LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14620-2016 proposto da:
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBENGA 45, presso lo studio dell’avvocato RITA BRANDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA LEX;
– ricorrente –
contro
CI.MA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PINCIANA, 15, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO IACOVONE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO LOGOZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 398/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 04/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/2021 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO, che chiede l’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso, e/o l’assorbimento degli altri.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza 4.3.2016 emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., in parziale accoglimento dell’appello proposto dal geometra Ci.Ma., ha condannato il committente C.F. al pagamento della somma di Euro 5.321,24 a saldo delle competenze professionali dovute al primo in relazione alla attività di progettazione di un fabbricato in *****. Ha condannato il committente a rimborsare la metà delle spese di entrambi i gradi di giudizio, compensandole per il resto.
Per giungere a tale conclusione, a Corte bolognese ha osservato:
– che, come confermato dal consulente tecnico, il professionista aveva svolto correttamente l’attività di progettazione (sia in relazione alla richiesta di concessione che delle varianti), mentre non risultava dimostrato lo svolgimento della Direzione Lavori;
– che il mancato svolgimento della Direzione dei Lavori, attività meramente accessoria rispetto a quella di progettazione, non costituiva grave inadempimento contrattuale sicché il compenso spettante al professionista andava limitato alle sole attività effettivamente svolte;
– che le matrici di assegni, in quanto atti di formazione unilaterale non erano prova idonea di pagamento, mentre le ricevute sottoscritte dal Ci. e non formalmente disconosciute, avevano valore di prova legale del pagamento di Euro 6.868,88;
– che tenuto conto del compenso dovuto al Ci. nella misura di Euro 7.687,50, così ridotto del 25% l’importo determinato dal CTU (in base al valore del fabbricato al grezzo ed esclusa l’opera di direzione dei lavori), nonché delle spese dei Euro 4.502,62 dovute ai sensi dell’art. 21 della Tariffa Geometri, andava riconosciuto al Ci. il residuo importo di 5.321,24 oltre accessori di legge;
– che la pronuncia sulle spese teneva conto dell’esito complessivo della lite.
2 Contro tale sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione con dieci motivi contrastati con controricorso dal professionista.
Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte insistendo per l’accoglimento del terzo e quarto motivo e per l’assorbimento o il rigetto degli altri.
In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Col primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1458 c.c. nonché art. 116 c.p.c., comma 1 per avere la Corte d’Appello escluso la risoluzione per inadempimento del geometra, nonostante fosse stato accertato il mancato espletamento dell’incarico di Direzione dei lavori, nonché l’omesso esame di fatto decisivo rappresentato dall’oggetto del contatto. Si contesta l’affermazione secondo cui la Direzione dei Lavori integra una prestazione meramente accessoria rilevandosi, tra l’altro, che la stessa notula allegata alla richiesta di pagamento indicava espressamente “Progettazione e D.L. nuovo fabbricato residenziale”.
Il motivo è infondato.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (cfr. tra le varie, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 12182 del 22/06/2020 Rv. 658455; Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015 Rv. 6349863; Sez. Sentenza n. 14974 del 28/06/2006 Rv. 593040).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello, nell’accogliere il primo motivo di appello, ha motivato adeguatamente il rigetto della domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento osservando che il professionista aveva documentato lo svolgimento dell’attività di progettazione attraverso la produzione della documentazione comprovante la redazione la presentazione del progetto relativo alla domanda di concessione edilizia (rilasciata) e alla successiva variante e che il consulente tecnico aveva confermato la correttezza dell’opera di progettazione. Ha osservato inoltre che lo stesso appellato non aveva allegato specifici profili di inadempimento con riferimento all’opera di progettazione, in quanto le deduzioni circa generici e non meglio precisati errori di progettazione risultavano smentite non solo dal CTU ma anche dallo stesso CT di parte del C., il quale ha dato atto della correttezza dell’operato del geom. Ci. ed ha escluso che le varianti fossero dovute ad errori di progetto. Quanto alla attività di Direzione Lavori la Corte ha condiviso il giudizio del primo giudice circa il mancato svolgimento di tale attività, richiamando non solo la mancanza di prova positiva, ma le deposizioni dei testi, i quali avevano dichiarato di non aver mai visto il tecnico sul cantiere. Ciononostante, la Corte territoriale ha escluso che costituisca grave inadempimento il mancato svolgimento dell’attività meramente accessoria di direzione lavori rispetto a quella di progettazione.
