Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.8037 del 23/03/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11358-2014 proposto da:

S.S., S.A., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE G. MAZZINI 41, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PIERI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVAMBATTISTA COVIELLO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLE FINANZE – AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 211/2013 della COMM.TRIB.REG.LAZIO, depositata il 20/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

RILEVATO

CHE:

1. M.M. impugnava la cartella esattoriale – notificata il 27 marzo 2008 – relativa al recupero dell’imposta di registro concernente un atto di trasferimento immobiliare di terreni siti nel Comune di Trevi del 1986. Avverso il predetto atto impositivo la contribuente proponeva ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 18 dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma al fine di ottenere l’annullamento dell’atto impositivo, eccependo la prescrizione della pretesa tributaria. La CTP di Roma accoglieva il ricorso. Proposto appello avverso detta pronuncia da parte dell’Agenzia delle Entrate, la CTR del Lazio con sentenza n. 211/14/13 depositata il 20.03.2013 e non notificata accoglieva il gravame.

S.S. e A. – quali eredi di M.M., deceduta il 16 dicembre 2011 – impugnavano la predetta sentenza della CTR del Lazio sulla base di un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza.

CONSIDERATO

CHE:

2.Con un unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 49 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, deducendo la nullità del giudizio di appello e della notificazione dell’atto di appello, con conseguente nullità della sentenza; per avere i giudici territoriali omesso di valutare la regolare instaurazione del contraddittorio, essendo la contribuente rimasta contumace nel giudizio di gravame.

In particolare, i ricorrenti eccepiscono la nullità delle operazioni notificatorie dell’atto di appello avvenute presso il domicilio eletto della defunta e non presso gli eredi, benchè la M. fosse deceduta nel dicembre del 2011 e la sentenza della CTP di Roma pubblicata in data 14 febbraio 2011.

2. La censura è priva di pregio.

3. Nel codice di rito l’incidenza di uno degli eventi previsti nell’art. 299 (morte o perdita di capacità di una delle parti di stare in giudizio o del suo rappresentante legale o cessazione di tale rappresentanza) non è regolata in modo unitario, ma ha discipline diversificate, con varietà d’effetti, a seconda che l’evento si verifichi in una o altra fase di quel rapporto.

Il legislatore, infatti, non ha previsto una specifica disciplina per le ipotesi che sono oggetto di questa indagine, ossia non stabilisce se l’impugnazione possa essere notificata alla parte deceduta presso il suo procuratore nel precedente grado di giudizio (il caso che specificamente interessa la causa in trattazione); e, nemmeno, se alla parte deceduta possa essere validamente notificata la sentenza presso il suo difensore, al fine di far decorre il termine breve per impugnare; ovvero se il procuratore della parte deceduta o divenuta incapace sia legittimato a proporre l’impugnazione per la parte stessa.

4. La scansione normativa (riepilogata dall’intervento risolutore delle Sezioni Unite n. 15295/2014) con riferimento ad uno degli eventi di cui all’art. 299 c.p.c., è la seguente: 1. Se l’evento si è verificato prima della costituzione, produce l’interruzione del processo, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione (art. 299 c.p.c., comma 1); 2. Se l’evento si avvera nei riguardi della parte costituita a mezzo di procuratore, la dichiarazione del procuratore in udienza o notifica alle altre parti determina l’interruzione del processo dal momento della dichiarazione o della notificazione (art. 300 c.p.c., commi 1 e 2); 3. Se l’evento si avvera nei riguardi della parte costituitasi personalmente ne consegue l’interruzione del processo dal momento dell’evento (art. 300, co,3, c.p.c.); 4. Se l’evento si avvera nei riguardi della parte dichiarata contumace, l’interruzione del processo si verifica dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall’altra parte o è notificato o è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti dell’art. 292 c.p.c. (art. 300 c.p.c., comma 4, nella novella di cui alla L. n. 69 del 2009);

5. l’evento che si avvera o è notificato dopo la chiusura della discussione è irrilevante sul processo, se non nel caso di riapertura dell’istruzione (art. 300 c.p.c., comma 5), tuttavia in quest’ipotesi la notificazione della sentenza “si può fare… a coloro ai quali spetta stare in giudizio”, cioè agli eredi della parte defunta, individualmente a ciascuno di essi, oppure collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto (art. 286 c.p.c. in relazione all’art. 303 c.p.c.).

6. Se la parte è deceduta dopo la notificazione della sentenza, l’impugnazione può essere notificata collettivamente ed impersonalmente agli eredi nella residenza dichiarata dalla parte o nel domicilio eletto nella circoscrizione del giudice che ha pronunciato la sentenza, se nell’atto di notificazione della sentenza è contenuta quella dichiarazione o quella elezione; altrimenti, l’impugnazione può essere notificata presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio (art. 330 c.p.c.).

7. Se l’evento è sopravvenuto durante la decorrenza del termine breve per impugnare si verifica l’interruzione del termine e la nuova decorrenza dal giorno in cui la notificazione della sentenza va rinnovata (art. 328 c.p.c., comma 1): la rinnovazione “può essere fatta agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio del defunto” (art. 328 c.p.c., comma 2);

8. Se l’evento si è verificato dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, il termine lungo per impugnare (art. 327 c.p.c.) è prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell’evento (art. 328 c.p.c., comma 3).

