LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8227/2017 proposto da:
Z.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato INNOCENZO D’ANGELO, per procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
C.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato ALBERTO ZANNINI, per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA N. 1744/2016 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata il 28/7/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 7/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
1.1. Il tribunale, accogliendo la domanda proposta da Z.L., ha condannato l’arch. C.P. al risarcimento dei danni subiti dall’attrice in conseguenza dell’esecuzione non conforma a capitolato dell’intervento di rifacimento dell’impermeabilizzazione di una copertura dell’immobile di cui la stessa è proprietaria.
1.2. L’arch. C.P. ha proposto appello avverso tale sentenza sostenendo che il tribunale non aveva considerato che la parziale modifica delle modalità di isolamento e di impermeabilizzazione della copertura rispetto al progetto originale, individuata dal consulente tecnico d’ufficio quale causa esclusiva della cattiva tenuta del tetto dell’attrice, era stata attuata in difformità al capitolato d’appalto per iniziativa della stessa Z. e all’insaputa del professionista appellante e con l’immissione di un’altra ditta appaltatrice che aveva realizzato la posa della guaina.
2.1. La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, ha accolto l’appello ed, in riforma della sentenza appellata, ha rigettato la domanda proposta dall’attrice, che ha condannato al pagamento delle spese processuali.
2.2. La corte, in particolare, ha dichiarato di condividere “le modifiche alla ricostruzione del fatto” suggerite dall’appellante, “da reputarsi determinanti ai fini della decisione”, rilevando come, secondo l’appellante, la modifica del capitolato inerente le modalità di isolamento e impermeabilizzazione della copertura dell’abitazione era stata voluta ed attuata dalla committenza stessa e in particolare dal padre della Z. il quale aveva consentito all’impresa appaltatrice originariamente designata per l’esecuzione integrale dell’intervento soltanto la posa di un materassino di isolamento, affidando ad altra impresa la posa della guaina di impermeabilizzazione, “il tutto in palese difformità da quanto previsto dal capitolato predisposto dal professionista… appellante”.
2.3. La corte, quindi, dopo aver ritenuto che tali circostanze risultavano documentate “in modo che il collegio reputa attendibile”, “in assenza di una puntuale ricostruzione dell’appellata in proposito”, al pari di quelle inerenti “l’ingerenza del committente nella fase operativa del capitolato d’appalto originario”, ha ritenuto che il complesso delle circostanze allegate dall’appellante e non puntualmente contestate dall’appellata integrasse quella particolare fattispecie in cui “il direttore dei lavori viene completamente estromesso dalla direzione dell’opera e in cui sono riscontrabili elementi concreti, quali, nello specifico, la disposta sostituzione dell’impresa appaltatrice da parte dello stesso committente, atti a far ritenere che il medesimo avesse consapevolmente accettato il rischio della buona riuscita della modifica del progetto originario”.
2.4. Di conseguenza, ha proseguito la corte, la decisione del giudice di primo grado in ordine all’attribuzione della responsabilità al professionista appellante, per quanto corretta in linea di principio, non e’, tuttavia, condivisibile nel caso in esame, essendo rimaste incontroverse le circostanze e gli elementi di fatto da cui si desume che “il committente, nella fase finale dei lavori, praticamente esautorando l’odierno appellante dal suo ruolo proprio di garante dell’esecuzione dell’opera a cura dell’appaltatore designato, abbia propiziato l’introduzione delle modifiche esecutive che sono all’origine del danno lamentato, e di cui risulta peraltro aver curato direttamente la realizzazione secondo modalità difformi da quanto risultava dal progetto originario licenziato dal direttore dei lavori”.
2.5. Deve, in effetti, escludersi, ha osservato la corte, la responsabilità del direttore dei lavori per i vizi e le difformità dei lavori eseguiti dall’appaltatore al di fuori del progetto originario a seguito di richiesta diretta ed autonoma del committente, senza che ne risulti l’accordo con il direttore dei lavori, e rispetto ai quali deve ritenersi che il committente si sia assunta la gestione diretta al di fuori della sorveglianza.
2.6. La corte, pertanto, in accoglimento dell’appello, ha respinto la domanda dell’attrice, che ha condannato alla refusione delle spese legali per entrambi i gradi di giudizio.
3.1. Z.L., con ricorso notificato il 28/2/2017, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.
3.2. C.P. ha resistito con controricorso notificato il 30/3/2017, deducendo, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale.