Trattasi, come si vede di tipico apprezzamento in fatto (compreso il giudizio sulla natura accessoria della direzione dei lavori nel quadro dell’indagine sui rapporti contrattuali tra le parti), sorretto da adeguata motivazione e pertanto non censurabile in questa sede.
Del resto, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (pure dedotta dal ricorrente) è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020 (Rv. 659037).
1-1.bis Secondo un ordine logico di trattazione delle questioni è opportuno esaminare a questo punto sesto motivo, con cui si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento al valore probatorio da attribuire alla consulenza tecnica di ufficio e alle altre risultanze in ordine alla esecuzione del progetto di variante.
Anche questo motivo è infondato perché nel caso in esame si è fuori sia dal vizio di cui all’art. 116 c.p.c. (come sopra inteso dalle sezioni unite) che dal vizio di cui all’art. 115 c.p.c. che – sempre secondo la giurisprudenza delle sezioni unite (cfr. S.U. sentenza cit.) – ricorre allorché il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).
Nel caso in esame, invece, la doglianza si risolve in una mera censura sull’apprezzamento – sorretto, come si è visto, da adeguata motivazione del giudice di merito sull’esecuzione del progetto di variante (si rinvia, per evidenti esigenze di sintesi espositiva a quanto sopra esposto).
1.1 ter Sempre secondo un ordine logico di trattazione delle questioni va esaminato il quinto motivo con cui si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1 e art. 2729 c.c. per avere la Corte d’Appello negato valore probatorio alle matrici degli assegni prodotte in giudizio senza considerare che anche per questi documenti, così come per le ricevute di pagamento, non vi erano state contestazioni da parte del geometra. Era quindi illogico applicare il principio della non contestazione solo alle ricevute e non anche alle matrici.
Questo motivo è infondato al pari dei precedenti.
Sono infatti riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento Sez. 2 -, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 Rv. 655229; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017 Rv. 643792; Sez. 5 -, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017 Rv. 645292).
Nel caso di specie la Corte territoriale non ha ritenuto di attribuire valore probatorio alle sole matrici di assegni che di certo non possono essere equiparate alle quietanze di pagamento. Del resto, ben avrebbe potuto il cliente produrre gli estratti conto bancari o articolare una prova per suffragare la sua tesi.
1.2 Col secondo motivo il C. deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e la violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2 evidenziando la “plateale carenza di motivazione” sul calcolo del compenso. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente calcolato le spettanze del geometra sottraendo ai 10.250,00 Euro indicati dal CTU per progetto e varianti una somma pari al 25% corrispondente alla attività di Direzione Lavori, senza peraltro fornire qualsivoglia indicazione seppur succinta dei parametri utilizzati per operare la decurtazione del 25%. Secondo il ricorrente, dunque, la parte argomentativa della sentenza impugnata è sprovvista di riferimenti tali da consentire di verificarne la correttezza giuridica e logica sia nell’an che nel quantum, ed è peraltro vistosamente contraria alla legge. Insiste sulla gravità dell’inadempimento rappresentato dalla mancata Direzione dei Lavori.
1.3 Col terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 1, art. 2225 c.c., art. 113 c.p.c., comma 1 e L. n. 144 del 1949, art. 58, comma 4 in relazione alla quantificazione degli onorari professionali. Attraverso un analitico richiamo alle norme speciali e al contenuto delle allegate tabelle, il ricorrente rimprovera in sostanza alla Corte d’Appello di non avere considerato il disposto dell’art. 58 Legge Professionale che consente il pagamento del compenso integrale purché l’operazione omessa non rappresenti un valore superiore a 0,20 nella Tabella I 2, ipotesi non ricorrente nel caso di specie, perché la direzione lavori nella Tabella I 2 ha una aliquota del 25%.
