Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1846 del 21/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30039-2020 proposto da:

C.A., sia in proprio, sia nella qualità di socio accomandatario e di legale rappresentante pro tempore della Società

MEGA PUB DI C.A. & C. SAS, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MENDOLA 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE POMPEO PINTO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.F., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso da sé

stesso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1785/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

RITENUTO IN FATTO

– che C.A., in proprio e nella qualità di socio accomandatario e rappresentante legale della società Mega Pub di C.A. & Co. S.a.s. (d’ora in poi, “Mega Pub”), ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1785/20, dell’8 luglio 2020, della Corte di Appello di Venezia, che – nel decidere il gravame dalla stessa esperito avverso la sentenza n. 243/19, dell’11 aprile 2019, del Tribunale di Rovigo, che, accogliendo la domanda proposta da S.F., dichiarava risolto per inadempimento della società Mega Pub il contratto di locazione in forza del quale la società assumeva di detenere un immobile di proprietà dello S., respingendone, invece, la riconvenzionale – ha dichiarato l’appello inammissibile, per difetto di “legittimatio ad causam”, in quanto proposto dalla C. personalmente;

– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce che essa C., nella già ricordata qualità di rappresentante legale della società Mega Pub, era destinataria di intimazione di sfratto per morosità, con contestuale citazione per la convalida, sul presupposto che la società si fosse resa inadempiente all’obbligazione di corrispondere i canoni di locazione;

– che costituitasi in giudizio, l’intimata – oltre a contestare la domanda – agiva in via riconvenzionale, per far accertare che parte locatrice si era resa inadempiente all’obbligazione relativa all’esecuzione degli interventi di straordinaria manutenzione dell’immobile e per essere indennizzata di tutte le opere eseguite a sue spese e/o del valore incrementato dell’immobile a fronte di tutti gli interventi eseguiti per renderlo conforme all’uso convenuto;

– che il giudice di prime cure, rigettata l’istanza di rilascio provvisorio e disposta la conversione del rito, accoglieva la domanda di risoluzione per inadempimento dell’obbligo di versare i canoni, rigettando la riconvenzionale della conduttrice;

– che esperito gravame, lo stesso era dichiarato inammissibile, ritenendo il giudice di appello che C.A. avesse proposto il mezzo personalmente, e non come legale rappresentante della società nei confronti della quale era stata pronunciata la decisione impugnata; che avverso la sentenza della Corte lagunare ricorre per cassazione la C., sulla base di quattro motivi;

– che il primo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 75 e 182 c.p.c.”;

– che secondo la ricorrente – pur non avendo essa specificato “la qualità di “legale rappresentante” della società né in procura né nell’intestazione dell’atto” – nel corpo di quest’ultimo si “faceva riferimento al contratto di locazione sottoscritto dalla stessa nella qualità” surriferita, ricostruendosi “anche le vicissitudini societarie” che avevano riguardato la Mega Pub, in particolare dopo la morte del marito della C. (e, dunque, l’avvenuta trasformazione, nel corso del primo grado di giudizio, da società in nome collettivo in società in accomandita semplice), nonché al cambio di denominazione della stessa, sebbene invariata fosse la partita IVA e, soprattutto, il legale rappresentante, ovvero essa C.A.;

– che la Corte territoriale, inoltre, non ha manifestato – nella prima udienza celebrata innanzi ad essa – “nessuna richiesta di integrazione o necessità di sanatoria della procura”;

– che la sentenza dalla stessa adottata, dunque, “deve essere riformata in quanto contrasta con l’art. 182 c.p.c.”, nell’interpretazione che di tale norma ha dato la giurisprudenza di legittimità (e’ citata Cass. Sez. Lav., sent. 29 luglio 2020, n. 16252, Rv. 658495-01), secondo cui la procura è sempre sanabile qualora il giudice rilevi un difetto di rappresentanza;

– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione c/o falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e degli artt. 1362 e ss. e 1367 c.c.”. in quanto dal “collegamento tra procura ed atto di appello nel suo complesso risulta chiara ed esplicita l’intenzione del conferente di agire sia in veste di socio (quindi in proprio) e sia in veste di legale rappresentante della società”, come ritenuto sufficiente dalla giurisprudenza di questa Corte;

– che il terzo motivo denunzia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e all’art. 111 Cost. – il vizio di “motivazione apparente”, sotto forma di “irriducibile contraddittorietà” di affermazioni;

