Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1654 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32147-2020 proposto da:

D.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso dall’Avvocato Nazzarena Zorzella, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica, domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1078/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA SCALIA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. D.S., cittadino del Senegal, della Regione della Casamance, ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Bologna ne ha rigettato l’impugnazione avverso l’ordinanza con la quale il locale tribunale aveva, a sua volta, respinto la domanda di riconoscimento del diritto alla protezione per ragioni umanitarie, nella ritenuta natura privata della vicenda narrata dal richiedente (che aveva dichiarato di aver abbandonato il Senegal per contrasti in essere con la sua famiglia, in cui i fratellastri, figli della seconda moglie del padre, lo maltrattavano) ed insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., al Tu 286 del 1998, art. 5, comma 6, e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Motivazione apparente. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio”.

Egli aveva richiesto, sin dal primo grado di giudizio, il riconoscimento del diritto alla protezione per ragioni umanitarie per la condizione di grave povertà ed i gravi maltrattamenti subiti in famiglia, in un quadro di compromissione dei diritti umani presente in Senegal, e, ancora, per le violenze sofferte durante il percorso migratorio, soprattutto in Libia, il tutto secondo fonti internazionali indicate.

La Corte di appello, nell’apprezzare, invece, l’insussistenza degli estremi per il riconoscimento della protezione per motivi umanitari, aveva valorizzato solo i caratteri della permanenza in Italia, in cui aveva ritenuto che il richiedente non si fosse integrato (avuto riguardo al solo reddito tanto là dove, invece, il lavoro poteva rappresentare solo un indice, a non il solo dell’integrazione), senza considerare la violazione dei diritti umani in essere nel Paese di provenienza e le violenze sofferte in Libia, durante i due anni di permanenza.

Il motivo è infondato perché la Corte d’appello richiama fonti internazionali, così la “Relazione annuale dei diritti umani del 2018” reperibile in ***** (p. 3 sentenza), nello scrutinare la situazione del Paese di origine, la Regione della Casamance, in Senegal, per poi concludere che la stessa non segnala un contesto di compromissione dei diritti umani.

La deduzione circa le violenze sofferte dal richiedente in Libia, Paese di transito, è generica non facendo valere il ricorrente la patologia, fisica o psicologica, risentita quale esito di una tale permanenza che, nel suo rilievo individuale, non può essere affidata, a valutazioni e generali studi, condotti sugli effetti dei traumatismi subiti dalla persona, come invece dedotto in ricorso.

Il ricorrente che denunci l’omissione nell’esame dell’evidenza da parte del giudice d’appello deve infatti allegare di aver fatto tempestivamente valere, davanti al giudice di merito, una siffatta puntuale evidenza.

L’estremo dell’integrazione in Italia e’, poi, oggetto di valutazione nell’impugnata sentenza e per ciò stesso non connota quest’ultima in termini di nullità per mancanza di motivazione o motivazione apparente, figurando nell’ordito osservato dalla Corte territoriale il richiamo ai principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 4455 del 2018 e Cass. SU 29470 del 2019) a definizione dell’estremo indicato, quanto alla persona del richiedente protezione per motivi umanitari.

4. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la mancata applicazione nell’impugnata sentenza quale ius superveniens del D.L. n. 130 del 2020, art. 15, in relazione al T.U. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1.1. e 1.2..

La censura è manifestamente infondata per il principio affermato da questa Corte secondo il quale, la nuova disciplina della protezione umanitaria, introdotta con il D.L. n. 130 del 2020, conv. con modif. dalla L. n. 173 del 2020, entrata in vigore il 22 ottobre 2020, non trova applicazione nei giudizi di cassazione pendenti alla suddetta data, stante il tenore letterale della norma transitoria prevista dal D.L. citato, art. 15, che prevede l’immediata sua applicazione ai procedimenti pendenti avanti alle commissioni territoriali, al questore ed alle sezioni specializzate, rendendo evidente che scopo della norma è quello di prevenire “la duplicazione di procedimenti amministrativi e di eventuali contenziosi”, finalità che si attaglia ai procedimenti ed ai giudizi di merito (Cass. SU 09/09/2021, n. 24413; Cass. 17/05/2021, n. 13248).

La domanda amministrativa nella specie è stata proposta in data 6 ottobre 2015 e, quindi, in epoca anteriore all’entrata in vigore della indicata norma, ferma restando la irrilevanza della data di introduzione del giudizio per cassazione.

5. Il ricorso è pertanto inammissibile.

Nulla sulle spese essendo controparte rimasta intimata.

Deve darsi atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, alla Camera di consiglio della sesta sezione civile, sottoscrizione prima, il 22 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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