Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1753 del 20/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27068-2020 proposto da:

P.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 19, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO MARTINELLI, rappresentata e difesa dall’Avvocato VINCENZO DI PONZIO;

– ricorrente-

contro

D.T.A.M., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dagli Avvocati ANNA ROSA FERRARA, TIZIANA CORETTI;

– controricorrente –

contro

P.L., P.A., P.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 253/2020 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata l’11/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

RITENUTO IN FATTO

– che P.A.M. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 253/20, dell’11 settembre 2020, della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che -accogliendo il gravame principale esperito da D.T.A.M. avverso la sentenza n. 1323/18, del 10 maggio 2018, del Tribunale di Taranto (e, per quanto qui ancora di interesse, dichiarando cessata la materia del contendere tra P.A.M. e P.A., quanto all’appello incidentale proposto dalla prima) – ha condannato l’odierna ricorrente, nel contraddittorio anche di P.L., P.A. e P.P., a pagare alla D. la differenza tra Euro 167.683,61, oltre interessi dal *****, e quanto complessivamente già percetto dalla medesima D. per sorte, capitale ed accessori, in forza di ordinanza ex art. 186-ter c.p.c., emessa dal Tribunale di Taranto in data 11 giugno 2014;

– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce di essere stata convenuta in giudizio – innanzi al Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci, luogo di apertura della successione di P.A.R. – dalla D., vedova del P., chiedendo, in particolare, l’attrice il riconoscimento di un terzo degli utili realizzati dalla farmacia P. dal 1998 al 2006, quantificati in Euro 268.206,33;

– che la P. si costituiva in giudizio chiedendo – previa integrazione del contraddittorio nei confronti dei coeredi, “nel caso di scioglimento della comunione ereditaria” – il rigetto della domanda, agendo in via riconvenzionale affinché fosse accertato sia che la D. “non è titolare di alcun diritto sull’azienda farmaceutica”, e ciò “in conseguenza della vendita dalla medesima effettuata ed accettata con la scrittura del *****”, sia “che la somma di Euro 64.557,11 versata al dante causa a titolo di caparra confirmatoria” con la medesima scrittura dovesse “essere inclusa nell’asse ereditario”;

– che il Tribunale materano, tuttavia declinava la competenza in favore di quello di “Taranto, sul presupposto che la causa radicata innanzi a sé non fosse una controversia successoria, visto che la qualità di erede della D. veniva in rilievo solo come “titolo della sua legittimazione” a far valere crediti maturati in relazione agli utili di azienda sita, appunto, nella circoscrizione del Tribunale tarantino;

– che quest’ultimo, adito in via di riassunzione dalla D., rigettava la domanda della stessa, dichiarandosi, a propria volta, privo di competenza (e ciò sul rilievo che, nella specie, dovesse trovare applicazione l’art. 22 c.p.c.);

– che la sezione distaccata di Taranto della Corte di Appello di Lecce, in accoglimento del gravame principale dell’attrice soccombente, accoglieva, invece, la domanda della D., rilevando che, in difetto di proposizione di regolamento di competenza d’ufficio, il Tribunale tarantino non poteva declinare, a propria volta, la competenza;

– che avverso la sentenza della Corte tarantina ricorre per cassazione la P., sulla base di tre motivi;

– che il primo motivo denuncia “error in procedendo”, che si assume “sostanziato nella violazione dell’art. 324 c.p.c., combinato con l’art. 2909 c.c.”;

– che il motivo, in sostanza, lamenta che l’affermazione del Tribunale di Taranto, circa la propria carenza di competenza, non essendo stata impugnata con regolamento di competenza, sarebbe passata in giudicato, eluso, pertanto, dalla decisione del giudice di appello;

– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2) e 3) – “falsa applicazione dell’art. 22 c.p.c., che designa il Foro delle cause ereditarie”, e ciò “con specifico riferimento al comma 3, riguardante i crediti del defunto”;