1.4 Col quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 1 e art. 21 Legge Professionale per avere la Corte d’Appello errato nel calcolo delle spese spettanti al geometra, posto che l’art. 21 della tariffa richiamato dalla Corte indica solo quali spese sono rimborsabili, ma non ne indica la percentuale.
1.6 Col settimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla quantificazione delle spese spettanti al geometra, rilevandosi che a parte la questione sull’inesistenza del diritto alle spese per le varianti (una volta escluso il diritto al relativo compenso), è errato e contraddittorio dapprima ridurre l’onorario e poi applicare le spese calcolate a percentuale sul maggiore importo dell’onorario giudicato non dovuto. A dire del ricorrente anche la riduzione del compenso operata in modo errato avrebbe dovuto comportare una ulteriore riduzione delle spese.
La Corte avrebbe dovuto operare una diversa quantificazione del calcolo delle spese, mentre ha finito per attribuire una somma addirittura maggiore rispetto a quanto richiesto.
1.7 Con l’ottavo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 345 c.p.c. per non avere considerato la novità delle censure poste dall’appellante geometra con la memoria del 15.2.2016. in ordine alla determinazione dei compensi e alla distinzione tra progettazione e direzione dei lavori.
1.8 Col nono motivo il ricorrente denunzia violazione del principio del contraddittorio (ex art. 111 Cost.) dolendosi di non avere potuto replicare alla memoria dell’appellante del 15.2.2016.
2 Il terzo motivo è fondato.
Il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa, ed adeguato all’importanza dell’opera, solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima, ed in ordine successivo, alle tariffe ed agli usi ed, infine, alla determinazione del giudice (cfr. Sez. 2 -, Ordinanza n. 14293 del 04/06/2018 non massimata; cfr. altresì Sez. L -, Sentenza n. 1900 del 25/01/2017 Rv. 642785).
Nel caso di specie, la mancanza di convenzione tra le parti rendeva quindi applicabile la tariffa degli onorari per le prestazioni professionali dei geometri approvata con L. 2 marzo 1949, n. 144).
Ebbene, nella parte riguardante le costruzioni civili, stradali e idrauliche, l’art. 55 della Tariffa indica l’importo a cui si applica l’onorario (“La percentuale degli onorari per la progettazione, direzione e liquidazione di costruzioni si applica all’importo risultante dal progetto lordo da ribassi e detrazioni, se l’incarico si limiti al progetto; all’importo lordo della liquidazione dei conti dei lavori di appalto e delle forniture, aumentate degli eventuali importi suppletivi accordati in sede di collaudo, e senza le eventuali detrazioni fatte dal direttore dei lavori o dal collaudatore, quando le prestazioni comprendono lo svolgimento integrale dell’opera commessa”).
L’art. 56 della Tariffa elenca le prestazioni nelle costruzioni e tra le varie, definisce l’attività di Direzione dei Lavori (“consegna e sorveglianza dei lavori mediante visite periodiche effettuate quando il direttore, a proprio esclusivo giudizio, lo ritenga necessario; emanazione di ordini, svolgimento dei particolari dell’opera, controllo e condotta amministrativa. Nei casi in cui si richieda la presenza giornaliera e prolungata del direttore si applicano le norme di cui all’art. 29, lett. o), oppure art. 59, u.c.”.
Il successivo art. 57 contiene poi una classificazione delle costruzioni e stabilisce che le prestazioni a cui si applicano gli onorari stabiliti nelle seguenti tabelle H4 e I2 riguardano una serie di opere specificamente indicate.
Nella Categoria I (“Costruzioni rurali, modeste costruzioni civili, edifici pubblici per Comuni fino a 10.000 abitanti”) alla lett. C) sono comprese le “Case d’abitazione comuni ed economiche, costruzioni asismiche a due piani senza ossatura in cemento armato o ferro, edifici pubblici”.
I criteri di quantificazione dei compensi sono poi graficamente riportati in apposite tabelle, la Tabella H4 e la Tabella 12 (Tabella delle parzializzazioni).
