Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1658 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13282/2013 di R.G. proposto da:

ISOLA BLU DI S.G. E T.M. SNC, S.G., T.M., C.A., T.A., elettivamente domiciliati in Roma Via Celimontana n. 38 presso lo studio dell’avvocato Paolo Panariti, rappresentati e difesi dall’avvocato Fabrizio Ballerini.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– controricorrente, ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 311/38/12, depositata il 29/11/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 gennaio 2022 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Vitiello Mauro che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale dei contribuenti e l’accoglimento del ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate;

udito l’avvocato per la ricorrente;

udito l’avvocato dello Stato per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. Isola Blu S.n.c., operante nel settore della ristorazione, e i soci impugnarono, con distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento che ricostruivano ai fini Irpef, Irap e Iva, i redditi dell’ente collettivo e, per trasparenza, quelli dei soci, per i periodi d’imposta dal 2003 al 2006, sulla base delle indagini bancarie sui conti correnti della società e dei soci.

2. La Commissione tributaria provinciale di Viterbo, riuniti i ricorsi, li accolse con sentenza (n. 29/01/2011) che, sull’appello dell’Agenzia delle entrate (“Agenzia”), è stata parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Lazio. In particolare, il giudice d’appello ha ritenuto legittimo l’accertamento dell’ufficio poggiante sulla presunzione legale relativa circa la riferibilità alla società delle movimentazioni in entrata e in uscita sui conti correnti dei soci in ragione della stessa base familiare e del vincolo solidaristico caratterizzanti l’ente collettivo. Con la conseguenza, a giudizio della C.T.R., che spetta alla parte contribuente dare la prova specifica dell’estraneità delle movimentazioni sui conti dei soci, non essendo per altro a tal fine sufficiente una giustificazione generica legata all’attività svolta. Nella specie, tale prova contraria non è stata fornita ed è priva di fondamento anche l’eccezione dei contribuenti circa l’illegittimo ampliamento del tema del decidere operato dall’ufficio nel giudizio di appello, poiché, in realtà, concentrando l’esame su alcune operazioni bancarie, l’Agenzia si è limitata a mettere in luce come i conti personali dei soci fossero utilizzati per la gestione della società, con il sistematico transito di denaro ad essa riferibile. Infine, la Commissione regionale, in parziale accoglimento delle doglianze della parte contribuente, ha forfetariamente abbattuto del 30% i maggiori ricavi accertati, facendo leva sul principio per il quale, in relazione a detti maggiori ricavi, si deve tenere conto dell’incidenza percentuale dei relativi costi.

3. I contribuenti ricorrono con quattro motivi per la cassazione della sentenza d’appello; l’ufficio resiste con controricorso, nel quale svolge ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale (“(1.) Violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c. – mutamento thema decidendum in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza d’appello che non ha rilevato che, in sede di gravame, l’Amministrazione finanziaria (“A.F.”) ha pretestuosamente indicato alcune operazioni sui conti correnti dei soci di Isola Blu S.n.c. che, nella verifica fiscale, erano state ritenute sintomatiche dell’utilizzo dei conti correnti dei soci per l’attività della società, senza considerare che, negli avvisi di accertamento impugnati, tali operazioni non erano menzionate.

1.1. Il motivo è infondato.

Il processo tributario è strutturato come giudizio d’impugnazione di un provvedimento contenente la pretesa dell’A.F., nel quale l’ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale ed il dibattito processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo e, dall’altro, dalle questioni dedotte dal contribuente nel ricorso introduttivo (cfr. ex multis Cass. 03/02/2021, n. 2413, che menziona Cass. nn. 10779/2007, 15849/2006, 9754/2003). Al fine di accertare quando ricorra una domanda nuova, per autorevole dottrina, occorre fare riferimento agli elementi costitutivi di essa, ossia ai soggetti, al petitum e alla causa petendi, ed infatti a determinare la disuguaglianza (o novità) della domanda è sufficiente che sia diverso anche uno soltanto di tali aspetti giuridici. Se si osserva la dinamica processuale dal punto di vista dell’ente impositore (attore sostanziale), come ha bene rilevato il giudice d’appello, è senz’altro da escludere che l’A.F. abbia contravvenuto al divieto di ampliare il tema del decidere nel corso del giudizio di appello poiché la stessa parte si è limitata ad addurre nuovi argomenti al fine di corroborare la presunzione di evasione fiscale ascrivibile alla società, tramite la puntuale indicazione delle movimentazioni in entrata e in uscita sui conti correnti personali dei soci correlate a ricavi in nero (cioè privi di riscontro nelle scritture contabili) della società.