– che il medesimo motivo denunzia la “illegittimità della sentenza per carenza della motivazione atteso l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nella notevole evidenza della violazione dell’art. 22 c.p.c.”;

– che il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 93 c.p.c., “in materia di ripartizione delle spese e dei compensi per il difensore, senza considerare il comportamento processuale delle parti;

– che la D. ha resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione;

– che, “in limine”, la controricorrente fornisce una più puntuale ricostruzione dei fatti oggetto del presente giudizio;

– che ella riferisce, segnatamente, come l’azione intrapresa mirasse alla condanna di P.A.M. a pagarle un terzo degli utili aziendali della Farmacia P. di *****, appartenuta al defunto marito, P.R.A. (sposato dalla D. in seconde nozze), e poi ai suoi eredi, utili maturati e non distribuiti dal momento del sequestro giudiziario dell’azienda – disposto nell’ambito di altra controversia, relativa un contratto, poi dichiarato nullo con sentenza, con cui il P. aveva ceduto la propria farmacia al figlio P.P. – fino all’avvenuto trasferimento della stessa, per atto “inter vivos”, dal padre P.A.R. alla figlia P.A.M., in virtù di contratto preliminare concluso il *****;

– che essendo il predetto P.A.R. morto “ab intestato” il *****, i suoi eredi – la moglie e i quattro figli, P.A.M., P.P., P.A. e P.L. – erano autorizzati dal Sindaco del Comune di Statte alla gestione provvisoria triennale della farmacia, quali contitolari della stessa, sotto la direzione di P.A.M., alla quale la farmacia era poi trasferita con sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., giusta provvidemento n. 616/07 del Tribunale Taranto, passato in giudicato;

– che il trasferimento avveniva in esecuzione del ridetto preliminare del *****, con il quale la promissaria acquirente si era obbligata a pagare, oltre ad un modesto corrispettivo in denaro, anche due vitalizi, l’uno in favore del padre (reversibile alla moglie D., in caso di premorienza dello stesso) e l’altro al fratello P.P., nonché ad estinguere i debiti a carico della farmacia esistenti al momento della vendita, tra i quali, appunto, quello relativo al pagamento degli utili della stessa, prodotti e non distribuiti dalla data del sequestro giudiziario (*****) sino al trasferimento dell’azienda, perfezionatosi – il ***** – con il verbale di offerta reale del residuo prezzo di acquisto;

– che la P., pertanto, veniva convenuta in giudizio da essa D. – osserva la controricorrente – non quale erede di P.A.R., ma come acquirente della farmacia e, quindi, titolare di tutti i crediti e debiti aziendali, compresi gli utili della stessa non distribuiti;

– che di tali utili l’allora attrice pretendeva il pagamento, in particolare, dal momento del sequestro giudiziario fino alla morte di P.A.R., quale erede dello stesso, nonché “iure proprio”, per il periodo successivo, ovvero dal decesso dell’uomo fino al trasferimento della farmacia alla figlia A.M., e ciò in ragione della gestione comune della stessa autorizzata dal Sindaco del Comune di Stette;

– che l’adito Tribunale materano – dopo avere inteso, inizialmente, la domanda come di scioglimento della comunione ereditaria (tanto da ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi) – qualificava la stessa come relativa ad un diritto di credito per gli utili della gestione aziendale, declinando la competenza territoriale in favore del Tribunale di Taranto;

– che riassunta dall’attrice la causa innanzi a quest’ultimo, riproponendo le domande già indirizzate al giudice dichiaratosi incompetente (ivi compresa la richiesta di ordinanza ex art. 186-ter c.p.c., in relazione agli utili maturati “iure proprio”), il Tribunale tarantino – dopo aver istruito la causa anche con la testimonianza del custode giudiziario della farmacia e lo svolgimento di una CTU – concedeva il richiesto provvedimento anticipatorio, per l’importo di Euro 167.683,61;

