Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1697 del 20/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13883/2015 R.,G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Milena Pharmaceutical srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Cinquemani, con domicilio eletto in Palermo, via Terrasanta n. 106;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 3911/30/14, depositata il 17 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera cli consiglio del 28 ottobre 2021 dal Consigliere Enrico Manzon.

RILEVATO

che:

Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 47/4/11 della Commissione tributaria provinciale di Agrigento che aveva accolto il ricorso della Milena Pharmaceutical srl in liquidazione contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2006.

La CTR osservava in particolare che, pur essendo legittima la metodologia accertativa utilizzata dall’Ente impositore (accertamento extracontabile c.d. “induttivo puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d)), stante l’inattendibilità della contabilità aziendale della società contribuente, tuttavia le pretese creditorie erariali non erano adeguatamente fondate su base presuntiva, non essendo al riguardo sufficiente il riferimento allo scostamento reddituale dalla media del settore economico di appartenenza della società contribuente.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

CONSIDERATO

che:

In via preliminare va rilevata l’inammissibilità del controricorso, posto che la controricorrente non ha depositato l’avviso di ricevimento del plico raccomandato con il quale detto atto difensivo sarebbe stato notificato, a mezzo posta tramite ufficiale giudiziario, alla agenzia fiscale ricorrente, il che inibisce alla Corte di accertare il perfezionamento della procedura notificatoria.

Ciò posto in limine, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’agenzia Fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 3.5, comma 2, poiché la CTR ha omesso di considerare gli elementi presuntivi addotti a fondamento dell’atto impositivo impugnato, secondo la metodologia accertativa prevista dalla disposizione legislativa evocata.

La censura è inammissibile.

Va ribadito che:

-“La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass., n. 20910/2017);

-“La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammisstilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate” (Cass., n. 17125/2017);

-“In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).

Il mezzo in esame collide con i principi di diritto rivenienti dai citati arresti giurisprudenziali, per un verso, poiché non colgono l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, che non ha smentito l’applicabilità della metodologia accertativa utilizzata dall’agenzia fiscale (accertamento c.d. “induttivo puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2), quanto invece, su di un piano fattuale di merito, ha negato che le prove presuntive allegate dall’agenzia fiscale medesima siano idonee a fondarne le pretese creditorie, il che, per altro verso, appunto implica una valutazione di non corretto riferimento al parametro di critica di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’agenzia fiscale ricorrente si duole di omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, poiché la CTR non ha adeguatamente argomentato in ordine alle motivazioni dell’avviso di accertamento impugnato, come veicolate nel giudizio di appello con il suo gravame.

La censura è inammissibile.

Va ribadito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, n. 8053 de 07/04/2014).

Sicuramente la motivazione della sentenza impugnata si pone oltre il limite del “minimo costituzionale”, sinteticamente argomentando circa la non adeguatezza delle prove indiziarie addotte con l’atto impositivo de quo e quindi la non fondatezza delle correlative pretese creditorie erariali.

Al riguardo va altresì fatto riferimento e dato seguito al principio di diritto che “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass., n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese stante la rilevata inammissibilità del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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