2. Con il secondo motivo (“2. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, art. 360 c.p.c., n. 3”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata – secondo cui la presunzione legale iuris tantum (così testualmente a pag. 4 della decisione) “di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 2, è estensibile agli accertamenti bancari sui conti di terzi, quando questi si trovino con il soggetto accertato, in relazione di stretta base familiare e vincolo solidaristico, come nel caso di specie e, data la fonte legale di tale presunzione, la stessa non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.” – per l’errata interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, dalla cui lettura si evince con chiarezza che la presunzione legale in questione deve possedere i caratteri della “gravità”, “precisione” e “concordanza”, di cui all’art. 2729, c.c.

2.1. Il motivo è infondato.

La statuizione della Commissione regionale è conforme al consolidato orientamento di legittimità, che il Collegio intende riaffermare, per il quale “In tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.”. (Cass. 21/11/2018, n. 30098).

3. Con il terzo motivo (“(3) Omessa motivazione o motivazione apparente con riferimento alle presunzioni ex art. 37, comma 3, art. 360 c.p.c., n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata che non spiega il ragionamento logico giuridico seguito ai fini dell’accoglimento dell’appello dell’ufficio, fondato essenzialmente sull’asserita riconducibilità dei conti correnti dei soci all’attività svolta dalla società.

3.1. Il motivo è infondato.

Per giurisprudenza pacifica (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.”. Nella specie, al contrario di quanto affermano i contribuenti, una motivazione esiste e, lo si è evidenziato prima (cfr. il p. 2. dei “Fatti di causa”), la C.T.R. ha congruamente illustrato le ragioni del proprio convincimento.

4. Con il quarto motivo (“(4) Omessa pronuncia circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento alla insufficiente motivazione degli avvisi di accertamento. Del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, art. 360 c.p.c., n. 5”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata che ha trascurato ogni decisione sulla questione centrale della causa, prospettata già nel ricorso introduttivo, attinente alla dedotta carenza probatoria a supporto degli avvisi di accertamento oggetto del giudizio.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata è stata pubblicata in data 29/11/2012, sicché trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dall’11/09/2012. Ebbene, fin da Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nella fattispecie concreta, non vengono rivolte alla sentenza critiche riconducibili alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma si chiede, in sostanza, una rivalutazione del merito della controversia, il che però non è consentito in sede di legittimità. Al riguardo, questa Corte ha reiteratamente affermato che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; 07/03/2018, n. 5355).

5. Con un unico motivo di ricorso incidentale (“(V)iolazioni e falsa applicazione dell’art. 109 “nuovo” t.u.i.r. n. 917 del 1986 (nonché dell’art. 75 “vecchio” t.u.i.r. n. 917 del 1986, quanto all’anno d’imposta 2003) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”), l’Agenzia deduce l’errore di diritto della sentenza impugnata nella parte in cui è stata disposta una riduzione dell’entità della pretesa tributaria in ragione dell’automatico riconoscimento di costi (quantificati nella misura del 30%) correlati ai maggiori redditi accertati in capo ai contribuenti. Tale statuizione, per l’ufficio, per un verso, integra la violazione delle disposizioni del t.u.i.r. in tema di deducibilità e detraibilità dei costi che, a tal fine, prescrivono l’indefettibile requisito del delle medesime passività; per altro verso, integra la violazione delle disposizioni in materia accertativa, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, e anche con riguardo agli accertamenti bancari, in relazione ai quali, per la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, è contra legem l’operato del giudice d’appello che, in mancanza dell’assolvimento da parte del contribuente dell’onere della prova sul medesimo gravante e con operazione ermeneutica illogica, ritenga presuntivamente che a un ricavo occulto debba necessariamente corrispondere un costo anch’esso occulto, con conseguente abbattimento dei ricavi a causa di costi non provati, ma presuntivamente ravvisati dal giudice.

5.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata in punto di riconoscimento automatico dei costi non collima con l’orientamento di legittimità, che va di nuovo enunciato, per cui “In tema di accertamento, la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (e, per l’Iva, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare.” (Cass. 05/10/2018, n. 24422; in termini, Cass. 18/10/2021, n. 28580).

6. Ne consegue che, rigettato il ricorso principale ed accolto quello incidentale, la sentenza è cassata in relazione al ricorso incidentale, con rinvio al giudice a quo, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso incidentale, e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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