– che dopo la tardiva costituzione in giudizio anche di P.A. (l’unico degli eredi rimasto contumace innanzi al Tribunale di Matera, allorché lo stesso aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio verso tutti gli eredi di P.A.R.), il quale aderiva alla domanda della D., chiedendo la liquidazione della propria quota di utili, tutte le parti rassegnavano le rispettive conclusioni;

– che, nondimeno, il Tribunale di Taranto si pronunciava nel senso di dichiararsi incompetente, a norma dell’art. 22 c.p.c., “per le domande relative all’eredità del de cuius”, ovvero per quelle relative agli utili maturati fino al decesso di P.A.R., rigettando, invece, la domanda concernente gli utili maturati in epoca successiva;

– che su gravame dell’attrice soccombente, la Corte tarantina riformava la decisione del primo giudice, anche in punto di declaratoria di incompetenza, accogliendo la domanda della D. nei termini sopra meglio precisati;

– che tanto premesso in fatto, la D. ha chiesto che il ricorso della P. sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato;

– che sono rimasti intimati P.L., P.A. e P.P.;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio per il 12 ottobre 2021;

– che entrambe le parti hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive argomentazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile, ritenendo questo collegio di doversi discostare dalla proposta formulata dal consigliere relatore, nel senso, invece, della cassazione della sentenza impugnata ex art. 382 c.p.c., comma 3;

– che la stesura del ricorso, infatti, non è avvenuta nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), non recando lo stesso un’adeguata esposizione dei fatti di causa, una più completa comprensione dei quali – quantunque non del tutto esaustiva – è stata tratta solo dal controricorso e, in parte, dalla sentenza impugnata;

– che, sul punto, va dato seguito a quanto affermato, a più riprese, da questa Corte, ovvero che la esposizione sommaria dei fatti di causa, ponendosi quale specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una narrazione idonea garantire al giudice di legittimità “di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia ed oggetto di impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. 18 maggio 2006, n. 11653, Rv. 588760-01);

– che, difatti, la prescrizione di tale requisito “risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato” (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2003 n. 2602, Rv. 560622-01);

– che di conseguenza, perché possa ritenersi soddisfatto il requisito “de quo”, occorre che il ricorso per cassazione rechi “l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito” (Cass. Sez. 6-3, ord. 3 febbraio 2015, n. 1926, Rv. 634266-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 3, ord. 9 marzo 2018, n. 5640, Rv. 648290-01);

– che resta, infine, inteso che detto requisito “deve essere assolto necessariamente con il ricorso e non può essere ricavato da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perché la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto” (Cass. Sez. 6-3, ord. 22 settembre 2016, n. 18623, Rv. 642617-01);

– che tale deficit espositivo, in particolare, non consente di ricostruire quale sia stato il dispositivo della sentenza del Tribunale di Taranto, né la motivazione della stessa, della quale è solo fotocopiata una pagina (inserita subito dopo la pagina 23 del ricorso), dalla quale non è possibile evincere quale sia stata la “ratio decidendi” della pronuncia;

– che siffatta omissione, non permette, in particolare, di stabilire se la decisione adottata – a fronte di quello che parrebbe essere stato un cumulo soggettivo di domande – sia consistita soltanto nella declaratoria d’incompetenza, ovvero nel rigetto di talune domande, accompagnata dalla scelta di declinare la competenza in relazione alle domande qualificate, invece, come successorie;

– che siffatta circostanza, quindi, impedendo di stabilire se quella resa in prime cure fosse una “sentenza esclusivamente sulla competenza”, e dunque da “impugnare con il regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c., e non con l’appello”, impedisce di trarre – come invece ipotizzato nella proposta del consigliere relatore – l’ulteriore conseguenza per cui la Corte territoriale “avrebbe dovuto, pertanto, rilevare che l’appello era inammissibile e non scrutinabile nell’erronea supposizione che lo fosse” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 9 gennaio 2013, n. 377; si veda anche, più di recente, sempre in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 luglio 2021, n. 20839);

– che il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile;

– che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando P.A.M. a rifondere, a D.T.A.M., le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro, 4.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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