LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6838/2015 R.G. proposto da:
Milena Pharmaceutical srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Cinquemani, con domicilio eletto in Palermo, via Terrasanta n. 106;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 22/01/14, depositata il 9 gennaio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 ottobre 2021 dal Consigliere Enrico Manzon;
lette le conclusioni scritte del P.G., che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO
che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 473/1/09 della Commissione tributaria provinciale di Agrigento che aveva accolto il ricorso della Milena Pharmaceutical srl in liquidazione contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2004.
La CTR osservava in particolare che dalla documentazione in atti non si poteva desumere la prova contraria della inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto delle riprese fiscali, che anzi era circostanza non contestata, non essendo comunque neanche comprovato dalla società contribuente che dette operazioni siano poi state “compensate” con altre effettivamente intercorse con l’emittente delle fatture considerate nell’avviso di accertamento impugnato.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la ricorrente denuncia la nulli:à della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33, comma 1, e del principio del contraddittorio, poiché la CTR ha trattato la controversia in pubblica udienza alla sola presenza del rappresentante dell’agenzia fiscale, senza che tale forma di trattazione fosse stata ritualmente richiesta ed il relativo avviso le venisse notificato.
La censura è infondata.
E’ pacifico che è stata la stessa società contribuente a prescegliere la forma di trattazione in pubblica udienza con l’atto di costituzione in appello ed è asseverato mediante produzione documentale in questa sede (doc. 13 a legato al controricorso) che le due udienze pubbliche tenutesi avanti alla CTR siciliana sono state precedute dalla rituale comunicazione al difensore della società contribuente stessa.
Il fatto processuale ugualmente pacifico che quest’ultimo non abbia inteso partecipare alla discussione è del tutto irrilevante, trattandosi semplicemente di una facoltà difensiva non esercitata, com’era del resto nelle prerogative del titolare del munus.
Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi, poiché la CTR non ha compiutamente esaminato il materiale probatorio di causa e quindi adeguatamente riscontrato le ragioni di merito della sua difesa.
Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, art. 112 c.p.c., poiché la Commissione tributaria regionale, omettendo l’esame dei fatti decisivi controversi di cui al secondo motivo, non ha né motivato né pronunciato sui fatti medesimi.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili e comunque infondate.
Va ribadito che:
-“La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, n. 8053 de 07/04/2014);
-“La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
-“Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass., n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01).
I due mezzi in esame chiaramente collidono con il perimetro del giudizio di legittimità delimitato con i citati arresti giurisprudenziali, attingendo il giudizio di merito del giudice tributario di appello, che risulta invero, pur succintamente, argomentato.
La CTR siciliana infatti ha con chiarezza affermato il mancato assolvimento dell’onere controprobatorio della società contribuente a fronte dell’incontestata inesistenza soggettiva delle operazioni di cui alle fatture oggetto delle riprese fiscali; ciò con particolare e specifico riguardo alle “compensazioni” con altre lavorazioni effettuate dall’emittente di dette fatture e separatamente fatturate, negando che questa documentazione ulteriore abbia l’affermato valore controprobatorio.
Trattasi all’evidenza di un giudizio di fatto che non è revisionabile in questa sede, ponendosi la motivazione della sentenza impugnata sicuramente aa di sopra del “minimo costituzionale”.
Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché la CTR non si è pronunciata sugli ulteriori motivi del ricorso introduttivo della lite quali riproposti nelle controdeduzioni di appello (rispettivamente: violazione del principio di unicità dell’accertamento, in assenza dei presupposti per emettere un accertamento “integrativo”; invalidità dell’atto impositivo per vizio motivazionale, per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, per violazione della normativa sugli studi di settore; illegittimità delle sanzioni).
La censura è inammissibile con riguardo alle sanzioni, per il resto infondata.
In relazione alle prime devesi rilevare che il relativo profilo è stato articolato in modo del tutto generico, il che non consente a questa Corte di poterne concretamente apprezzare la rilevanza, anche, in ultima analisi, in termini di fondatezza/infondatezza.
Quanto ai profili ulteriori, va ribadito che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01).
Chiaro è che pronunciandosi sul meritum causae il giudice tributario di appello per implicito ha ritenuto infondate le eccezioni de quibus.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.800 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022