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Lo slogan può essere registrato come marchio?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.37697 del 23/12/2022

Un'impresa può registrare uno slogan come marchio?

La Cassazione si è espressa sulla questione con l'ordinanza n. 37697 del 23 dicembre 2022

Una società che opera nel settore dei prodotti cosmetici e farmaceutici aveva depositato una domanda di registrazione del marchio per uno slogan relativo ai propri prodotti cosmetici.

Tuttavia, l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) ha negato la registrazione sostenendo che lo slogan mancava di capacità distintiva, ovvero non era in grado di distinguere i prodotti dell'impresa da quelli di altre imprese.

La società ha presentato un'impugnazione che è stata rigettata dalla Commissione Ricorsi. Ha quindi proposto un ricorso in Cassazione.

La Corte Suprema ha richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza europea secondo cui è possibile registrare come marchio anche gli slogan pubblicitari. Secondo la Corte di giustizia, la registrazione di tali segni o indicazioni non è esclusa a patto che vengano utilizzati gli stessi criteri selettivi degli altri tipi di segni.

La registrazione di un marchio non può essere negata a causa del suo uso elogiativo o pubblicitario, ma deve essere percepito dal pubblico come un'indicazione dell'origine commerciale dei prodotti o servizi. La sola qualificazione di un messaggio come slogan pubblicitario non comporta automaticamente che abbia anche il carattere distintivo del marchio, che deve essere accertato perché si compia una valida registrazione.

Nel caso di specie, la Commissione ha stabilito che lo slogan era privo di carattere distintivo e che le espressioni usate non erano in grado di ricondurre all'impresa che ne aveva chiesto la registrazione. La Cassazione ha confermato la decisione della Commissione sottolineando che l'imprenditore ha il diritto di registrare anche uno slogan pubblicitario, ma questo deve essere idoneo a distinguere i prodotti o servizi offerti dall'impresa.

Marchio d'impresa, slogan pubblicitario, registrabilità, finalità distintiva, necessità

In tema di marchio d'impresa, l'imprenditore ha diritto alla registrazione anche di uno slogan pubblicitario, ma l'espressione contenente il messaggio promozionale deve adempiere alla finalità distintiva ossia essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi offerti da quell'impresa.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n. 37697 del 23/12/2022

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 06/03/2015, la Hulka s.r.l., società operante nel settore dei prodotti cosmetici e farmaceutici, depositava domanda di registrazione del marchio d'impresa "(Omissis)" per le classi merceologiche 03 (prodotti cosmetici, preparati per la pulizia del corpo e per la cura della bellezza), 05 (prodotti farmaceutici-cosmetici, farmaceutici, cosmetici, medici, alimentari e dietetici e preparati con finalità combinata farmaceutica, tecnico nutrizionale e/o dermo-farmaceutici), 35 (servizi di vendita all'ingrosso e al dettaglio, vendite on-line di prodotti farmaceutici cosmetici, medici, alimentari e dietetici e preparati con finalità combinata farmaceutica, tecnico-nutrizionale e/o dermo-farmaceutici) e 44 (servizi e consulenza in materia di benessere, servizi e consulenza in materia di prodotti medici, farmaceutici e cosmetici; servizi d'igiene e di bellezza per persone; consulenza e informazione in materia di salute).

L'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (di seguito, UIBM), con comunicazione dell'08/07/2015, rendeva noto di non volere concedere la registrazione, poiché "il segno proposto come marchio ((Omissis)) non è conforme al disposto dell'art. 7 in quanto mancante di capacità distintiva non è atto a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese". Assegnava, quindi, il termine previsto dall'art. 173, comma 7, D.Lgs. cit. per il deposito di eventuali osservazioni.

Nelle osservazioni, la Hulka s.r.l. lamentava che il preavviso di rigetto della domanda di registrazione recava una motivazione standard e, quindi, era privo di una effettiva esternazione delle ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della decisione.

L'UIBM, ritenute non utili le osservazioni, in quanto non idonee ad evidenziare alcun motivo per cui potesse attribuirsi al marchio carattere della distintività, con provvedimento del 02/12/2015, confermava il rigetto della domanda di registrazione, senza aggiungere alcunché a quanto già comunicato.

