Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1827 del 20/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21220-2020 proposto da:

DUEPUNTOZERO NPL S.P.A. (società procuratrice della DUOMO SPV S.R.L.), con sede in Milano, al Corso Monforte n. 15, in persona del procuratore speciale Dott. R.N.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Prof. Sanasi d’Arpe Vincenzo, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla Piazza del Popolo n. 3;

– ricorrente –

contro

B.G., in proprio e quale erede d.R.d.P., D.R.C. e G.C., tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato Triolo Giacomo, con cui elettivamente domiciliano in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione;

– controricorrenti –

avverso la sentenza, n. cronol. 2238/2019, della CORTE di APPELLO di PALERMO, depositata in data 15/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 11/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.

FATTI DI CAUSA

1. La International Credit Recovery (8) s.r.l. (per il prosieguo, breviter, I.C.R.), quale cessionaria di crediti vantati dal Banco di Sicilia s.p.a. verso D.R.C. e dei suoi fideiussori D.R.P., C.G. e B.G., chiese ed ottenne, dal Tribunale di Agrigento, un’ingiunzione solidale di pagamento, nei loro confronti, per l’importo di Euro 558.921,00, oltre interessi, complessivamente risultanti dagli estratti del conto corrente ordinario e dei conti anticipi per crediti di cantiere e su fatture intrattenuti da D.R.C. presso il suddetto Banco.

1.1. Proposta opposizione ex art. 645 c.p.c. dagli ingiunti, il menzionato tribunale l’accolse parzialmente, revocò l’ingiunzione e condannò i primi al pagamento, in favore di I.C.R., della minor somma di Euro 334.502,00, oltre interessi, valorizzando il “riconoscimento di debito effettuato dagli opponenti nei confronti del Banco di Sicilia – dante causa dell’opposta – a mente del quale, con atto notarile di consenso ad iscrizione di ipoteca del 20 novembre 2007 in Notar M.N. di Favara, D.R.C. (e gli altri opponenti hanno confermato) si è riconosciuto debitore, nei confronti del Banco di Sicilia s.p.a., della complessiva somma”, come ivi puntualmente dettagliata.

2. Il gravame proposto contro questa decisione da D.R.C., D.R.P., C.G. e B.G. è stato accolto dalla Corte di appello di Palermo, la quale, nel contraddittorio con la I.C.R., con sentenza del 15 novembre 2019, n. 2238, ha respinto tutte le domande formulate da quest’ultima nel suo originario ricorso per ingiunzione (nonché quelle riconvenzionali ivi riproposte dagli appellanti).

2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte ha preliminarmente rimarcato che, a fronte della contestazioni del debitore e dei suoi fideiussori, “…la cessionaria (…) del credito si è limitata a richiamare la produzione della fase monitoria, cioè l’atto di costituzione di ipoteca con riconoscimento di debito, e le certificazioni ex art. 50 TUB, consistenti, per i diversi rapporti, in prospetti contabili sintetici contenenti essenzialmente saldi di periodo, e interessi applicati; non ha prodotto, come peraltro pure evidenziato dal Tribunale, i vari contratti e gli estratti-conto dell’intero periodo da prendere in considerazione, così da rendere impossibile (il che rileva nei termini di cui si dirà appresso) la esatta ricostruzione dell’andamento del rapporto”. Successivamente, ha opinato che “la ricognizione di debito, ex art. 1988 c.c., ha la (sola) funzione di invertire l’onere della prova dell’inesistenza o dell’invalidità, parziale o totale, dell’obbligazione sul debitore, senza impattare sulla eventuale invalidità del negozio o di singole clausole contrattuali in questo senso, il Supremo Collegio ha evidenziato (Cass. n. 19792 / 2014), ad esempio, che il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti. Nel caso di perle, la contestazione degli opponenti è stata radicale, nel senso che costoro hanno addirittura eccepito l’inesistenza dei contratti (di conto corrente e di apertura del credito, con riguardo ai rapporti pure richiamati nel corpo del ricorso monitorio): di guisa che, incidendo le contestazioni non sulla sussistenza ed entità delle obbligazioni assunte, bensì, a monte, sulla validità (ex art. 117 TUB) dei rapporti, era onere della società opposta, anche quale cessionaria del credito, produrre quanto necessario a consentire di accertare la validità dei rapporti, e delle clausole applicate, e in tal modo poi poter determinare l’efficacia delle obbligazioni riconosciute (anche verso i garanti. Difettando tali elementi, non solo l’opposizione andava (come lo è stato) accolta, ma era, ed e’, da disattendere ogni pretesa della ICR s.r.l., stante l’impossibilità di dimostrare la validità dei rapporti su cui si fonda il credito poi oggetto di cessione”.

3. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la Duepuntozero NPL s.p.a., quale procuratrice della Duomo SPV s.r.l., cessionaria dei crediti di ICR, affidandosi ad un motivo. Resistono, con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 380-bis c.p.c., B.G., in proprio e quale erede D.R.d.P., nonché D.R.C. e C.G..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico formulato motivo lamenta la “Violazione e/ o falsa applicazione di norma di diritto, segnatamente dell’art. 1988 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. In estrema sintesi, e premettendosi che la ricognizione di debito non può “incidere sulla validità del negozio con efficacia, per così dire, “sanante”” ma “inverte l’onere di provare l’eccepita inesistenza, nullità, estinzione del rapporto fondamentale dal creditore al debitore”, si assume che: i) “l’odierna ricorrente, avendo depositato l’atto notorio costitutivo di ipoteca ricognitivo del debito, sottoscritto dal debitore e dai garanti, era dispensata dal dover provare l’esistenza dell’obbligazione a monte della dichiarazione, penando, viceversa alla controparte l’onere di dimostrare giudizialmente l’asserita inesistenza/ nullità”; ii) “tale onere non è stato assolto dai resistenti, i quali non hanno provato l’inesistenza dei contratti né la nullità delle clausole contrattuali, limitandosi ad asserirla apoditticamente”.

