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Assegno divorzile: per ridurlo occorre dimostrare l'effettiva e concreta possibilità di lavorare

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22758 del 20/07/2022

Eccoci di nuovo alla ricerca di un equilibrio praticamente impossibile: l'onere della prova sulle capacità lavorative di un coniuge (spesso la donna) al fine di evitare che l'altro coniuge, quello che lavora (spesso l'uomo), possa omettere di pagare (o quantomeno ridurre) l'assegno divorzile.

La nuova pronuncia sul tema della Suprema Corte (ordinanza 20 luglio 2022 n. 22758), oltre ad affrontare un tema tipicamente processuale sull'ammissibilità del ricorso per Cassazione, sembra sposare la tesi che l'intero onere della prova spetti al coniuge che lavora.

Un onere della prova che riguarda la dimostrazione della circostanza che l'altro coniuge abbia effettivamente, e non in astratto, la possibilità di lavorare.

Ma che significa questo?

Significa che da un punto di vista soggettivo il coniuge possa lavorare o che il mercato obiettivamente abbia una domanda di lavoro adatta ad accogliere il coniuge come lavoratore?

E poi alla fin fine è così netto anche un confine di questo tipo?

Scioglimento del matrimonio, determinazione dell'assegno di divorzio, onere di dimostrare l'effettiva e concreta possibilità lavorativa

In tema di scioglimento del matrimonio, l'ipotetica ed astratta possibilità lavorativa o di impiego, da parte del coniuge beneficiario, non incide sulla determinazione dell'assegno di divorzio, salvo che il coniuge onerato non fornisca la prova che il beneficiario abbia l'effettiva e concreta possibilità di esercitare un'attività lavorativa confacente alle proprie attitudini.

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Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22758 del 20/07/2022

FATTI DI CAUSA

1. - Con sentenza depositata il 19 novembre 2019, pronunciata a seguito di sentenza non definitiva di declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra G.R. e P.R., il Tribunale di Salerno ha escluso che a quest'ultima spettasse l'assegno di mantenimento di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

2. - In sede di gravame la Corte di appello di Salerno ha riformato, per quanto qui rileva, la pronuncia di primo grado e disposto che G. versasse alla ex-moglie un assegno di Euro 200,00 mensili.

3. - La sentenza della Corte di Salerno è stata impugnata per cassazione da G. con un ricorso basato su di un unico motivo. L'intimata P. non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6. Deduce che la Corte di appello avrebbe illegittimamente riconosciuto il diritto all'assegno di divorzio sulla scorta del rilievo che egli lavorasse, trascurando di considerare che P.R. non aveva dato alcuna prova delle concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell'indipendenza economica secondo le proprie attitudini ed esperienze lavorative.

2. - Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha rilevato, per un verso, che andava escluso G. fosse stato licenziato (circostanza, questa, che aveva portato il Tribunale a negare la spettanza del diritto al mantenimento di P.R.) e, per altro verso, che l'odierno ricorrente era riuscito a dimostrare la stabile convivenza dell'ex moglie con altro uomo.

La questione circa la prospettata attitudine dell'odierna intimata allo svolgimento di un'attività lavorativa non risulta trattata nella sentenza impugnata; né l'istante ha dedotto che la stessa venne sottoposta alla Corte di appello.

Ciò detto, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).

La questione, per come posta, risulta essere pure priva di decisività. Infatti, l'ipotetica ed astratta possibilità lavorativa o di impiego, da parte del coniuge beneficiario, non incide sulla determinazione dell'assegno di divorzio, salvo che il coniuge onerato non fornisca la prova che il beneficiario abbia l'effettiva e concreta possibilità di esercitare un'attività lavorativa confacente alle proprie attitudini (Cass. 23 ottobre 2015, n. 21670): prova che nella specie non si assume sia stata fornita.

3. - Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. - Non è luogo a pronuncia in punto di spese.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 13 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2022.

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