Proposta impugnazione davanti alla Commissione Ricorsi, la società ricorrente deduceva: l'assenza di qualsivoglia motivazione nell'atto impugnato, in violazione della l. n. 241 del 1990 art. 3; la falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 173 per mancata instaurazione di un vero contraddittorio con il richiedente prima del rifiuto di registrazione; il generico e immotivato riferimento all'art. 7 D.Lgs. cit., non recante alcun riferimento alla capacità distintiva del marchio; la generica affermazione dell'assenza di capacità distintiva, senza nessun ulteriore chiarimento e senza alcun riferimento alle singole classi merceologiche per le quali era stata richiesta la registrazione.

La Commissione rigettava l'impugnazione, ritenendo la proposta di rifiuto, come pure il rifiuto definitivo, sufficientemente motivati ed evidenziando che la ricorrente aveva avuto la possibilità di interloquire con l'Ufficio, senza alcuna violazione dei diritti di difesa. Nel merito, confermava il giudizio che aveva portato al diniego di registrazione, evidenziando che il segno rientrava nella categoria degli slogans commerciali/pubblicitari ed era palesemente privo di qualsiasi collegamento con l'imprenditore che pretendeva di farne uso esclusivo.

Avverso tale statuizione, la Hulka s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L'intimato si è difeso con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione della l. n. 241 del 1990 art. 3, dell'art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 30 del 2005 artt. 13 e 136, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'UIBM ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento con il quale era stata rigettata la richiesta registrazione del marchio, mentre invece la proposta di rifiuto e il rifiuto definitivo si rivelavano astratti e generici, non in grado di esprimere le effettive ragioni in fatto e in diritto della decisione assunta, tant'e' che la Commissione dei ricorsi si è sentita in dovere di intervenire con una motivazione sostitutiva (anch'essa viziata).

Parte ricorrente ha anche censurato il fatto che il provvedimento dell'UIBM non avesse esaminato la richiesta di registrazione con riferimento a ciascuna delle classi merceologiche per le quali era stata presentata la domanda, aggiungendo che il rifiuto di registrazione, pur richiamando l'assenza di capacità distintiva del segno, non aveva tenuto conto del disposto del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 13 ma dell'art. 7 D.Lgs. cit., che semplicemente definisce i segni suscettibili di registrazione.

La stessa mancanza di motivazione è stata dalla Hulka s.r.l. ritenuta esistente nel provvedimento della Commissione dei ricorsi che, sia pure con maggiore ampiezza, si era limitato ad utilizzare espressioni del tutto generiche e in nessun modo declinate alla peculiarità del caso di specie.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 13, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3

In primo luogo, la ricorrente ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione, non può ritenersi priva di capacità distintiva l'espressione in questione solo perché richiama la funzione presumibilmente svolta dal prodotto o dal servizio cui si riferisce, né può affermarsi che tale capacità distintiva sia assente solo perché la menzionata espressione sia composta di segni o indicazioni di uso comune, aggiungendo che il marchio, per assumere carattere distintivo, non deve essere particolarmente creativo e "ben trovato", né presentare un carattere di fantasia o un campo di tensione concettuale, in grado di produrre come conseguenza un effetto sorpresa e, quindi, imprimersi nella memoria.

Ammesso e non concesso che il segno rientri nella categoria degli slogan pubblicitari, la ricorrente ha, poi, dedotto che lo slogan è da ritenersi dotato di capacità distintiva ogniqualvolta sia idoneo a trasmettere un messaggio che va oltre le semplici qualità dei prodotti o dei servizi che esso contraddistingue, come è avvenuto nella specie, ove il menzionato segno sottintende un messaggio che sprona a farsi del bene, facendo leva su una componente essenzialmente emotiva del messaggio stesso.

La stessa parte ha, inoltre, ritenuto che la Commissione si è limitata ad operare una valutazione analitica delle singole parole, invece di considerare il segno nel suo insieme, non comprendendo che le parole comuni, che compongono il messaggio, nella specifica sequenza e combinazione contenuta nell'espressione, veicolano un messaggio specifico, riferito all'impresa che se ne avvale.

Da ultimo, la medesima ricorrente ha censurato la decisione della Commissione, nella parte in cui ha esaminato gli impedimenti alla registrazione in modo unitario, previsti nel D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 13, senza fare riferimento a ciascuno di essi, nonostante siano tra loro distinti e indipendenti.

