LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8434-2021 proposto da:
A.F., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato RACHELE ANESI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
contro
PROCURATORE GENERALE presso la CORTE di CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 193/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata l’1/2/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata dell’1/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI ALBERTO.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Venezia, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. dell’H giugno 2018, rigettava il ricorso proposto da A.F., cittadino della Nigeria nato a Benin City, nell’Edo State, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex artt. 2 e 14, o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
2. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza pubblicata in data 1 febbraio 2021, respingeva l’appello proposto del richiedente asilo avverso tale ordinanza.
In particolare, condivideva il giudizio di non credibilità del racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio paese di origine nel timore di subire una qualche forma di persecuzione perché omosessuale) già espresso dal Tribunale, osservando che in ogni caso la riferita consumazione di un rapporto sessuale a pagamento con un minore impediva il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.
Riteneva, inoltre, che nella regione di provenienza del migrante non esistesse una situazione di conflitto armato o di violenza indiscriminata che potesse costituire una grave minaccia per i civili.
Reputava, infine, che la mera allegazione dello svolgimento di attività lavorativa retribuita non dimostrasse l’avvenuta acquisizione di un certo grado di integrazione sociale.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso A.F. prospettando cinque motivi di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la “violazione (dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2 e 3, in relazione alle norme sulla competenza per materia, all’art. 25 Cost. e al D.L. n. 13 del 2017, art. 2, convertito in L. n. 46 del 2017”: il procedimento di appello introdotto dall’ A., dopo essere stato inizialmente assegnato alla terza sezione della Corte d’appello, era stato riassegnato alla nona sezione, con nomina come nuovo relatore di un giudice applicato alla Corte privo di specializzazione.
Questa applicazione costituirebbe – in tesi – una violazione del principio di competenza per materia e una violazione del dettato dell’art. 25 Cost., in quanto l’applicazione generalizzata dei giudici del distretto non sarebbe coerente con il principio di specializzazione che regola la materia di immigrazione, nel senso previsto dal D.L. n. 13 del 2017, art. 2.
5. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente assume che il Presidente della Corte d’appello abbia elaborato un progetto per lo smaltimento del contenzioso in materia di protezione internazionale che prevedeva l’applicazione di numerosi giudici del distretto per un brevissimo lasso di tempo, ciascuno nell’ambito di collegi straordinari composti da un magistrato della sezione, da un magistrato applicato e un giudice ausiliario.
Il coinvolgimento dell’impugnazione in questo progetto avrebbe fatto sì – a dire del ricorrente – che la causa fosse decisa attraverso un modello organizzativo non ispirato ai criteri di specializzazione che presiedono la trattazione del contenzioso in materia di immigrazione.
La sentenza impugnata, tuttavia, non riporta traccia, nella sua intestazione, della presenza nel novero del collegio di magistrati applicati o ausiliari.
Era dunque onere del ricorrente suffragare i propri assunti, sia trascrivendo il contenuto dei provvedimenti a cui ha fatto riferimento (vale a dire del progetto di definizione del contenzioso evocato e, soprattutto, dei provvedimenti direttamente riconnessi alla lite relativi all’assegnazione della stessa ad un collegio composto nel modo denunciato e alla riassegnazione a un nuovo relatore) oppure facendo un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, sia spiegando dove tali atti ora si rinverrebbero.
Il mancato assolvimento di un simile onere si traduce in una violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con la conseguente inammissibilità del ricorso presentato (in merito all’autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di riferimento a documenti o atti processuali, i quali non solo devono essere specificamente individuati anche quanto alla loro collocazione, ma altresì devono essere oggetto di integrale trascrizione quanto alle parti in contestazione ovvero di sintetico, ma completo, resoconto del contenuto, si vedano Cass. 5478/2018, Cass. 16900/2015, Cass. 14784/2015, Cass. 4980/2014 e Cass. 8569/2013).
Il che esime dal dire che il magistrato applicato non può essere considerato una persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, in presenza di un provvedimento di applicazione da parte del Presidente della Corte d’appello ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 110.
La contestazione relativa alle modalità con cui l’applicazione è stata disposta non consente poi di ipotizzare alcuna nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato.
In vero, posto che l’art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge, nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d’appello si avvale del potere di disporre l’applicazione al suo ufficio di magistrati del distretto.
6.1 Il secondo motivo di ricorso assume, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. d), in quanto la Corte distrettuale, sulla base di un giudizio di inattendibilità che poteva essere superato tenendo conto che la genericità delle dichiarazioni conseguiva alla genericità delle domande di approfondimento formulate, non ha riconosciuto all’ A. lo status di rifugiato pur in presenza di un suo fondato timore di persecuzione in caso di ritorno in patria, in ragione della sua condizione di omosessuale.
6.2 Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, perché la Corte d’appello ha desunto in modo apodittico la non credibilità del ricorrente, senza fare applicazione rigorosa degli indici legali di affidabilità previsti in materia.
7. La Corte di merito, dopo aver ribadito il giudizio di non attendibilità delle dichiarazioni del migrante, ha aggiunto che i fatti narrati, anche laddove fossero stati ritenuti verosimili, non avrebbero consentito comunque di riconoscere la protezione richiesta, ostando a ciò, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16, la condotta criminosa tenuta dallo stesso migrante.
Nessuna contestazione è stata sollevata rispetto a quest’ultima ratio decidendi.
Ne discende l’inammissibilità di ambedue i mezzi in esame.
Infatti, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. 9752/2017).
8. Il terzo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, il carattere apparente della motivazione della decisione impugnata e la sua conseguente nullità e, nel contempo, lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8: in tesi del ricorrente non è stata riconosciuta la protezione sussidiaria malgrado lo stesso Tribunale avesse dato atto che nello Stato di origine del migrante non vi era la sicurezza di poter effettuare un rimpatrio senza alcun rischio.
9. Il motivo è inammissibile.
Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018).
La Corte di merito si è ispirata a simili criteri, prendendo in esame una serie di informazioni aggiornate sulla situazione della Nigeria risalenti agli anni 2017, 2018 e 2019.
La critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018).
10. Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, il carattere apparente della motivazione della decisione impugnata e la sua conseguente nullità e, nel contempo, lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del T.U.I., art. 5, comma 6, e art. 29, comma 3, del D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3-bis: la Corte di merito ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria omettendo in toto di considerare – a dire del ricorrente – le allegazioni in fatto compiute a tal riguardo, costituite dalla permanenza in Italia dal 2016, dalla dimostrazione di un elevato livello di integrazione sociale e lavorativa e dalla sproporzione tra i contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.
11. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
Esso, infatti, lamenta la mancata considerazione, da un lato, dell’elevato livello di integrazione sociale e lavorativa, dimostrato dallo svolgimento di un’attività lavorativa, dall’altro del pregiudizio nel godimento dei diritti fondamentali che il rimpatrio avrebbe determinato.
In realtà la Corte distrettuale ha considerato sia la condizione lavorativa allegata, ritenendo però che la stessa non fosse dimostrativa dell’acquisizione di un certo grado di integrazione, sia la compromissione dei diritti umani in caso di rimpatrio nel paese di origine, escludendola alla luce delle informazioni internazionali consultate.
A fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017). 12. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022