Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.3750 del 07/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.L., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Claudio Defilippi.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza n. 2590/2020 della CORTE D’APPELLO di Bologna, depositata il 2.10.2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10 dicembre 2021 dal Consigliere Relatore Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

– Che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da B.L., cittadino del Gambia, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 23.6.2019 dal Tribunale di Bologna, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente;

– che viene proposto da B.L. ricorso avverso la predetta sentenza n. 4457/2021, depositata il 2.10.2020, affidato a due motivi di censura;

La Corte d’Appello ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito allo stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché il richiedente non aveva dimostrato la condizione di soggetto vulnerabile;

– che l’amministrazione intimata non ha svolto difese;

– che sono statì ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, sul rilievo che sarebbero stati lesi i diritti di difesa del richiedente nella fase amministrativa anche in ragione della mancata traduzione degli atti in una lingua conosciuta dal richiedente stesso;

1.1 il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., e per genericità nella sua formulazione;

1.2 che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonché quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione, con la conseguenza che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa (Sez. 1, Ordinanza n. 13769 del 03/07/2020); che il ricorrente non ha specificato in quale modo sia stato pregiudicato il suo diritto di difesa, affidando le sue doglianze solo ad una generica censura di violazione del predetto precetto normativo;

2. che con il secondo motivo è stato dedotto vizio di omessa ed insufficiente motivazione in relazione all’esplicazione della ratio decidendi posta alla base del provvedimento di rigetto delle richieste tutele protettive;

2.1 che occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. ss.uu. n. 8053 del 07/04/2014), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; che, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (così sempre Cass. ss.uu. n. 8053 del 2014, cit. supra); che, sulla base dei principi qui ricordati, occorre evidenziare che il ricorrente declina un vizio non più riconducibile nel paradigma applicativo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denunciando un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione non più ricevibile e sollevando peraltro contestazioni solo generiche sulla tenuta della motivazione;

3. che nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

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