LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3009/2021 R.G. proposto da:
O.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Sgarbi, con domicilio eletto in Roma, via F. Cesi, n. 72, presso lo studio dell’Avv. Andrea Sciarrillo;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 1822/20, depositata il 21 dicembre 2020;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Mercolino Guido.
RILEVATO
che, con sentenza del 24 ottobre 2017, la Corte d’appello di Ancona dichiarò inammissibile il gravame interposto da O.A. avverso l’ordinanza emessa il 6 ottobre 2016 dal Tribunale di Ancona, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante;
che avverso la predetta sentenza l’ A. propose ricorso per cassazione, accolto con ordinanza del 18 giugno 2019, n. 16238/19, con cui questa Corte cassò la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello di L’Aquila;
che, con atto notificato il 22 luglio 2019, l’ O. riassunse il giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Ancona, che con ordinanza del 21 gennaio 2020 rinviò la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, ai sensi dell’art. 50 c.p.c.;
che, con atto notificato il 26 febbraio 2020, l’ O. ha riassunto pertanto il giudizio dinanzi alla Corte d’appello di L’Aquila, che con sentenza del 21 dicembre 2020 ha dichiarato estinto il processo, osservando che, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., il giudizio di rinvio deve essere incardinato dinanzi al giudice indicato dalla Corte di cassazione, ritenendo pertanto inapplicabile la disciplina dettata dall’art. 50 c.p.c., rilevando che alla data della nuova riassunzione era già scaduto il relativo termine, ed escludendo la scusabilità dell’errore nell’individuazione del giudice competente;
che avverso la predetta sentenza l’ O. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, al quale il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
CONSIDERATO
che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in Camera di Consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, per violazione o falsa applicazione degli artt. 44,50,383 e 392 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile il comma 1, anziché il comma 2, dell’art. 383 c.p.c. cit., senza considerare che il rinvio disposto con la pronuncia di cassazione aveva carattere restitutorio, con la conseguenza che la riassunzione avrebbe dovuto avere luogo dinanzi al giudice che aveva pronunciato la sentenza impugnata;
che, nell’escludere la scusabilità dell’errore commesso da esso ricorrente, la Corte territoriale non ha considerato che lo stesso era stato cagionato dalla diversa statuizione adottata dal Giudice di legittimità in casi analoghi e dall’illogicità del riferimento alla “diversa composizione” del giudice di rinvio, non avendo l’impugnazione ad oggetto una sentenza emessa dalla Corte d’appello di L’Aquila;
che il motivo è infondato;
che la designazione del giudice di rinvio contenuta nella pronuncia di cassazione, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1, comporta infatti l’individuazione di una competenza funzionale ratione materiae, incontestabile ed irretrattabile sia da parte del giudice designato attraverso una declinatoria di competenza, sia da parte dello stesso Giudice di legittimità, cui è consentito di intervenire sulla propria decisione soltanto in forma di ordinanza per la correzione di errori materiali riguardanti il tipo e il luogo del giudice di rinvio (cfr. Cass., Sez. lav., 9/02/2004, n. 2407; Cass., Sez. III, 21/02/2001, n. 2510; Cass., Sez. lav., 23/01/1998, n. 628);
che, in mancanza della predetta correzione, la parte interessata è pertanto tenuta a riassumere il giudizio dinanzi al giudice indicato da questa Corte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, neppure la sopravvenienza medio tempore di norme di legge che abbiano modificato i criteri d’individuazione del giudice competente (cfr. Cass., Sez. lav., 14/05/2007, n. 11020; 23/08/2006, n. 18375; 3/04/2006, n. 7759);
che, in caso di riassunzione dinanzi ad un giudice diverso da quello designato con la pronuncia di cassazione, non può pertanto trovare applicazione il meccanismo previsto dall’art. 50 c.p.c., che consente la prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice competente, facendo salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda;
che nessun rilievo può assumere, in proposito, la distinzione tra rinvio restitutorio e rinvio prosecutorio, la quale viene in considerazione esclusivamente ai fini della determinazione dell’ampiezza dei poteri spettanti al giudice del rinvio nel riesame della controversia, che coincidono, nel primo caso, con quelli connessi alla funzione di giudice dell’impugnazione della sentenza di primo grado, e si estendono pertanto al riesame di tutte le questioni ritualmente proposte che non incidano sul suo obbligo di conformarsi al principio di diritto enunciato dal Giudice di legittimità (cfr. Cass., Sez. I, 27/09/2018, n. 23314; Cass., Sez. VI, 4/03/2015, n. 4290);
che l’applicazione dei predetti principi, costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, consente di ritenere giustificata, nella specie, l’esclusione, da parte della sentenza impugnata, della scusabilità dell’errore commesso dal ricorrente attraverso la riassunzione del giudizio dinanzi ad un giudice diverso da quello designato ai sensi dell’art. 383 c.p.c., non potendo assumere alcun rilievo, a fronte dell’incontestabilità di tale indicazione, la personale convinzione del difensore di dover proseguire il giudizio dinanzi al giudice che aveva pronunciato la sentenza impugnata;
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022