2. Il controricorrente ha dedotto, prima ancora dell'infondatezza, l'inammissibilità dell'impugnazione avversaria, asseritamente volta ad operare un sindacato precluso al giudice di legittimità.

3. Come sopra evidenziato, il primo motivo di ricorso contiene censure riferite al mancato riconoscimento dell'assenza di motivazione del provvedimento dell'UIBM (primo profilo) ed anche critiche rivolte alla motivazione della decisione della Commissione (secondo profilo).

L'esame del motivo deve, pertanto, essere effettuato tenendo conto di tali duplici argomenti.

4. Con riferimento al primo profilo, le censure si rivelano inammissibili, ma per motivi diversi da quelli dedotti dal controricorrente.

4.1. Contrariamente a quanto eccepito dal Ministero, non è infatti prospettata la mancanza di congruità della motivazione del provvedimento dell'UIBM con il quale è stata rifiutata la registrazione (che avrebbe costituito senza dubbio un apprezzamento riservato al giudice di merito), essendo allegata l'esistenza di una motivazione talmente generica e vaga da risultare di fatto assente.

4.2. La censura e', comunque, inammissibile, dovendosi tenere conto delle caratteristiche proprie del procedimento instaurato davanti alla Commissione dei ricorsi.

Com'e' noto, ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 135, "Contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi che respingono totalmente o parzialmente una domanda o istanza, che rifiutano la trascrizione oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e negli altri casi previsti dal presente codice, è ammesso ricorso alla Commissione dei ricorsi".

Questa Corte ha già affermato il carattere giurisdizionale delle decisioni della menzionata Commissione, il quale comporta che le stesse siano suscettibili di impugnazione per violazione di legge o per difetto di giurisdizione, ai sensi dell'art. 111 Cost., esclusi i motivi attinenti a questioni di fatto (v. da ultimo Cass. Sez. 1, n. 11227 del 28/04/2021).

Con il menzionato articolo è stata chiaramente qualificata la competenza giurisdizionale della Commissione dei ricorsi, nel senso che essa non costituisce una giurisdizione di annullamento ma una giurisdizione esclusiva per tutti i rapporti fra i richiedenti e l'UIBM, che abbiano origine dall'attività amministrativa che precede la concessione dei titoli o la registrazione dei diritti di proprietà industriale.

La norma, infatti, ammette il ricorso alla Commissione non soltanto contro provvedimenti che respingono totalmente o parzialmente una domanda o un'istanza o che rifiutino una trascrizione, ma anche contro tutti i provvedimenti che impediscono il riconoscimento di un diritto, nei casi in cui il Codice della proprietà industriale stabilisce delle attribuzioni dell'UIBM.

D'altronde, nella materia della proprietà industriale si distingue nettamente il diritto alla concessione del titolo o alla registrazione (tradizionalmente chiamato diritto al brevetto) dal diritto che scaturisce dalla concessione del titolo oppure dalla registrazione (tradizionalmente chiamato diritto di brevetto oppure di marchio).

Il primo è un diritto soggettivo, declinato sul versante pubblicistico della disciplina della proprietà intellettuale, che può essere fatto valere soltanto nei confronti della Pubblica Amministrazione, incaricata della gestione dei titoli di "proprietà industriale".

Il secondo è un diritto soggettivo di natura privatistica che attribuisce al titolare, per effetto della concessione o della registrazione, lo ius excludendi alios e cioè il diritto di impedire a qualunque terzo l'utilizzazione della creazione intellettuale protetta.

In tale quadro, la competenza giurisdizionale della Commissione dei ricorsi comprende tutte le controversie che scaturiscono dall'esercizio del potere da parte dell'UIBM.

Si tratta di controversie che riguardano la tutela degli interessi dei privati nei confronti di tale esercizio.

La qualificazione della Commissione dei ricorsi come giurisdizione esclusiva, nei limiti sopra indicati, è pure confermata dalla disciplina processuale posta nel successivo art. 136, comma 17, D.Lgs. cit. (nel testo previgente, applicabile ratione temporis), ove è disciplinata la tutela cautelare, che può essere richiesta, allegando un pregiudizio grave ed irreparabile, derivante dall'esecuzione dell'atto impugnato o anche solo dal comportamento inerte dell'Ufficio. E', in particolare, prevista la possibilità di invocare l'adozione delle misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, e non la mera sospensione dell'efficacia dell'atto amministrativo, con la conseguenza che, stante la necessaria strumentalità delle misure cautelari, il successivo giudizio di merito si rivela esteso a pretese di rapporto e non a mere richieste di annullamento di atti.