– che la Corte veneziana, se da un lato si mostra consapevole dell’avvenuta trasformazione della società “da SNC a SAS”, e dunque del fenomeno successorio (affermando, per un verso, che la C. ha proposto il gravame personalmente e non nella sua qualità di legale rappresentante di Mega Pub S.n.c. e rilevando, per altro verso, che la sentenza del primo giudice era stata notificata alla “Mega Pub S.a.s. di C.A.”), dall’altro “dichiara inammissibile l’appello perché non fatto dalla S.n.c.”;

– che il quarto motivo denunzia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’art. 112 c.p.c. – omesso esame di tutti i motivi di appello, aventi ad oggetto: a) il vizio di ultra petizione della sentenza di primo grado (per aver pronunciato la risoluzione del contratto di locazione in difetto di domanda); b) la carenza di legittimazione passiva, atteso che la “vocatio in ius” nel giudizio di primo grado veniva compiuta solo nei riguardi della socia e non della società; c) il difetto di legittimazione passiva della socia così citata; d) la carenza di legittimazione attiva dello S., nuovo proprietario dell’immobile, non subentrato nei diritti ed obblighi relativi al rapporto locatizio, e ciò per avere acquistato il bene da un soggetto (tale D.R.I.) che aveva stipulato il contratto di locazione immobiliare senza essere proprietaria della “res locata” e “neanche sub-locatrice”; e) la mancata valorizzazione, nella sentenza di primo grado, “dell’inadempimento del locatore in tema di necessarie opere di straordinaria manutenzione, e dell’indennizzo chiesto” in ragione della loro esecuzione da parte della conduttrice;

– che lo S. ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o comunque rigettata;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 12 ottobre 2021.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile, ritenendo questo collegio di doversi, pertanto, discostare dalla proposta formulata dal consigliere relatore;

– che i primi tre motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente data la loro connessione, prospettando (sebbene da diversi angoli visuali) il medesimo tema, relativo a quella che l’odierna ricorrente assume essere stata la spendita “implicita”, nella proposizione del gravame, della qualità di rappresentante legale della società Mega Pub -sono inammissibili;

– che essi, infatti, non colgono – e quindi non contrastano adeguatamente – la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, per le ragioni di seguito illustrate;

– che, come esattamente osservato dal controricorrente, dalla lettura dell’atto di appello proposto dalla C. – disamina consentita a questa Corte, denunciando il primo ed il terzo motivo di ricorso la sussistenza di “errores in procedendo”, rispetto ai quali il giudice di legittimità è anche giudice del “fatto processuale”, potendo dunque “procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (così, tra le molte Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01) – si evince che la stessa ebbe a dolersi della sentenza di primo grado per avere ritenuto rituale, sotto il profilo della legittimazione passiva, la citazione in giudizio di essa C. “in qualità di rappresentante legale della società”;

– che con il proposto gravame la C. censurava, infatti, tale affermazione in quanto, a suo dire, “incompleta e infondata”, rimarcando come l’atto introduttivo del giudizio di primo grado fosse stato “notificato solo alla Sig.ra C.A. e non alla società Mega Pub S.n.c.”, sicché innanzi al Tribunale si costituiva – si legge ancora nell’appello allora esperito dall’odierna ricorrente – “solo la Sig.ra C.A., come persona fisica”, non essendovi stata, invece, “alcuna costituzione” della “società Mega Pub”;

– che l’esperito appello, pertanto, lungi dall’essere proposto dalla C. quale rappresentante legale della Mega Pub, risultava esperito dalla stessa quale persona fisica, e ciò allo scopo di evidenziare la non corrispondenza tra il soggetto a carico del quale era stata pronunciata la sentenza (la società) e quello – la C. personalmente – evocato in giudizio;

– che a fronte di una simile iniziativa, la Corte lagunare non poteva, dunque, che rilevare – senza essere tenuta a dare corso ad alcuna “integrazione del contraddittorio” o “regolarizzazione della procura” – la (peraltro, “rivendicata”) non coincidenza tra il soggetto destinatario della pronuncia del Tribunale rodigino e quello appellante;

che i primi tre motivi di ricorso, pertanto, recano delle censure che risultano del tutto “eccentriche” rispetto al “decisum” del giudice di appello, donde la necessità di dare seguito al principio secondo cui “il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4)” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, n. 17330, Rv. 636872-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01; Cass. Sez. 5, ord. 21 luglio 2020, n. 15517, Rv. 658556-01);

– che pure il quarto motivo è inammissibile, dal momento che quello prospettato non è neppure astrattamente riconducibile al vizio di “omessa pronuncia sui motivi di appello”, atteso che la declaratoria di inammissibilità del gravame esimeva la Corte lagunare dal doverli esaminare e pronunciare su di essi;

– che il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando C.A., anche nella già ricordata qualità, a rifondere, a S.F., le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

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