La soluzione della questione può inferirsi dal disposto dell’art. 300 c.p.c., secondo il quale è indispensabile ed insostituibile la comunicazione formale dell’evento da effettuarsi dal procuratore della parte deceduta o che ha perduto la capacità di stare in giudizio(non avendo perciò rilevanza la conoscenza che dell’evento le altre parti abbiano aliunde), di guisa che l’effetto interruttivo del processo è prodotto da una fattispecie complessa costituita dal verificarsi dell’evento e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti. Dichiarazione o notificazione che il procuratore della parte defunta o non più capace, ed egli soltanto (con esclusione, perciò degli eredi o del rappresentante legale della parte), può, discrezionalmente, fare o non fare, e fare nel momento che ritiene più opportuno, al fine di provocare, sul presupposto dell’effettivo verificarsi dell’evento, l’effetto giuridico dell’interruzione del processo.

In altri termini, l’interruzione del processo non si produce automaticamente, quale effetto ricollegato direttamente ed esclusivamente alla morte o alla perdita della capacità della parte: finchè non vi sia la comunicazione formale del procuratore della parte defunta o divenuta incapace – che ha natura negoziale e non di mera scienza come desumibile dalla tassatività delle forme di manifestazione dell’evento di cui all’art. 300 c.p.c. e dal diritto potere del difensore di procurare l’interruzione – proseguendo l’iter processuale nello stato anteriore, come se la parte fosse ancora in vita o continuasse ad essere capace, si verifica il fenomeno dell’ultrattività della procura ad litem, nonostante il verificarsi dell’evento che, per la norma dell’art. 1722 c.c., n. 4, avrebbe dovuto procurarne l’estinzione.

E’ per questo che dottrina e giurisprudenza hanno attribuito al difensore la figura di dominus litis, discutendo di sopravvivenza della rappresentanza giudiziale alla morte del mandante ed ipotizzando talvolta una presunzione di conferma tacita del mandato da parte del successore della parte deceduta o di colui che assume la rappresentanza legale della parte divenuta incapace, destinata a venir meno soltanto con la comunicazione dell’intervenuto evento. Di qui il potere del difensore di proseguire il processo nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo, insuscettibile di ledere il contraddittorio e di pregiudicare o menomare in qualche modo l’esercizio dell’attività tecnica difensiva, che è di esclusiva competenza del procuratore, sul quale graverà, se mai, l’onere (tenuto conto della personale responsabilità di cui si faceva cenno) di dare notizia dell’esistenza e pendenza del processo ai legittimati alla prosecuzione del giudizio per concordare con questi la determinazione di interrompere o meno il processo. Il principio di ultrattività del mandato ad litem non costituisce affatto un’eccezione rispetto alle regole civilistiche concernenti il mandato, bensì segue una logica insita nel sistema sostanziale. L’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, dunque, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Nella logica costituzionale delle “pari condizioni processuali”, se colui che è detentore della conoscenza di quell’evento (il difensore) e decida di non svelarlo al giudice ed alla controparte, non può successivamente giovarsi di quella scelta (che potrebbe essere addirittura concordata con i chiamati all’eredità), ottenendo che tutti gli atti rivolti al defunto e presso di lui notificati siano, in buona sostanza ed a prescindere dalle categorie giuridiche, travolti dalla sanzione della nullità.

In conclusione: “In caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonchè in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione”. (vedi Cass. S.U. 4/7/2014 n. 15295, cui adde Cass. 18/1/2016 n. 710).

Nella prospettiva dell’ultrattività della procura, si afferma che detto ruolo del difensore del defunto costituisce la cerniera del sistema, non restando quindi gli eredi totalmente privi di un ausilio professionale giuridico, seppur mirato alle poche scelte essenziali connesse alla fase processuale in questione (Cass. n. 20840/2018; Cass. n. 27633/2018).

Su detti principi giuridici si è attestata la Corte di legittimità, considerando quale giusta parte del processo quella che ha instaurato e quella contro cui è stato instaurato il giudizio, ossia quelle che lo hanno fondato e costruito, conferendo il loro mandato al difensore per la globale cura della controversia; parti che, seppur menomate nella loro capacità o nella loro stessa esistenza in vita, continuano a veder tutelate le proprie ragioni, in favore di coloro che saranno i successori, ad opera del loro rappresentate eletto, al quale soltanto è conferito il potere di comunicare al giudice ed alla controparte l’avvenuta verificazione di quella menomazione.(v. Cass. n. 27663/2018, in motiv.; n. 20840/2018.; Cass. n. 24845/2018; Cass. n. 27633/2018; Cass. n. 3009/2018).

In conclusione, la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che, il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; ed è, di conseguenza, ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante (S.U. n. 15295, 04/07/2014; Cass. n. 21287 del 2015; Cass. n. 20964 del 22/08/2018). Nella concreta fattispecie, il gravame è stato ritualmente notificato al procuratore costituito della parte deceduta nei termini di legge, come correttamente affermato dalla Commissione tributaria regionale del Lazio. Conseguentemente, il ricorso deve essere respinto.

Non vi è luogo a provvedere alle spese di lite, in assenza di attività difensiva svolta dall’amministrazione finanziaria.

PQM

La Corte:

– Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovute.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della sezione tributaria della Corte di Cassazione, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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