Analoghe disposizioni, per la parte che qui interessa, si rinvengono nel vigente D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 136 undecies.

In conclusione, la menzionata Commissione è un organo di giurisdizione speciale di merito, che estende la sua cognizione a tutti i rapporti tra richiedenti ed UIBM che abbiano origine dall'attività amministrativa dell'Ufficio.

La Commissione, più che giudice dell'atto è giudice del rapporto, per cui la sua competenza resta modulata su tutto l'ambito in cui esercita funzione di controllo, essendo chiamata a verificare la pretesa del privato che è stata disconosciuta dall'UIBM.

4.3. Passando ad esaminare la fattispecie, in tale quadro, e', pertanto, inammissibile ogni critica alla decisione della Commissione riferita al mancato accoglimento delle critiche rivolte all'atto dell'UIBM con cui è stata respinta la richiesta di registrazione, poiché, come sopra evidenziato, la Commissione non è chiamata a compiere un sindacato sulla legittimità dell'atto, ma a verificare la fondatezza della pretesa del privato, che non è stata soddisfatta dall'Amministrazione.

4.4. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile nella parte in cui censura la decisione della Commissione in ordine ai dedotti vizi del provvedimento dell'UIBM, in applicazione del seguente principio di diritto:

"In materia di proprietà industriale, la Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti (UIBM), prevista dal D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 135, è un organo di giurisdizione speciale esclusiva di merito, che estende la sua cognizione a tutti i rapporti tra i richiedenti e l'UIBM che siano originati dall'attività amministrativa di tale Ufficio, e il suo operato non si risolve in un sindacato sulla legittimità degli atti contro cui è proposto ricorso, ma si sostanzia in una verifica della fondatezza delle richieste, afferenti a diritti soggettivi, che non sono state accolte dall'UIBM".

5. Per quanto riguarda il secondo profilo del primo motivo di ricorso, deve preliminarmente essere respinta l'eccezione di inammissibilità, formulata da parte resistente, in ragione della dedotta insindacabilità nel merito della motivazione della sentenza impugnata.

La censura, infatti, non è costruita in termini di inadeguatezza o insufficienza della motivazione (non più suscettibile di critica in ragione delle modifiche apportate dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), incentrandosi, invece, sulla ritenuta astrattezza delle ragioni poste a fondamento della statuizione adottata, considerata solo apparente.

6. Sotto questo profilo, il motivo e', comunque, infondato.

6.1. Si consideri che la pronuncia è stata adottata prima che venissero apportate le modifiche al D.Lgs. n. 30 del 2005 dal D.Lgs. n. 15 del 2019, ma già quando era in vigore tale disciplina, nella specie applicabile ratione temporis, era indiscussa la necessità della motivazione della decisione in questione (v. in particolare l'art. 136 D.Lgs. n. 30 del 2005, nel testo all'epoca vigente, ove è stabilito che, all'esito dell'istruttoria, il relatore, od un altro membro della Commissione, è incaricato di redigere la sentenza esponendo i motivi della decisione).

Come già evidenziato, questa Corte, proprio con riferimento ad una fattispecie regolata dalle norme precedenti al D.Lgs. n. 15 del 2019, ha precisato che le decisioni della Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti hanno carattere giurisdizionale e sono suscettibili di impugnazione per violazione di legge o per difetto di giurisdizione, ai sensi dell'art. 111 Cost., esclusi i motivi attinenti a questioni di fatto (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 11227 del 28/04/2021).

In applicazione dell'ultimo comma dell'art. 360 c.p.c., dunque, i motivi di ricorso straordinario per cassazione sono quelli elencati nel comma 1 dello stesso articolo, sicché, tenuto conto della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c. con riferimento al vizio di motivazione (D.L. n. 83 del 12, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012), non è più consentita l'impugnazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 "per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", ma soltanto "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l'effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053/2014).

La riformulazione appena richiamata deve, infatti, essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 prel., come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053/2014).

In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).

A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 63, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).

Questa Corte ha ulteriormente precisato che di "motivazione apparente" o di "motivazione perplessa e incomprensibile" può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Inoltre, ha pure affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento del ragionamento del giudice (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411/2021).

