LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
M.D., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati Cesare Bona, e Federico Canalini, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Collazia n. 2/F.
– ricorrente –
contro
Mi.Fr., e Mi.Ro., rappresentati e difesi per procura alle liti a margine del controricorso dagli Avvocati Cesare Antonio Ravetta, e Filippo Bellinzoni, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Antonio Mordini n. 14.
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3941 della Corte di appello di Milano, depositata il 24.10.2016.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3.11.2021 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 3941 del 24.10.2016 la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda proposta da M.D. di condanna di Mi.Fr. e Mi.Ro., quali eredi di Mi.Ca., al pagamento della somma di Euro 45.573,99, quale saldo dei suoi compensi per lo svolgimento di attività di progettazione ed altre attività professionali. La Corte motivò la sua decisione rilevando che l’eccezione degli appellanti di prescrizione presuntiva del credito vantato dall’attore era fondata, tenuto conto, da un lato, che essa non era incompatibile, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, con le altre eccezioni sollevate dai convenuti di adempimento e, in via subordinata, di estinzione del credito per compensazione con il credito dagli stessi vantato per i vizi di uno dei fabbricati progettati dalla controparte e, dall’altro, che, prima che il professionista ne chiedesse il pagamento, era decorso il termine di tre anni da quando era maturato il diritto azionato previsto dall’art. 2956 c.c..
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 20.1.2017, propone ricorso M.D., sulla base di un unico motivo.
Resistono con controricorso Mi.Fr. e Mi.Ro..
La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. L’unico, articolato motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2959 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere accolto l’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dalla controparte, che invece, ai sensi della disposizione codicistica citata, avrebbe dovuto essere respinta, per avere i convenuti adottato una condotta difensiva incompatibile con il fatto oggetto della presunzione stessa, avendo essi eccepito l’adempimento del debito, contestato il quantum e dedotto la sua estinzione in forza di compensazione con un asserito loro credito di natura risarcitoria.
Il motivo è infondato.
L’art. 2956, collocato nell’ambito delle disposizioni sulle prescrizioni presuntive, stabilisce che “Si prescrive in tre anni il diritto… 2) dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative”.
Come è noto la prescrizione presuntiva trova fondamento nella supposizione, avente fonte legale, che determinati crediti, per il tipo di contratti da cui sono sorti, vengano estinti sollecitamente, in un lasso di tempo ristretto, con l’effetto che, trascorso un certo periodo da quando sono sorti senza che il creditore abbia fatto valere la sua pretesa, si presumono estinti. La prescrizione presuntiva non opera sul piano del diritto sostanziale, come la prescrizione estintiva, che, laddove venga sollevata, è causa di estinzione del diritto, ma si dispiega interamente sul terreno della prova nel processo, ponendo a favore del debitore la presunzione legale che, una volta trascorso il periodo di tempo previsto dalla legge, l’obbligazione si sia estinta. Si tratta di una presunzione legale semplice, potendo il creditore contestarla, deferendo il giuramento decisorio “per accertare se si è verificata l’estinzione del debito” (art. 2960 c.c.). Proprio perché opera sul piano della prova e non su quello sostanziale, il fatto (incerto) in essa presunto va tuttavia escluso in tutte le ipotesi in cui il debitore sollevi nel processo eccezioni e difese che, essendo incompatibili con esso, lo smentiscano. L’art. 2959 c.c., che ha formalizzato una regola già formulata dalla giurisprudenza e dottrina sotto il vigore del codice precedente, stabilisce così che l’eccezione di prescrizione presuntiva va rigettata in tutti i casi in cui chi la oppone ammette “che l’obbligazione non si è estinta”. Ciò si verifica nel caso in cui il debitore sollevi eccezioni incompatibili, anche in modo implicito, sul piano logico e giuridico, con il verificarsi dell’estinzione dell’obbligazione, come nel caso in cui contesti l’an della pretesa, vale a dire l’esistenza o la validità del titolo o di non essere lui ma altri il debitore ovvero la prestazione da cui sorgerebbe il suo debito, ovvero il quantum, situazioni che presuppongono che il credito non sia stato estinto.
Tanto precisato, la questione posta dal ricorrente è se, come da lui sostenuto, il fatto estintivo presunto dalla legge ai fini della prescrizione in discorso sia solo e unicamente il pagamento del debito, con l’effetto che la deduzione da parte del debitore di un altro fatto estintivo, nella specie l’eccezione di compensazione, sarebbe contrastante con tale fatto, determinando per tale ragione il rigetto dell’eccezione, ai sensi del citato art. 2959, oppure se non vi sia alcuna incompatibilità tra l’una e l’altra eccezione, essendo quella di compensazione diretta comunque a far valere un fatto estintivo dell’obbligazione ovvero, per usare le parole della Corte di appello, non costituendo la relativa eccezione ammissione del fatto che l’obbligazione non è stata estinta.
La questione non è nuova e risulta diversamente risolta dalla giurisprudenza di questa Corte. Così, accanto a decisioni che non ravvisano alcuna inconciliabilità nel comportamento del debitore che eccepisca la prescrizione presuntiva e deduca altresì una qualsiasi causa estintiva del debito originario, diversa dall’adempimento, come la datio in solutum, la compensazione o la transazione novativa (Cass. n. 4771 del 1980; Cass. n. 3879 del 1980), arresti invero recenti si sono schierati nel senso della incompatibilità (Cass. n. 1970 del 2019; Cass. n. 2124 del 1994; Cass. n. 1149 del 1981). La stessa diversità di soluzioni si rinviene in dottrina, tra quanti ritengono che la prescrizione presuntiva possa essere riferita a qualsiasi causa di estinzione dell’obbligazione e quanti invece la intendono riferita al solo pagamento.
