LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L.C. – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25929-2020 proposto da:
C.C., quale titolare dell’Impresa Boschiva Campagnanese di C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTEZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato BERNARDI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
UNIVERSITA’ AGRARIA DI CAMPAGNANO DI ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 87, presso lo studio dell’avvocato ANTONICELLI GIORGIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3609/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI LAURA.
RITENUTO
Che:
C.C., quale titolare dell’Impresa Boschiva Campagnanese di C.C., propone ricorso per cassazione con sei mezzi, corredati da memoria, nei confronti dell’Università Agraria di Campagnano di Roma avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 20/7/2020. L’Università replica con controricorso.
La Corte distrettuale ha rigettato l’appello dell’attuale ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Tivoli con la quale era stata rigettata la domanda di pagamento di Euro 17.792,50 =, proposta da Capuani nei confronti dell’Università, a titolo di restituzione dell’indebito e di risarcimento del danno in conseguenza del contratto di compravendita di legname stipulato in data 2/5/2009 tra le parti; inoltre, C., in accoglimento della domanda riconvenzionale, era stato condannato a restituire all’Università l’importo di Euro 40.070,00 =.
La Corte di appello, accolta l’eccezione di nullità del contratto in ragione del mancato espletamento della procedura di evidenza pubblica, ha, tuttavia disatteso la domanda del C. di restituzione delle somme versate in adempimento dell’obbligo del pagamento del taglio di legna, che avrebbero dovuto essere corrisposte mediante sconto nella vendita della legna ritratta agli associati, e di riforma della condanna emessa nei suoi confronti per mancato assolvimento dell’onere probatorio. Segnatamente, ha affermato “L’inesistenza di una fonte valida di obbligazione di pagamento a carico dell’Ente rende del tutto priva di rilevanza giuridica l’asserita ricognizione di debito. Si osserva sotto altro autonomo profilo che privi di ogni valenza probatoria a favore dell’appellante sono il verbale “verifica quote legna” redatto dal segretario dell’ente, che sul piano soggettivo ed oggettivo non integrano una ricognizione di debito, come pure i mandati di pagamento emessi in violazione del procedimento di cui agli artt. 182 e ss. TUEL in assenza di contratto scritto che prevedesse siffatto obbligo di pagamento” (fol.3 della sent.). Ha, quindi, confermato l’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall’Università perché il pagamento era stato effettuato senza un contratto scritto e ciò rendeva irrilevante l’asserita ricognizione di debito.
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
CONSIDERATO
Che:
1.1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione carente o apparente (violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.). Sostiene il ricorrente che la Corte capitolina ha negato valenza probatoria ad un documento (il “verbale di verifica quota legna”, prot. N. 120 del 23/10/2010), solo perché non integrava un riconoscimento di debito ex art. 1998 c.c., senza tuttavia verificare se il documento fosse qualificabile come atto di ricognizione.
1.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2720 c.c. per non avere rilevato la Corte di appello che il verbale di “verifica quota di legna” era sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 2720 c.c..
1.3. Con il terzo motivo ci si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, perché la Corte di merito non avrebbe considerato l’art. 23 Statuto, che attribuiva al Segretario dell’Ente, che aveva sottoscritto il verbale di cui sopra, il potere di rilasciare documenti ed emettere atti a rilevanza esterna.
1.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2702 c.c., perché nella non creduta ipotesi in cui il Segretario dell’Ente fosse considerato “terzo” rispetto all’Università, comunque il verbale in questione non sarebbe stato privo di efficacia probatoria, ma avrebbe avuto valore indiziario ai sensi dell’art. 2702 c.c..
1.5. Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte di appello considerato le dichiarazioni dei testimoni, i quali avevano confermato che all’esito dell’istruttoria del Segretario dell’Ente, era stato accertato che il C. aveva versato all’Università, mediante sconti agli utenti, la somma di Euro 60.000,00 =.