La funzione della motivazione e', infatti, chiaramente quella di consentire un controllo, sotto il profilo logico e giuridico, del ragionamento che ha condotto alla decisione.

6.2. Nel caso di specie, parte ricorrente ha dedotto che la Commissione, pur contenendo argomentazioni più ampie del provvedimento dell'UIBM, si è limitata ad utilizzare espressioni del tutto generiche e in nessun modo declinate alla peculiarità del caso specifico, così prospettando, di fatto, l'assenza di una motivazione.

Dalla semplice lettura della decisione impugnata si evince, tuttavia, l'evidente infondatezza della censura.

Come sopra anticipato, la Commissione ha ritenuto che l'espressione oggetto della richiesta di registrazione rientrasse nella. categoria degli slogan commerciali/pubblicitari, riferibili sostanzialmente ai prodotti di bellezza, che per essere registrati come marchi, come tutti gli altri segni, devono possedere almeno un minimo carattere distintivo oltre al messaggio pubblicitario, in modo tale da potersi imprimere nella memoria del consumatore come mezzo di riferimento all'impresa che ne chiede la registrazione.

In particolare, la menzionata Commissione ha ritenuto che lo slogan, per possedere carattere distintivo, "non deve tradursi in espressioni comunemente utilizzate nel linguaggio né limitarsi ad informare in termini comuni circa la natura od i vantaggi o le qualità del prodotto o del servizio essendo invece indispensabile la compresenza di un quid pluris atto a farlo percepire dal pubblico come tramite di identificazione dell'origine commerciale dei prodotti o dei servizi consentendone, senza possibilità di confusione, la distinzione da quelli dei concorrenti".

In tale ottica, per la Commissione, l'espressione ‘(Omissis)', rivolta al mondo dei prodotti cosmetici nella sua ampia latitudine, è "evocativa del miglioramento fisico e del benessere della persona per cui si connota come dizione estremamente generica e descrittiva dei prodotti/servizi cui attiene. Manca in ultima analisi nell'espressione utilizzata qualsiasi profilo di arbitrarietà linguistica, traslazione allusiva o trasposizione metaforica che assurga ad elemento di distacco significativo idoneo ad indirizzare il pubblico anche sulla provenienza imprenditoriale" (p. 3 della decisione impugnata).

La motivazione e', dunque, sussistente e chiaramente riferita a tutti i prodotti e i servizi oggetto della richiesta di registrazione.

7. Passando ad esaminare il secondo motivo di ricorso, si deve tenere conto che anch'esso contiene plurime doglianze, tutte convogliate nella censura di violazione o falsa applicazione dell'art. 13 D.Lgs. n. 30 del 2005.

Come sopra evidenziato, le prime due censure attengono ai presupposti per riconoscere il carattere distintivo al segno che si vuole registrare come marchio, anche quando si tratta di uno slogan pubblicitario. La terza censura costituisce una critica alla valutazione delle parole utilizzate per comporre tale segno, così come operata dalla Commissione. La quarta censura prospetta la mancata specificazione delle ragioni per cui il segno in questione non poteva essere registrato, con riferimento ai singoli impedimenti elencati nell'art. 13 D.Lgs. n. 30 del 2005.

8. Senza dubbio l'eccezione di inammissibilità, formulata dal controricorrente, è fondata con riferimento al profilo che attiene alla significato attribuito all'espressione di cui è stata richiesta la registrazione, tenuto conto che, con tale censura, è semplicemente suggerita una diversa valutazione in fatto, che peraltro non è specificata nella sua portata e si fonda su argomenti del tutto generici, non essendo neppure spiegato perché l'espressione "(Omissis)", valutata nel suo insieme, dovrebbe evocare proprio l'impresa che ha chiesto la registrazione.

9. Anche le prime due censure del secondo motivo di ricorso, attinenti all'accertamento del carattere distintivo del segno in questione, sono inammissibili.

Parte ricorrente ha dedotto che la Commissione ha reiteratamente violato D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 13, ma non ha però dedotto per quale ragione il messaggio veicolato dall'espressione ‘(Omissis)' avrebbe dovuto distinguere proprio l'impresa che ha chiesto la registrazione.

Le censure si rivelano, pertanto, sul punto, estremamente generiche, in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., e deve ritenersi inammissibile.