3.3. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. La procura rilasciata all’avv. Innocenzo D’Angelo, collocata in calce al ricorso e con l’esplicito riferimento al “ricorso avanti alla Corte di Cassazione”, è senz’altro valida. Questa Corte, in effetti, ha già avuto modo di affermare che l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’attribuire alla parte la facoltà di apporre la procura in calce o a margine di specifici e tipici atti del processo, fonda la presunzione che il mandato così conferito abbia effettiva attinenza al grado o alla fase del giudizio cui l’atto che lo contiene inerisce, per cui la procura per il giudizio di cassazione rilasciata in calce o a margine del ricorso, in quanto corpo unico con tale atto, garantisce il requisito della specialità del mandato al difensore, senza che rilevi l’eventuale formulazione genericamente omnicomprensiva (ma contenente comunque il riferimento anche alla fase di cassazione) dei poteri attribuiti al difensore, tanto più ove il collegamento tra la procura e il ricorso per cassazione sia reso esplicito, come nel caso di specie, attraverso il richiamo ad essa nell’intestazione dell’atto di gravame (Cass. n. 15538 del 2015).
5.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2226 e 2230 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il complesso delle circostanze allegate dall’appellante e non puntualmente contestate dall’appellata integrasse quella particolare fattispecie in cui “il direttore dei lavori viene completamente estromesso dalla direzione dell’opera e in cui sono riscontrabili elementi concreti, quali, nello specifico, la disposta sostituzione dell’impresa appaltatrice da parte dello stesso committente”, senza, tuttavia, considerare che, come emerge dalla perizia del geom. B. del *****, i difetti denunciati dal committente in ordine alle difformità ed ai vizi dell’opera sono di tipo strutturale che riguardano la progettazione dell’opera da parte dell’arch. C., oltre che di vizi che derivano dalla errata esecuzione delle modalità di isolamento ed impermeabilizzazione della copertura dell’abitazione da parte dello stesso quale direttor dei lavori.
5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la decisione del giudice di primo grado in ordine all’attribuzione della responsabilità al professionista appellante, per quanto corretta in linea di principio, non era, tuttavia, condivisibile nel caso in esame, essendo rimaste incontroverse le circostanze e gli elementi di fatto da cui si desume che “il committente, nella fase finale dei lavori, praticamente esautorando l’odierno appellante dal suo ruolo proprio di garante dell’esecuzione dell’opera a cura dell’appaltatore designato, abbia propiziato l’introduzione delle modifiche esecutive che sono all’origine del danno lamentato”, senza, tuttavia, considerare che il professionista preposto alla vigilanza della sua corretta esecuzione è obbligato a controllare la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, è esente da responsabilità solo se dimostra di aver manifestato il proprio dissenso o di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente e a rischio di quest’ultimo. Pertanto, anche quando la scelta di realizzare la copertura dell’edificio con modalità diverse da quelle previste dal capitolato ma non conformi alla corretta tecnica costruttiva, sia derivata da un’indicazione del committente, il direttore dei lavori rimane responsabile per i vizi e i difetti dell’opera.
6. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
7. La ricorrente, in effetti, non si confronta realmente con la decisione che ha impugnato: la quale, invero, ha ritenuto di escludere la responsabilità del direttore dei lavori non già per aver omesso di considerare il suo dovere di vigilanza circa la corretta esecuzione dell’opera pur a fronte delle erronee istruzioni del committente, ma, più radicalmente, per aver accertato, in fatto, con statuizione rimasta del tutto incensurata, che il direttore dei lavori era stato, in realtà, “completamente estromesso dalla direzione dell’opera” poiché il committente “… nella fase finale dei lavori, praticamente esautorando l’odierno appellante dal suo ruolo proprio di garante dell’esecuzione dell’opera a cura dell’appaltatore designato” aveva “propiziato l’introduzione delle modifiche esecutive che sono all’origine del danno lamentato, e di cui risulta peraltro aver curato direttamente la realizzazione secondo modalità difformi da quanto risultava dal progetto originario licenziato dal direttore dei lavori”, correttamente affermando, in diritto, che, ove ciò accada, come appunto nel caso in esame, il direttore dei lavori, non potendo essere più considerato tale a fronte dell’inequivoco recesso dal rapporto d’opera professionale da parte del committente, non è giuridicamente responsabile per i vizi e le difformità dell’opera.
8. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando l’errata applicazione dell’art. 92 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’addebito integrale delle spese di lite, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello l’ha condannata al pagamento delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, l’appello era stato solo parzialmente accolto e che le ulteriori domande dell’appellante era state rigettate, e che, dunque, sussistevano le condizioni per una totale e/o parziale compensazione delle spese di lite.
9. Il motivo è inammissibile. Non e’, infatti, consentita la doglianza che investe il mancato esercizio del potere di compensazione delle spese, atteso che la relativa valutazione, anche in relazione al riscontro della prevalente soccombenza, è riservata al giudice di merito, e non è sindacabile in sede di legittimità. Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali, solo la compensazione dev’essere sorretta da motivazione e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (Cass. n. 9368 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012). D’altra parte, anche la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 30592 del 2017).
10. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
11. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
12. La Corte dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e le spese generali nella misura del 15%; dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022
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