Non basta la presentazione di un certificato medico in caso di malattia del lavoratore all'estero.
La Cassazione, con l'ordinanza n. 24697 deposita in data 11 agosto 2022, ha ribadito che, in base alla Convenzione dell'Aja sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, la dispensa dalla legalizzazione del certificato estero è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo Stato di formazione dell'atto, di apposita "Apostille", da apporre sull'atto stesso.
Senza tale forma di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero, pur aderente alla Convenzione.
Nel caso di specie, una dipendente di una società di pulizie era stata licenziata per motivi disciplinari senza preavviso per assenza ingiustificata.
In particolare, la lavoratrice, nel periodo in contestazione, si trovava in Marocco e a giustificazione della propria assenza aveva inviato al datore di lavoro due certificati medici, debitamente tradotti in italiano, ma privi della "Apostilla".
La Corte d'Appello aveva dichiarato illegittimo e annullato il licenziamento della dipendente e ordinando al datore di reintegrarla nel posto di lavoro.
Per le ragioni suesposte la Suprema Corte ha cassato la pronuncia di merito.
In base alla Convenzione sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l'Aja il 5 ottobre 1961, e ratificata dall'Italia con L. n. 1253 del 1966, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo Stato di formazione dell'atto, di apposita "Apostille", da apporre sull'atto stesso, o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione, con la conseguenza che, in assenza di tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero, pur aderente alla Convenzione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro Civile, Ordinanza n. 24697 del 11/08/2022
Presidente Doronzo – Relatore Cinque
Rilevato in fatto che:
1. Con la sentenza n. 451/2019 la Corte di appello di Firenze, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, ha dichiarato illegittimo e ha annullato il licenziamento intimato a E.N. , in data 28.10.2016, e ha ordinato alla R. spa di reintegrare la dipendente nel posto di lavoro e a corrisponderle, a titolo di risarcimento del danno, una indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto maturata dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre accessori e regolarizzazione contributiva previdenziale ed assicurativa.
2. Alla E. , dipendente della M.F.M. dal 2008 (ora R. spa), con qualifica di operaia addetta alle pulizie (II livello CCNL) in data 6.10.20016 le era stata contestata l'assenza ingiustificata dal 1 settembre al 19 ottobre 2016 ed era stata, per questo, licenziata per motivi disciplinari senza preavviso, contestandole la circostanza di non avere avvisato i suoi superiori e di non avere giustificato validamente la sua assenza.
3. In particolare, la lavoratrice, nel periodo in contestazione, si trovava in Marocco e a giustificazione della propria assenza aveva inviato al datore di lavoro due certificati medici, debitamente tradotti in italiano, ma privi della "Apostilla", ossia della formalità richiesta dalla Convenzione dell'Ala del 5.10.1961 ai fini di attestare la veridicità della firma sull'atto, il titolo in virtù del quale l'atto era stato firmato e l'autenticità del sigillo o del bollo.
4. La Corte distrettuale ha rilevato che i certificati medici rientravano tra gli atti pubblici per i quali, ai sensi della Convenzione dell'Ala del 1961, era esclusa la necessità della legalizzazione; che nel caso in esame si verteva in una ipotesi di assenza dal lavoro non regolarmente giustificata ma non del tutta priva di giustificazione; che la mancata legalizzazione dei certificati medici non poteva essere imputata a negligenza della lavoratrice in quanto la Convenzione dell'Aja era stata recepita dal Marocco il 14.8.2016, solo pochi giorni prima della malattia in questione; che la giusta causa, nelle fattispecie come quella di cui è processo, andava ravvisata solo nell'ipotesi di assenza priva di giustificazione sostanziale; che trovava, quindi, applicazione l'ipotesi di insussistenza del fatto contestato tutelabile L. n. 300 del 1970, ex art. 18 comma 4.
5. Avverso la decisione di secondo grado la R. spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui ha resistito con controricorso E.N. .
6. Le parti hanno depositato memorie.
Considerato in diritto che:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 663 del 1979, art. 2, convertito nella L. n. 33 del 1980, e degli artt. 4 e 5 della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961 ratificata in Italia con la L. 20 Dicembre 1966, n. 1253, e dal Marocco in data 271..1.2015, per avere ritenuto erroneamente la Corte Distrettuale che la mancanza dell'Apostille non costituiva vizio sostanziale del certificato medico nei rapporti col datore di lavoro, tale da rendere ingiustificata l'assenza del lavoratore.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.L. n. 663 del 1979, art. 2, convertito nella L. n. 33 del 1980, e della L. n. 604 del 1966, art. 5, per avere la Corte di merito erroneamente affermato che, a fronte di un documento non regolare, era onere del datore di lavoro verificare, anche a posteriori, la legittimità dell'assenza.
4. Con il terzo motivo la società si duole, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell'art. 2119 c.c., e degli artt. 2104 e 1176 c.c., per non avere la Corte territoriale considerato, ai fini della valutazione sulla negligenza, che: la lavoratrice che si era recata in Marocco durante un precedente periodo di malattia (certificato dal 21 al 29 agosto 2016); recandosi in Marocco, non aveva certamente agevolato la guarigione; non si era informata sulle modalità, vigenti in Marocco, con cui comunicare la malattia; l'avviso preventivo di un SMS non era stato dimostrato; dal 31 agosto al 30 settembre 2016 aveva chiesto un periodo di aspettativa che l'azienda non le aveva concesso.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., e della L. n. 92 del 2012, art. 1, per avere erroneamente ritenuto la Corte di appello provata la comunicazione della malattia tramite l'SMS asseritamente inviato.