2. La descritta doglianza si rivela complessivamente inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, risultando la decisione della corte distrettuale conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, né offrendo la ricorrente elementi idonei a rivederla.

2.1. Invero, va in primo luogo respinta l’eccezione di carenza di autosufficienza, e di conseguente inammissibilità, della censura come sollevata dai controricorrenti, posto che le ragioni giuridiche di quest’ultima e le relative norme di riferimento sono agevolmente desumibili dall’insieme degli argomenti addotti dalla ricorrente.

2.2. Deve rammentarsi, poi, che, secondo l’ormai costante orientamento di questa Corte, “la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, da cui deriva una semplice “relevatio ab onere probandi” che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della licognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento” (0-., ex multis, Cass. n. 24451 del 2020; Cass. n. 20689 del 2016; Cass. n. 26334 del 2016, la quale ha ritenuto applicabile il medesimo principio in favore della cessionaria del credito ove l’atto ricognitivo contenga – come nella specie – l’indicazione della causa debendi; Cass. n. 11332 del 2009. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass. n. 39123 del 2021; Cass., SU, n. 6459 del 2020; Cass. n. 19792 del 2014; Cass. n. 13506 del 2014; Cass. n. 21098 del 2013).

2.2.1. In altri termini, la ricognizione di debito ex art. 1988 c.c. è una dichiarazione unilaterale a forma libera, che presuppone la sussistenza di una valida ragione di debito. Ha rilievo di astrazione della causa debendi sul piano processuale, consentendo di presumere l’esistenza e la validità di un rapporto che ne costituisce il fondamento, dispensando colui a favore del quale è operata dall’onere di provarlo, ma non ha valenza sul piano sostanziale, potendo la controparte, con ogni mezzo, fornire prova dell’inesistenza, dell’invalidità o dell’estinzione di tale rapporto. Ciò implica che qualora il debitore dimostri che il rapporto suddetto non è mai sorto o è invalido o è inesistente, ovvero esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione (o sulla effettiva entità di quest’ultima) derivante dal riconoscimento, allora viene meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa (cfr., ex aliis, Cass. n. 20689 del 2016; Cass. n. 11332/2009).

2.3. Fermo quanto precede, nella specie è intuitivo che, a fronte della dedotta (dagli opponenti/appellanti) nullità delle clausole contrattuali dei contratti di conto corrente (ordinario; anticipi crediti di cantiere; anticipi su fatture) concernenti la determinazione dei dovuti interessi (per illegittima applicazione di tassi ultralegali; per anatocismo; per loro pretesa usurarietà) e l’applicazione della commissione di massimo scoperto, i corrispondenti rapporti cui la ricognizione di debito si riferiva non potevano certamente ritenersi insussistenti o totalmente invalidi.

2.3.1. La corte di appello, però, benché implicitamente, ha riconosciuto la nullità delle clausole predette, come dimostra il suo assunto per cui, a fronte delle contestazioni degli opponenti/appellanti, la cessionaria “… non ha prodotto, come peraltro pure evidenziato dal Tribunale, i vari contratti e gli estratti-conto dell’intero periodo da prendere in considerazione, così da rendere impossibile la esatta ricostruzione dell’andamento del rapporto” pag. 5 della sentenza impugnata). Alteris verbis, secondo la corte palermitana quelle clausole dovevano considerarsi nulle ed ICR non aveva prodotto i vari contratti ed estratti conto dell’intero periodo in contestazione onde consentire, così, in relazione alla eccepita nullità, il ricalcolo del dare e dell’avere a decorrere dall’inizio dei rapporti.

2.3.2. Ebbene, la odierna ricorrente, lungi dal censurare il profilo della ritenuta nullità delle suddette clausole, si è doluta dell’esito della valutazione della prova. Ciò nel rilievo che gli appellanti non avevano fornito la minima prova in merito all’eventuale inesistenza o invalidità del debito riconosciuto.

2.3.2.1. Questo però, da un lato, si risolve in un inammissibile sindacato di fatto; dall’altro, tradisce un errore prospettico, dal momento che, per superare la valenza presuntiva di un atto di ricognizione di debito, è sì possibile dimostrare (ovviamente) l’inesistenza o l’invalidità del rapporto fondamentale, ma è anche possibile liberarsi dal vincolo provando che il rapporto (rectius: il credito da esso derivato) si atteggia in modo diverso, giustappunto perché la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazioni (cfr. Cass. n. 26334 del 2016, in motivazione).

2.3.2.2. Ne consegue che, eccepita la nullità, nei termini predetti, delle clausole dei rapporti sottostanti all’atto ricognitivo del debito, la corte territoriale, verificato il fondamento di tale eccezione (con valutazione interamente a lei rimessa), correttamente ha considerato infondata l’intera pretesa creditoria oggetto della originaria domanda monitoria di ICR, non avendo quest’ultima prodotto i vari contratti ed estratti conto dell’intero periodo in contestazione, così precludendo il ricalcolo del dare e dell’avere a decorrere dall’inizio dei rapporti.

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (O-. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Duepuntozero NPL s.p.a., quale procuratrice della Duomo SPV s.r.l. (cessionaria dei crediti di ICR), al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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