Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.3775 del 07/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35935/2019 proposto da:

S.M., alias M.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Comano N 95 presso lo studio dell’avvocato Faraon Luciano, rappresentato e difeso dall’avvocato Faraon Andrea;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente con atto di costituzione –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 28/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/11/2021 da Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.

RILEVATO

che:

1. S.M., proveniente dal *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza riferì di aver lasciato di aver lasciato il ***** ed essersi recato in Libia per motivi economici; di essere tornato in ***** una prima volta nel 2013 ed una seconda volta nel 2014; che, in occasione del secondo rientro, la sua famiglia venne aggredita da alcuni membri del villaggio che volevano impossessarsi di un loro terreno; che in quella occasione il padre fu ucciso; che il richiedente subì numerose minacce di morte e di rapimento dei figli da parte dei membri del villaggio e pertanto decise di tornare in Tibia; che rientrato in Libia venne imprigionato e rapito due volte; che dopo esser riuscito a scappare pagando il riscatto decise di abbandonare la Libia per raggiungere l’Italia. Dichiarò dunque di temere, in caso di rientro, di essere ucciso dai membri del villaggio per via delle questioni relative al terreno.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento S.M. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che, con decreto n. 9178/2019 del 28 ottobre 2019, rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) inattendibile il racconto del richiedente asilo avendo egli fornito una differente ricostruzione dei fatti in sede giudiziale rispetto a quella amministrativa e considerata, in ogni caso, la scarsa verosimiglianza della complessiva dichiarazione;

b) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato stante la non credibilità del richiedente asilo e la natura meramente privatistica delle ragioni di fuga dedotte.

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria non avendo il ricorrente allegato alcun rischio di persecuzione riconducibile all’ipotesi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) ed in mancanza di un conflitto armato generalizzato nella regione di provenienza;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria in quanto la scarsa credibilità del racconto non consentiva di rinvenire alcuna condizione di particolare vulnerabilità. Il giudice di merito ha altresì osservato che il richiedente asilo non aveva fornito alcuna prova del raggiungimento di un adeguato livello di integrazione all’interno del territorio italiano poiché egli aveva depositato un solo contratto, scaduto nel 2018, senza fornire alcuna ulteriore prova di un attuale lavoro stabile con retribuzione sufficiente.

3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da S.M. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il Tribunale ritenuto non credibile il richiedente asilo nonostante avesse circostanziato la domanda e narrato la sua vicenda con abbondanza di particolari. Osserva in particolare che i maggiori dettagli e le eventuali incongruenze emerse in sede giudiziale sarebbero frutto nel normale processo di immagazzinamento delle informazioni, delle esperienze di vita del singolo. Lamenta infine che il giudice di merito non avrebbe preso in considerazione la denuncia fatta alla Polizia.

4.2 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente investe il decreto nella parte in cui ha rigettato la domanda di riconoscimento di protezione sussidiaria in quanto dalle fonti emergerebbe una situazione molto critica e di generale instabilità del *****.

4.3 Con il terzo motivo il ricorrente censura il decreto nella parte in cui ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria sostenendo la non credibilità del racconto e dunque la mancanza di elementi su cui fondare la vulnerabilità del ricorrente.

5. Il ricorso è inammissibile per difetto di valida procura alle liti.

Al riguardo, si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 15177/2021, hanno affermato, componendo il contrasto creatosi fra le sezioni semplici, che: “il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13 – nella parte in cui prevede che “La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima” – ha richiesto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso”, nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore. La procura speciale per il ricorso per cassazione, per le materie regolate dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13 e dalle disposizioni di legge che ad esso rimandano, deve contenere in modo esplicito l’indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l’autenticità della firma del conferente””.

5.1. La questione di legittimità costituzionale del citato art. 35-bis, comma 13 – sollevata, successivamente a detta sentenza, da questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 17970/2021, denunciandone il contrasto con gli artt. 3,10,24,111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, S 11, della direttiva 2013/32/UE (Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale), nonché agli artt. 18, 19, 5 2 e 47 della Carta dei diritti UE e agli artt. 6, 7, 13 e 14 della CEDU, nella parte in cui prevede che la mancanza della certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore, limitatamente ai procedimenti di protezione internazionale, determini la inammissibilità del ricorso – è stata decisa dalla Corte costituzionale nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021 nel senso della non fondatezza (cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 13/2022).

5.2. Nel caso di specie, la procura speciale rilasciata per il ricorso per cassazione non contiene alcuna espressione dalla quale risulti che il difensore abbia inteso certificare che la data di conferimento di essa sia stata successiva alla comunicazione provvedimento impugnato, recando unicamente l’autenticazione della firma del richiedente asilo che non è idonea, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite sopra richiamata, ad attestare anche che la data del conferimento del mandato è successiva alla comunicazione del decreto da impugnare.

6. Non occorre provvedere sulla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero.

Il pagamento del doppio contributo, se dovuto, va posto a carico del ricorrente, in applicazione del principio – enunciato dalla citata sentenza n. 15177/2021 delle Sezioni Unite – per cui “il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata presenza, all’interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza”.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà, atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 11 novembre 2021, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

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