6. Con il quinto motivo si eccepisce l'errore di fatto circa il contenuto dei certificati medici perché, oltre a non avere alcuna validità in Italia per mancanza di Apostille o, quanto meno, di legalizzazione, non conteneva neppure l'indirizzo del luogo in cui la lavoratrice si trovava durante l'asserita malattia, così impedendo al datore di lavoro di controllare lo stato di malattia e la giustificatezza dell'assenza.
7. I motivi, che per la loro interferenza logico-giuridica possono essere scrutinati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.
8. Il punto centrale della gravata sentenza è quello riguardante il passaggio argomentativo secondo cui la mancanza dell'Apostille, ritenuta necessaria per le
certificazioni mediche inviate all'INPS per la corresponsione della indennità di malattia, è stata reputata non costituente un vizio sostanziale del certificato medico, inviato dal datore di lavoro, tale da rendere ingiustificata l'assenza della lavoratrice.
9. Osserva il Collegio che l'Apostille è un timbro che viene apposto dal governo di un Paese firmatario della Convenzione dell'Aja del 1961, che riconosce la qualità con cui opera il funzionario pubblico che ha sottoscritto il documento, la veridicità della firma e l'identità del timbro o del sigillo del quale il documento è rivestito. L'apposizione di tale timbro non rende più necessaria la legalizzazione del documento da parte dell'autorità diplomatica del Paese di provenienza.
10. Essendo, pertanto, una certificazione che incide sulla autenticità formale e sostanziale di un documento da utilizzare con valore giuridico in un Paese straniero, è errata la affermazione della Corte distrettuale che attribuisce un diverso valore al vizio a seconda del destinatario dell'atto.
11. Questa Corte ha già precisato che, "in base alla Convenzione sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l'Aja il 5 ottobre 1961, e ratificata dall'Italia con L. n. 1253 del 1966, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo Stato di formazione dell'atto, di apposita "Apostille", da apporre sull'atto stesso, o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione, con la conseguenza che, in assenza di tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero, pur aderente alla Convenzione".
12. La certificazione medica inviata dalla E. , per avere valore giuridico in Italia avrebbe dovuto contenere, quindi, la Apostille; in caso negativo, la certificazione è priva di ogni valore giuridico in un Paese straniero non assumendo alcuna rilevanza la eventuale traduzione in italiano e, pertanto, non è idonea a giustificare l'assenza perché non è certificata tanto la provenienza dell'atto da un soggetto abilitato allo svolgimento della professione sanitaria, quanto la diagnosi e la prognosi di malattia come attestate da un soggetto competente.
13. Di fronte a tale documento, la impugnata pronuncia è errata in diritto anche nella parte in cui si afferma che al datore di lavoro non sarebbe stato precluso di verificare, anche successivamente, la legittimità dell'assenza.
14. In caso di assenza ingiustificata, infatti, al datore di lavoro grava l'onere di provare la condotta che ha determinato l'irrogazione della sanzione disciplinare e, quindi, di provare il fatto nella sua oggettività, mentre grava sul lavoratore l'onere di provare gli elementi che possano giustificarlo (Cass. n. 16597/2018; Cass. n. 2988/2011).
15. Non è corretto sostenere che il datore di lavoro avrebbe potuto egli verificare la effettiva insussistenza della malattia, stante il vizio sostanziale della documentazione medica inviata a giustificazione dell'assenza del lavoratore, per cui è ravvisabile la denunciata violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5.
16. Le suddette considerazioni, chiaramente rilevanti ai fini della contestazione disciplinare e del licenziamento disposto ai sensi dell'art. 48, lett. e), del CCNL di settore applicato, assumono rilevanza anche sulla successiva valutazione della sussistenza della giusta causa ex art. 2119 c.c., svolta dalla Corte di merito, che deve avere come parametri normativi di riferimento il fatto che la certificazione medica inviata non aveva alcun valore giuridico e la circostanza che spettava comunque al lavoratore la prova della giustificatezza dell'assenza, anche successivamente alla malattia, qualora tale evenienza la si fosse voluta ritenere ammissibile, per la pregressa impossibilità di effettuare la prescritta comunicazione (Cass. n. 13622/2005).
17. In questo nuovo contesto giuridico, è necessario rivalutare anche la questione del valore dell'avviso inviato tramite SMS, la cui contestazione è stata, peraltro, erroneamente ritenuta dai giudici di seconde cure tardiva essendo stata allegata sin dal ricorso in opposizione (sulla ammissibilità della allegazione cfr. in tema Cass. n. 9458/2019; Cass. n. 30443/2018), e l'elemento soggettivo, da parte della lavoratrice, costituito dalla mancata conoscenza delle procedure necessarie per la validità dei certificati medici inviati dal Marocco che, se non in possesso dell'Apostille, comunque avrebbero dovuto essere stati "legalizzati", nelle forme ordinarie, a cura della locale rappresentanza diplomatica o consolare italiana.
18. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione con cassazione della gravata sentenza in relazione alle censure accolte e rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei principi sopra indicati e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
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