Ciò posto, la soluzione non può che muovere dall’interpretazione testuale del dettato normativo, osservando che esso fa riferimento unicamente all’estinzione dell’obbligazione, cioè ai fatti estintivi della stessa, senza circoscrivere tali fatti al solo adempimento. Così sia gli artt. 2954, 2955 e 2956, sia l’art. 2960, in tema di delazione del giuramento, ove nuovamente si precisa che tale mezzo di prova è diretta ad accertare se si è verificata ” l’l’estinzione del debito “, senza menzionare il solo pagamento. Ora, poiché lo stesso codice indica tra i fatti estintivi dell’obbligazione sia l’adempimento sia gli altri modi indicati dagli artt. 1230 e segg., appare condivisibile la soluzione fatta propria dalla Corte di merito, che riferisce la prescrizione presuntiva alla presunzione che sia verificato uno qualsiasi dei fatti estintivi dell’obbligazione, senza limitazioni e distinzioni. Deve quindi ritenersi che le prescrizioni presuntive riguardino non soltanto l’ipotesi del pagamento, ma anche quella di estinzione dell’obbligazione per effetto di tutti gli altri modi previsti dalla legge.
La tesi contraria sostenuta dal ricorso non sembra possa validamente fondarsi sul rilievo che la ratio ispiratrice dell’istituto delle prescrizioni presuntive risiede nella supposizione che i debiti nascenti da determinati rapporti contrattuali, per la loro particolare tipologia, siano pagati entro un breve lasso di tempo, con l’effetto che ciò che la legge presume è il pagamento e non altro. In senso diverso appare invero del tutto plausibile ricostruire il fondamento dell’istituto nella considerazione secondo cui, per prassi e per esigenze di certezza commerciale, se il creditore di determinate prestazioni non avanza richiesta di pagamento per un certo lasso di tempo, è ragionevole ritenere che tale inattività trovi la sua ragion d’essere nel fatto che il suo credito si sia estinto; non solo quindi per il fatto dell’avvenuto pagamento, ma in ragione anche di intervenuta rimessione del debito, di novazione del rapporto o di compensazione, ecc.. Ed invero la prescrizione presuntiva, pur distinguendosi dalla prescrizione ordinaria, appare pur sempre fondata sull’inerzia del creditore.
Va inoltre osservato che la tesi contraria, sostenuta nel ricorso e qui disattesa, appare obiettivamente mal conciliarsi con il disposto dell’art. 2959, che, come si è detto, prevede che l’eccezione di prescrizione presuntiva vada rigettata nel caso in cui il debitore ammetta in giudizio “che l’obbligazione non è stata estinta”, pervenendo alla medesima conclusione di rigetto anche nel caso, opposto, in cui il debitore eccepisca proprio l’avvenuta estinzione dell’obbligazione. L’obiezione secondo cui tale conclusione discenderebbe dalla premessa, che il fatto presunto dalla legge sia solo ed esclusivamente il pagamento, fornisce certo una giustificazione, ma non sembra risolvere il contrasto insito in tale esito interpretativo.
A sostegno della conclusione accolta sembra invece militare il rilievo, di carattere esegetico, che il codice civile del 1942, in tema di prescrizione presuntiva, non abbia sostanzialmente modificato, restringendola alla sola ipotesi della presunzione di pagamento, la formula normativa utilizzata, a proposito delle “prescrizioni più brevi”, dagli artt. 2138 c.c. e segg., del 1865, pur essendosi all’epoca affermata in giurisprudenza e in dottrina la tesi secondo cui l’allegazione di cause liberatorie, diverse dal pagamento, non fosse incompatibile con l’eccezione di prescrizione presuntiva (Cass. 25. 2. 1932, in Rep. Foro it. 1932, voce “Prescrizione civile”, n. 59, Cass. 27.7.1939, in Rep. Foro it. 1939, voce “Prescrizione civile”, n. 131). L’argomento principale di critica sollevato dal motivo va pertanto respinto.
Con riferimento alle altre doglianze, secondo cui l’eccezione in parola avrebbe dovuto essere rigettata per avere i convenuti eccepito l’inadempimento e contestato il quantum del credito, si osserva che, dalla stessa lettura del ricorso, risulta che tali eccezioni non sono state veicolate dai convenuti in forma autonoma, ma si collegavano alla dedotta eccezione di compensazione della pretesa azionata dalla controparte con il loro credito per vizi di costruzione dell’immobile ascrivibili al progetto redatto dal geom. M. e di cui egli chiedeva il pagamento in questo giudizio.
Le censure sollevate sono peraltro inammissibili, in quanto, non essendo state le relative deduzioni difensive ed i fatti ivi esposti in alcun modo esaminati dalla Corte di appello, che ha limitato il proprio decisum alla questione della compatibilità in astratto delle eccezioni di prescrizione presuntiva e di compensazione, il ricorso avrebbe dovuto denunziare la sentenza impugnata non sotto il profilo della violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che è il solo sollevato, ma denunziando una violazione delle norme processuali per omesso esame ed omessa pronuncia sulle proprie deduzioni difensive.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022
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