Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1761 del 20/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLÈ Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13492-2020 proposto da:

COMUNE DI PESCIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEI LOMBARDI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO TURCO, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO VICICONTI;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGI SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato NICOLA D’IPPOLITO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO LOVO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 197/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO BELLE’.

RITENUTO

che:

1. la Corte d’Appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio, seguito all’annullamento della precedente condanna al risarcimento dei danni da demansionamento per erronea applicazione dei criteri di cui all’art. 2103 e non invece, trattandosi di pubblico impiego, di quelli di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, ha riconosciuto il verificarsi di un totale svuotamento di mansioni ai danni di P.M., funzionario di segreteria ed ha ritenuto l’esistenza di nesso causale rispetto ad un danno psichiatrico del 17%, condannando il Comune di Pescia al relativo risarcimento;

2. il Comune ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui il P. ha opposto difese con controricorso;

3. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

4. il Comune ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo di ricorso è rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e con esso si sostiene che la motivazione della Corte territoriale rispetto al verificarsi di uno svuotamento di mansioni sarebbe apparente e comunque illegittima, per avere del tutto pretermesso qualsiasi valutazione degli elementi probatori offerti dell’Amministrazione;

2. la Corte territoriale ha motivato precisando preliminarmente come, nel caso di specie, non venisse in gioco una questione di equivalenza di mansioni attribuite rispetto a quelle di inquadramento, quanto il verificarsi di uno “svuotamento” di mansioni;

3. la medesima Corte ha quindi ampiamente argomentato richiamando deposizioni testimoniali (testi F., L. ed E., ma anche teste B.), osservazioni del Segretario Generale del Comune in ordine all’assenza di sufficienti direttive di lavoro per il P., un provvedimento del Sindaco che dava atto dell’inutilizzazione del lavoratore e facendo infine riferimento all’inefficacia, anche, della poi avutasi assegnazione alla U.O. Marketing, rimasta priva di addetti, fondi e precise competenze;

4. di motivazione apparente può parlarsi quando il giudice non manifesti il fondamento del proprio convincimento, in modo tale che “non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio” (Cass. n. 13948/9090; Cass. n. 9105/2017), come chiaramente non può dirsi accaduto nel caso di specie, ove si consideri il riepilogo appena svolto dell’asse motivazionale, calibrato su una serie di dati istruttori tra loro posti in relazione argomentativa;

5. è del resto acquisito alla giurisprudenza di questa S.C. che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non individui un’ipotesi di mera insufficienza motivazionale (Cass., SU, n. 8053/2014), quale potrebbe derivare dall’espressione del convincimento attraverso il richiamo solo alle prove che, in positivo, ne abbiano corroborato la formazione, presupponendo la norma l’individuazione esatta di singoli fatti di cui si stata omessa la considerazione ed il cui apprezzamento sarebbe stato tale, se avvenuto, da sovvertire l’esito della decisione;

6. il motivo in esame non può dirsi rispondente a tali restrittivi e rigorosi canoni, in quanto esso ha la sostanza, invece, di una complessiva ricostruzione di un diverso possibile esito interpretativo rispetto alle prove disponibili, manifestandosi come espressione di difformità rispetto) alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati o all’istruttoria nel suo complesso e così risolvendosi, in sostanza, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass., S.U. n. 24148/2013).

5. neppure può ritenersi che possa spettare al giudice di legittimità – in ipotesi – estrapolare da un insieme ricostruttivo quale quello appena evidenziato, singoli fatti storici ipoteticamente idonei ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., al predetto n. 5, a ciò ostando il carattere di critica vincolata e di specificità (nel suo insieme sotteso al disposto dell’art. 366 c.p.c.), che connota l’impugnazione per cassazione;

6. il secondo motivo è ancora rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e con esso si assume il travisamento della prova peritale acquisita in causa attraverso) consulenza tonica d’ufficio;

7. il motivo fa riferimento, riportandone le conclusioni, ad un elaborato peritale depositato il 2.7.2008;

8. lo stesso ricorrente, a pag. 6 del ricorso per cassazione, fa tuttavia riferimento ad un ulteriore elaborato di c.t.u., successivo al primo, di cui però non è menzione alcuna nel motivo riguardante gli esiti peritali;

9. è ben vero) che, secondo il quesito a base di tale secondo incarico) quale riportato alla predetta pag. 6, si sarebbe trattato di perizia valutativa soltanto del danno e non del nesso causale;

10. tuttavia, non e pensabile che l’ipotesi del travisamento degli esiti peritali sia sollecitata riportando in modo assolutamente parziale l’attività complessivamente svolta dal c.t.u., anche tenuto conto che in sentenza si afferma che “la c.t.u. elaborata in primo grado… ha chiaramente posto in relazione il danno psicologico… con le condizioni lavorative in cui il P. è stato costretto ad operare”;

11. ne resta violato un onere di completezza critica e ricostruttiva che chiaramente, ai sensi del già richiamato art. 366 c.p.c., certamente incombe su chi impugni, il che comporta di per sé l’inammissibilità anche di tale motivo;

12 ciò, rispetto al motivo in esame, risulta assorbente, pur dovendosi sottolineare altresì che l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, cui il ricorrente riporta la censura, non può riguardare l’ipotetico mancato esame di documenti o di attività istruttorie, quanto l’omesso esame di fatti storici, quale non sarebbe comunque l’erronea valutazione degli apprezzamenti peritali;

13. il ricorso va quindi disatteso, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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