sia sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, senza che assumano alcun rilievo eventuali vicende successive incidenti sulla sua edificabilità, quali la mancata approvazione o la modificazione dello strumento urbanistico”. L’impossibilità di distinguere, ai fini dell’inibizione del potere di accertamento, tra zone già urbanizzate e zone in cui l’edificabilità è condizionata dall’adozione di piani particolareggiati o dei piani di lottizzazione non impedisce, peraltro, di tenere conto, nella determinazione del valore venale dell’immobile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione” (Cass. n. 11182 del 2014; n. 17008/2020).

Per contro, alcuna prova è stata fornita dalla ricorrente in ordine alla allegata insistenza sul fondo de quo di un vincolo archeologico incidente sul valore dell’area o addirittura tale da escluderne l’edificabilità, con la conseguente reiezione di questi ulteriori profili di censura.

Infine, la contestazione della classificazione delle aree perchè destinate a frutteto, circostanza che avrebbe dovuto indurre il Comune a rivedere lo strumento urbanistico, risulta destituita di fondamento, in quanto non è l’utilizzo del fondo che ne determina la classificazione, bensì, come già chiarito la destinazione impressa dal Piano regolatore che avrebbe dovuto essere impugnato nei termini dalla contribuente.

6. In conclusione, il primo motivo del ricorso deve essere respinto, dichiarato inammissibile il secondo.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovute.

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la contribuente alla refusione delle spese di lite del presente giudizio sostenute dal Comune di Marano di Napoli che liquida in Euro 1.500,00, oltre rimborso forfettario, iva e c.p.a come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovute.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione della corte di cassazione, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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