10. Le medesime doglianze si rivelano, comunque, anche infondate.

10.1. Com'e' noto, D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 7, nel testo vigente ratione temporis (rimasto immutato, per la parte di interesse, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 15 del 2009), nel delimitare l'oggetto della registrazione, stabilisce che "Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese".

Il successivo art. 13 D.Lgs. cit., nel testo vigente ratione temporis e ancora in vigore, contiene la illustrazione del requisito della capacità distintiva, precisando che "Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare: a) quelli che consistono esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio; b) quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio. 2. In deroga al comma 1 possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo... omissis".

Dalla lettura combinata delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 30 del 2005, emerge con chiarezza che l'art. 7 D.Lgs. cit. individua un requisito la cui assenza impedisce già in astratto di considerare un segno come marchio, perché non è idoneo atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese.

Il successivo art. 13 D.Lgs. cit. individua ipotesi in cui i segni in concreto perdono o acquistano capacità distintiva (rispettivamente, i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio e i segni che, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo) e contiene la specificazione di alcuni segni che sono senza dubbio privi del carattere distintivo (in quanto costituite esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono), riportando anche riferimenti esemplificativi.

Ovviamente la disposizione da ultimo menzionata non si sostituisce a quella precedente, contenuta nell'art. 7 D.Lgs. cit., più generale, che individua i requisiti per ottenere la registrazione di un marchio, né esaurisce tutte le ipotesi in cui si deve escludere il carattere distintivo del segno, ma contiene solo una elencazione non esaustiva delle ipotesi in cui tale carattere non può ritenersi esistente.

Il testo della norma e', peraltro, chiaro sul punto, laddove si legge che "Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare...omissis".

Il marchio, d'altronde, costituisce, per definizione, un segno distintivo dell'imprenditore che lo usa, differenziando i prodotti e servizi da lui offerti da quelli offerti dai concorrenti, e proprio questa caratteristica giustifica l'esclusiva del suo utilizzo.

Come tutti i segni distintivi, esso favorisce la formazione e il mantenimento della clientela, consentendo al pubblico, e in particolare ai consumatori di distinguere, tra i vari operatori economici e di operare le conseguenti scelte con consapevolezza.

10.2. Le disposizioni del D.Lgs. n. 30 del 2005, sopra riportate, trovano previsioni sostanzialmente corrispondenti negli artt. 4 e 7 del Regolamento (CE) n. 207/2009 del 26/02/2008, sul marchio comunitario, all'epoca vigente.

In particolare, nell'art. 4 cit. si legge che "Possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma dei prodotti o del loro imballaggio, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese".

Nel successivo art. 7 cit. sono, poi, individuati gli impedimenti assoluti alla registrazione ed è precisato che "Sono esclusi dalla registrazione: a) i segni non conformi all'art. 4; b) i marchi privi di carattere distintivo; c) i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio; d) i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o nelle consuetudini leali e costanti del commercio; e) i segni costituiti esclusivamente: i) dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto; ii) dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; iii) dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto; f) i marchi contrari all'ordine pubblico o al buon costume; g) i marchi che possono indurre in errore il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio;...omissis".

La mancanza dei requisiti menzionati nell'art. 4 del Regolamento appena riportato è compresa tra gli impedimenti assoluti alla registrazione, previsti nel successivo art. 7, aggiungendosi a quelli più specifici successivamente elencati, così confermando, anche in ambito Europeo, la previsione di impedimento alla registrazione, espresso in termini generali, cui si affiancano ipotesi più specifiche e particolari.

Il successivo Regolamento (UE) n. 1001/2017, del 14/06/2017, sul marchio dell'Unione Europea, contiene, negli artt. 4 e 7, per la parte che qui interessa, disposizioni analoghe a quelle previgenti.

10.3. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia UE risulta che dire che un marchio ha carattere distintivo equivale a dire che tale marchio permette di identificare il prodotto, per il quale è chiesta la registrazione, come proveniente da un'impresa determinata e, dunque, di distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese (cfr. Corte di giustizia UE, 29 aprile 2004, procedimenti riuniti nn. C-473/01 e C-474/01, punto 32; Corte di giustizia UE, 21 ottobre 2004, C-64/02, punto 42; Corte di giustizia UE, 21 gennaio 2010, C-398/08, punto 33; Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 37).

