LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7863-2021 proposto da:
M.U.D.G., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato RACHELE ANESI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO la CORTE di CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 169/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata 11 /2/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata dell’1/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI ALBERTO.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Venezia, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., rigettava il ricorso proposto da M.U.D.G., cittadino del Pakistan proveniente dal Punjab, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex artt. 2 e 14, o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
2. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza pubblicata in data 1 febbraio 2021, respingeva il gravame proposto del richiedente asilo avverso tale ordinanza.
In particolare, riteneva che nella regione di provenienza del migrante non esistesse una situazione di violenza indiscriminata che potesse costituire una grave minaccia per i civili.
Reputava, inoltre, che la mera allegazione dello svolgimento di attività lavorativa retribuita non dimostrasse l’avvenuta acquisizione di un certo grado di integrazione sociale e che il rimpatrio non avrebbe comportato una compromissione del nucleo fondamentale dei diritti umani.
3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso M.U.D.G. prospettando tre motivi di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2 e 3, in relazione alle norme sulla competenza per materia, all’art. 25 Cost. e al D.L. n. 13 del 2017, art. 2, convertito in L. n. 46 del 2017”: il procedimento di appello introdotto dal M., dopo essere stato inizialmente assegnato alla terza sezione della Corte d’appello, era stato riassegnato alla nona sezione, con nomina come nuovo relatore di un giudice applicato alla Corte privo di specializzazione.
Questa applicazione costituirebbe – in tesi – una violazione del principio di competenza per materia e una violazione del dettato dell’art. 25 Cost., in quanto l’applicazione generalizzata dei giudici del distretto non sarebbe coerente con il principio di specializzazione che regola la materia di immigrazione, nel senso previsto dal D.L. n. 13 del 2017, art. 2.
5. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente assume che il Presidente della Corte d’appello abbia elaborato un progetto per lo smaltimento del contenzioso in materia di protezione internazionale che prevedeva l’applicazione di numerosi giudici del distretto per un brevissimo lasso di tempo, ciascuno nell’ambito di collegi straordinari composti da un magistrato della sezione, da un magistrato applicato e un giudice ausiliario.
Il coinvolgimento dell’impugnazione in questo progetto avrebbe fatto sì – a dire del ricorrente – che la causa fosse decisa attraverso un modello organizzativo non ispirato ai criteri di specializzazione che presiedono la trattazione del contenzioso in materia di immigrazione.
La sentenza impugnata, tuttavia, non riporta traccia, nella sua intestazione, della presenza nel novero del collegio di magistrati applicati o ausiliari.
Era dunque onere del ricorrente suffragare i propri assunti, sia trascrivendo il contenuto dei provvedimenti a cui ha fatto riferimento (vale a dire del progetto di definizione del contenzioso evocato e, soprattutto, dei provvedimenti direttamente riconnessi alla lite relativi all’assegnazione della stessa ad un collegio composto nel modo denunciato e alla riassegnazione a un nuovo relatore) oppure facendo un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, sia spiegando dove tali atti ora si rinverrebbero.
Il mancato assolvimento di un simile onere si traduce in una violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con la conseguente inammissibilità del ricorso presentato (in merito all’autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di riferimento a documenti o atti processuali, i quali non solo devono essere specificamente individuati anche quanto alla loro collocazione, ma altresì devono essere oggetto di integrale trascrizione quanto alle parti in contestazione ovvero di sintetico ma completo resoconto del contenuto, si vedano Cass. 5478/2018, Cass. 16900/2015, Cass. 14784/2015, Cass. 4980/2014 e Cass. 8569/2013).
Il che esime dal dire che il magistrato applicato non può essere considerato una persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, in presenza di un provvedimento di applicazione da parte del Presidente della Corte d’appello ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 110.
La contestazione relativa alle modalità con cui l’applicazione è stata disposta non consente poi di ipotizzare alcuna nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato.
In vero, posto che l’art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge, nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d’appello si avvale del potere di disporre l’applicazione al suo ufficio di magistrati del distretto.
6. Il secondo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, il carattere apparente della motivazione della decisione impugnata e la sua conseguente nullità e, nel contempo, lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto la Corte di merito non ha riconosciuto la protezione sussidiaria pur in presenza di un rapporto internazionale che ammetteva l’esistenza di un elevato livello di violenza indiscriminata e diffusa nella regione del Punjab.
7. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha espressamente preso in esame (a pag. 10) il rapporto internazionale che il ricorrente ritiene dimostrativo delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c).
Il ricorrente, a fronte di questa attività, non può limitarsi a prospettare, in termini generici, l’esistenza di una situazione complessiva del paese di origine del richiedente asilo diversa da quella ricostruita dal giudice di merito in ragione dell’inadeguata valutazione delle fonti internazionali disponibili.
Anche in questa materia il ricorso per cassazione conferisce, infatti, al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare, nel novero della congerie disponibile, le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., explurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
L’apprezzamento del giudice di merito poteva essere contrastato evidenziando, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base era stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, erano state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. 4037/2020), ma non certo proponendo una diversa lettura delle fonti disponibili in termini più favorevoli per il richiedente asilo.
8. Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, il carattere apparente della motivazione della decisione impugnata e la sua conseguente nullità e, nel contempo, lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del T.U.I., art. 5, comma 6, e art. 29, comma 3, del D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3-bis: la Corte di merito ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria omettendo in toto di considerare – a dire del ricorrente – le allegazioni in fatto compiute a tal riguardo, costituite dalla lunga permanenza in Grecia e in Italia, dalla dimostrazione di un elevato livello di integrazione sociale e lavorativa e dalla sproporzione tra i contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.
11. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
Esso, infatti, lamenta la mancata considerazione, da un lato, dell’elevato livello di integrazione sociale e lavorativa, dimostrato dallo svolgimento di un’attività lavorativa e dall’apprendimento della lingua italiana, dall’altro del pregiudizio nel godimento dei diritti fondamentali che il rimpatrio avrebbe determinato.
In realtà la Corte distrettuale ha considerato sia la condizione lavorativa allegata, ritenendo però che la stessa non fosse dimostrativa dell’acquisizione di un certo grado di integrazione, sia la compromissione dei diritti umani in caso di rimpatrio nel paese di origine, escludendola alla luce delle informazioni internazionali consultate.
A fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017). 12. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022