Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1726 del 20/01/2022

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Gabriella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7910-2020 proposto da:

VILLA ALBA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO DE FEO;

– ricorrente –

contro

V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFONSO MUSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2861/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’08/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LEO.

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 20.8.2019, ha rigettato il gravame interposto da Villa Alba S.r.l., nei confronti di V.L., avverso la pronunzia del Tribunale di Frosinone, resa il 29.3.2017, con la quale era stata accolta la domanda della lavoratrice – dipendente con inquadramento di ausiliario nel livello A2 del CCNL per i Dipendenti di Strutture residenziali e socio-assistenziali AIOP – diretta ad ottenere la dichiarazione del proprio diritto all’inquadramento nella posizione B da febbraio 2010 (attualmente D2 CCNL RSA) e la condanna della datrice di lavoro al pagamento delle conseguenti differenze retributive;

2. la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, verificate le mansioni in concreto svolte dalla V. alla stregua della declaratoria contrattuale, ha reputato che le stesse “fossero superiori – sia qualitativamente che quantitativamente – a quelle di semplice addetta alle pulizie (queste ultime effettivamente inquadrabili nella qualifica sub A comportando capacità tecnico manuali per lo svolgimento di attività semplici ed autonomia esecutiva) poiché erano indirizzate alla cura ed assistenza della persona, coerentemente con la figura professionale dell’operatore socio sanitario di cui all’accordo Stato/Regioni del febbraio 2001, avendone la V. conseguito anche il relativo titolo professionale”, e che “per effetto del richiamo – contenuto nella contrattazione collettiva – alla figura dell’OSS delineata da tale accordo, non sembra dubitabile il diritto all’inquadramento in B2 (e successivamente dal luglio 2012 in D2 CCNL RSA)”;

3. per la cassazione della sentenza Villa Alba S.r.l. ha proposto ricorso affidato ad un motivo ulteriormente illustrato da memoria; V.L. ha resistito con controricorso;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis cod. di rito.

CONSIDERATO

che:

5. con l’unico motivo di ricorso, testualmente, si deduce: “Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), dell’art. 2103 c.c., e delle norme dei contratti collettivi, ratione temporis applicabili al rapporto di lavoro, in materia di classificazione del personale” e si assume che “l’impianto motivazionale della pronuncia impugnata non appare coerente ai fini dell’inquadramento contrattuale nel superiore livello della V., avendo la Corte d’Appello di Roma attribuito valore decisivo alla circostanza che la lavoratrice avesse acquisito il profilo professionale di O.S.S., senza verificare se nel concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro la stessa avesse reso mansioni riconducibili al campo di applicazione della declaratoria contrattuale oggetto di domanda”;

6. il motivo non è meritevole di accoglimento; innanzitutto, la parte ricorrente non ha indicato analiticamente quali siano i “contratti collettivi ratione temporis applicabili” e quali norme dei medesimi, e sotto quale profilo, sarebbero state violate; e ciò, in spregio alla prescrizione di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 cod. di rito, comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente incise, ed altresì con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. n. 187 del 2014; n. 635 del 2015; Cass. n. 19959 del 2014; Cass. n. 18421 del 2009);

7. inoltre, secondo la prospettazione della parte ricorrente, i giudici di secondo grado avrebbero omesso il procedimento logico-giuridico c.d. trifasico, ritenuto necessario, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte, per il corretto inquadramento della lavoratrice; non avrebbero, cioè, accertato quali attività lavorative svolgesse in concreto la dipendente, non avrebbero proceduto all’individuazione delle qualifiche previste dai CCNNLL e non avrebbero operato il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali individuate nella seconda; al riguardo, si rileva la infondatezza della censura, poiché i giudici di seconda istanza sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone di tre fasi (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 20114/2017; 17163/2016; 8589/2015): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi (v., in particolare, le pagg. 2-4 della sentenza impugnata, nonché quanto riportato in narrativa sub 2);

8. per le considerazioni svolte, il ricorso va rigettato;

9. le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

10. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472