Questo carattere distintivo dev'essere valutato in funzione, da un lato, dei prodotti o dei servizi per i quali è chiesta la registrazione e, dall'altro, della percezione che ne ha il pubblico di riferimento (cfr., tra le tante, Corte di giustizia UE, 29 aprile 2004, procedimenti riuniti nn. C-473/01 e C-474/01, punto 33; Corte di giustizia UE, 21 gennaio 2010, C-398/08, punto 34).

10.4. La giurisprudenza dell'Unione ha, peraltro, maturato un consolidato orientamento in ordine alla possibilità di registrare, come marchio, slogan pubblicitari, il quale si colloca in perfetta sintonia con gli argomenti appena evidenziati.

Con riferimento a marchi composti da segni o indicazioni che sono utilizzati quali slogan commerciali, indicazioni di qualità o espressioni incitanti ad acquistare i prodotti o i servizi cui detto marchio si riferisce, la registrazione non è esclusa in ragione di una siffatta utilizzazione (Corte di giustizia, 4 ottobre 2001, C-517/99, punto 40; Corte di giustizia UE, 21 ottobre 2004, C-64/02, punto 41; Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28), ma, si precisa, devono essere utilizzati gli stessi criteri selettivi utilizzati per altri tipi di segni (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28).

La registrazione di un marchio non può, dunque, essere esclusa a causa del suo uso elogiativo o pubblicitario, ma il segno deve, comunque, essere percepito dal pubblico di riferimento come un'indicazione dell'origine commerciale dei prodotti e dei servizi da esso designati.

La connotazione elogiativa di un marchio denominativo non esclude che quest'ultimo sia comunque adatto a garantire ai consumatori la provenienza dei prodotti o dei servizi da esso designati. Un siffatto marchio può contemporaneamente essere percepito dal pubblico di riferimento come una formula promozionale e come un'indicazione dell'origine commerciale dei prodotti o dei servizi (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C139/16, punto 29).

Ciò comporta che la sola qualificazione di un messaggio come slogan pubblicitario non comporta automaticamente che abbia anche quel carattere distintivo, proprio del marchio, che deve essere accertato perché si compia una valida registrazione.

10.5. Nel caso di specie, come già evidenziato, la Commissione ha ritenuto sussistente il carattere promozionale del marchio e, facendo corretta applicazione delle norme sopra menzionate, ha accertato se avesse anche carattere distintivo, e cioè se fosse in grado di ricondurre il prodotto e i servizi prestati proprio all'impresa che ne ha chiesto la registrazione, escludendo che tale carattere fosse esistente, ritenendo che le espressioni usate non fossero in grado di ricondurre proprio alla impresa che ne ha chiesto la registrazione.

10.6. Il secondo motivo di ricorso, con riferimento alle censure appena esaminate, deve pertanto essere respinto in applicazione del seguente principio di diritto: "In tema di marchio d'impresa, l'imprenditore ha diritto alla registrazione anche di uno slogan pubblicitario, ma l'espressione contenente il messaggio promozionale deve adempiere alla finalità distintiva ossia essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi offerti da quell'impresa".

11. E', infine, infondata la censura da ultimo formulata, relativa al dedotto mancato esame analitico degli impedimenti alla registrazione del marchio, elencati nel D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 13, tenuto conto che, come sopra evidenziato, la Commissione, nella sentenza impugnata, ha confermato il rifiuto di registrazione operato dall'UIBM, richiamando il disposto dell'art. 7 D.Lgs. cit. e illustrando le ragioni della decisione.

Come sopra evidenziato, l'art. 13 D.Lgs. cit. non contiene l'elencazione esaustiva di tutte le ipotesi in cui non si ha diritto alla registrazione, ma ne individua solo alcune, le più rilevanti, ferma restando la previsione generale contenuta nel precedente art. 7 D.Lgs. cit.

Per motivare il rifiuto, non era dunque necessario esaminare le diverse ipotesi contemplate nell'art. 13 D.Lgs. cit., bastando - come ha del resto fatto la Commissione -specificare le ragioni per cui ha ritenuto che il segno fosse privo del carattere distintivo, ai sensi dell'art. 7 D.Lgs. cit.

12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

13. La statuizione sulle spese segue la soccombenza.

14. In applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge;

dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2022.

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