1.6. Con il sesto motivo il ricorrente sostiene che l’omessa considerazione delle prove testimoniali comporta la nullità della sentenza, perché la motivazione in punto di prova del pagamento del corrispettivo deve ritenersi inesistente o solo apparente, in violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c..
2.1. Il primo motivo di ricorso è fondato va accolto, con assorbimento degli altri motivi.
2.2. La Corte di appello, dopo avere accertato la nullità del contratto perché concluso senza l’espletamento della gara per l’individuazione del contraente, ha riconosciuto l’astratto diritto di C. “alla restituzione delle somme versate in adempimento dell’obbligo di pagamento del taglio di legna. Dette somme avrebbero dovuto essere corrisposte mediante sconto nella vendita della legna riservata agli associati” (fol. 2 della sent. imp.), salvo ad escludere in concreto la ricorrenza del diritto alla restituzione in favore di C. perché non era stata fornita la prova delle prestazioni eseguite in favore degli associati, mentre ha confermato l’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall’Università e la conseguente condanna del C. a restituire i pagamenti percepiti in ragione del contratto nullo.
2.3. Tuttavia, sia la ricostruzione della fattispecie concreta attuata mediante mero rinvio per relationem alla prima decisione -, che la motivazione svolta in merito alle domande restitutorie, conseguenti alla declaratoria di nullità del contratto, risultano assertive ed apparenti, così come denunciato dal ricorrente.
2.4. Va rammentato che “In tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame.” (Cass. n. 27112 del 25/10/2018) e che ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, anche quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 13977 del 23/05/2019).
2.5. Nel caso di specie, infatti, in maniera del tutto apodittica e cioè, senza disamina degli obblighi e delle prestazioni previste dal contratto, sia pure nullo, e dei compiti e delle funzioni del Segretario dell’Ente, nonché dei documenti prodotti, è stato negato valore probatorio a tutto; è stato inoltre affermato che mancava la prova delle prestazioni effettivamente eseguite da C., senza svolgere alcuna considerazione sulle prove testimoniali dedotte in merito.
L’apparenza della motivazione non consente di seguire il percorso logico giuridico seguito per la formazione del convincimento.
2.6. Sia pure in relazione a fattispecie parzialmente diverse, questa Corte affermato che nell’ipotesi di nullità di un contratto, la disciplina degli obblighi restitutori tra le parti è mutuata da quella dell’indebito oggettivo, poiché viene a mancare la causa giustificativa delle rispettive attribuzioni patrimoniali (Cass. n. 2993 del 31/01/2019), che “L’accertamento con sentenza della nullità del titolo sulla base del quale è stato effettuato un pagamento dà luogo ad un’azione di ripetizione di indebito oggettivo, il cui termine di prescrizione inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza medesima; infatti, prima di tale momento permane l’esistenza del titolo che aveva dato luogo al versamento della somma ed è esclusa la possibilità legale dell’esercizio del diritto.” (Cass. n. 12038 del 12/09/2000) e che “La dichiarazione di nullità di un contratto di vendita non travolge di per sé sola gli effetti confessori della dichiarazione, in esso contenuta, con cui il venditore riconosce di aver incassato il prezzo. Ne consegue che tale dichiarazione, anche se inserita nel contratto dichiarato nullo, può costituire prova dell’avvenuto pagamento nel giudizio di restituzione dell’indebito conseguente alla dichiarazione di nullità.” (Cass. n. 9719 del 26/05/2020), con l’effetto che anche l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo la quale “L’inesistenza di una fonte valida di obbligazione di pagamento a carico dell’Ente rende del tutto priva di rilevanza giuridica l’asserita ricognizione di debito” (fol. 3 della sent. imp.) ed il diniego di valenza probatoria quale ricognizione di debito dei mandati di pagamento disposti dall’Ente, non può essere condivisa in quanto sembra quasi negare la possibile ricorrenza dell’indebito oggettivo e risulta formulata in maniera astratta, senza specifici e concreti riferimenti alla fattispecie in esame.
3. In conclusione, il primo motivo va accolto, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del presente grado.
PQM
– Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del presente grado.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022