L’art. 58 (Onorari per le costruzioni) stabilisce che “Ad ognuna delle suddette categorie di lavori corrispondono i compensi percentuali stabiliti nella tabella H4. Per importi intermedi l’onorario si calcola per interpolazione lineare. Oltre ai suddetti onorari spettano sempre al geometra i rimborsi e i compensi onorari di cui agli artt. 21 a 25, 28 e 31. Gli onorari suddetti sono dovuti integralmente quando il geometra adempie all’incarico e lo svolge dalla fase iniziale (progetto di massima al suo compimento (liquidazione), anche se sia stata omessa qualcuna delle operazioni indicate nell’art. 56, purché non rappresenti un valore superiore a 0,20 nella tabella I2”.
Da tale disposizione si ricava, a contrario, che la Tariffa esclude il pagamento del compenso integrale, qualora l’aliquota prevista per l’operazione non svolta, indicata nella Tabella 12 sia superiore allo 0,20.
La Direzione lavori nella Tabella delle parzializzazioni I2 ha però un’aliquota dello 0,25% (v. prestazioni parziali sub g), Categoria I lett. C).
Di tale articolato meccanismo di liquidazione del compenso il giudice di merito avrebbe dovuto tener conto, ma non lo ha fatto, essendosi limitato, per la mancata Direzione dei Lavori, a ridurre del 25% il compenso determinato dal CTU, senza spiegare come sia giunto a tale riduzione.
3 Fondato è anche il quarto motivo perché la Corte d’Appello ha considerato le spese nella misura di Euro 4.502,62 senza però spiegare il criterio di calcolo, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 21 della Tariffa, disposizione che si limita ad elencare quali sono le spese da rimborsare, ma non ne indica la misura o il criterio di calcolo.
A tali errori rimedierà il giudice di rinvio.
4 Passando all’esame del decimo motivo, con esso si denunzia l’omessa pronuncia da parte della Corte d’Appello sull’istanza di condanna dell’appellante alla pena pecuniaria prevista dall’art. 283 c.p.c. dopo il rigetto della domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza. Si censura altresì la sentenza per non avere disposto una diversa suddivisione delle spese di lite mediante un maggior aggravio per l’appellante Ci. in ragione dell’istanza di sospensiva.
Il motivo è inammissibile.
Partendo dall’ultimo profilo di censura, è sufficiente richiamare la regola generale secondo cui il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (cfr. tra le tante, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020 Rv. 659925; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017 Rv. 646335; Sez. 3, Sentenza n. 10009 del 24/06/2003 Rv. 564510).
Nel caso di specie, l’appellato C., tenuto a pagare la metà delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, non è certamente una parte vittoriosa (essendo stato con la sentenza di appello condannato a pagare il compenso al geometra, seppur ridotto rispetto alla pretesa): pertanto, non può dolersi in questa sede.
Quanto all’altro profilo in cui si articola la censura (omessa pronuncia), è sufficiente rilevare che la condanna al pagamento della pena pecuniaria in caso di inammissibilità o manifesta infondatezza dell’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata rientra nella discrezionalità della Corte d’Appello. come si ricava agevolmente dalla locuzione “può” adoperata dal legislatore nell’art. 283 c.p.c., comma 2.
Nel caso di specie, dall’ordinanza 18-22.12.2015 della Corte d’Appello di Bologna non risulta alcun accenno alla “inammissibilità” o alla “manifesta infondatezza” dell’istanza cd. sospensiva avanzata dal Ci., avendo al contrario la Corte di merito riscontrato l’assenza dell’immediata evidenza della fondatezza dell’appello.
La Corte d’Appello ha dunque implicitamente rigettato l’istanza di pagamento della pena pecuniaria per insussistenza dei presupposti di legge e il relativo giudizio non è qui censurabile.
In conclusione, la sentenza va cassata per nuovo esame in relazione ai motivi accolti sulla scorta dei citati principi di diritto, restando così logicamente assorbito l’esame dei restanti motivi secondo, settimo, ottavo, nono, tutti attinenti al calcolo dei compensi e della misura del rimborso spese.
Il giudice di rinvio, che si individua nella Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
la Corte rigetta il primo, il quinto e il sesto motivo di ricorso e dichiara inammissibile il decimo; accoglie il terzo e quarto motivo; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, riconvocata, il 8 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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