LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30648-2020 proposto da:
M.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DI ROSA CLEMENTINA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 14270/2019de1 TRIBUNALE di BARI, depositato il 27/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Vella Paola.
RILEVATO
Che:
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, M.S., nato a Karachi (Pakistan) il 2 gennaio 1987, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bari il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, o di protezione umanitaria, ai cui fini aveva esposto di aver lasciato per motivi economici il proprio paese, dove lavorava in una fabbrica tessile percependo un salario inferiore rispetto agli altri, in quanto appartenente all’etnia bengali, dovendo provvedere al mantenimento della madre malata (poi deceduta), del padre affetto da problemi agli occhi, della cognata, moglie del fratello premorto, e dei loro due figli, nonché delle proprie quattro sorelle.
1.1. Il tribunale adito, senza procedere a nuova audizione del ricorrente, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione invocate, ritenendo in particolare che la vicenda narrata dal ricorrente fosse inquadrabile all’interno di un progetto migratorio di tipo economico e che non fosse possibile cogliere una discriminazione sotto il profilo economico per motivi etnici, attesa l’espressa negazione di tale circostanza da parte del ricorrente dinnanzi alla Commissione territoriale e la mancata sottoposizione della questione al vaglio giudiziale. Sulla base delle COI acquisite d’ufficio ha inoltre escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel paese di origine del ricorrente, con particolare riferimento alla sua zona di provenienza, nonché la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo il ricorrente raggiunto un livello di integrazione non sufficiente, a fronte della sua presenza in Italia sin dal 2011. Ha infine escluso il riconoscimento del diritto di asilo ex art. 10 Cost., comma 3, per avere il ricorrente fatto riferimento unicamente alla precarietà che sarebbe costretto a subire in caso di rientro in Pakistan. 1.2. Avverso tale decisione M.S. ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione. Il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale, senza svolgere difese.
2. A seguito di deposito della proposta ex art. 380-bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio non partecipata del 16 dicembre 2021.
CONSIDERATO
Che:
2.1. Con il primo motivo, rubricato “Errores in iudicando – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5,6,7,8 e 14 – status di rifugiato e protezione sussidiaria (ex art. 360 c.p.c., n. 3)”, ci si duole del mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria nonostante le motivazioni addotte dal ricorrente a fondamento della propria domanda di protezione internazionale.
2.2. Il secondo mezzo, rubricato “Errores in iudicando – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 – Protezione di carattere umanitario (ex art. 360 c.p.c., n. 3)”, lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, per avere il tribunale apoditticamente affermato che il ricorrente fosse privo di lavoro regolare e privo di reddito – mentre egli lavorerebbe con contratto a tempo indeterminato dal 28 ottobre 2020 e avrebbe prodotto nel corso del giudizio di primo grado le buste paga relative alla propria occupazione per l’anno 2020 – senza svolgere una effettiva valutazione comparativa con la situazione oggettiva e soggettiva del richiedente nel paese di origine.
2.3. Il terzo motivo, rubricato “Errores in iudicando – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e art. 27, comma 1-bis -omessa istruttoria ex officio (ex art. 360 c.p.c., n. 3)”, censura la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice del merito, che non avrebbe svolto una valutazione sufficientemente approfondita in merito alla situazione socio-politica del paese di origine e di quelli ove il richiedente è transitato, anche alla luce dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da virus Covid-19.
2.3. Con il quarto motivo, rubricato “Errores in procedendo – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5)” e connesso al secondo, si lamenta l’omesso esame dell’effettiva situazione lavorativa del ricorrente, nonché della sua condizione oggettiva e soggettiva nel paese di origine.
3. Il primo ed il terzo motivo sono inammissibili.
3.1. In particolare, il primo non si confronta con la motivazione resa dal tribunale che, nel ricondurre la vicenda alla base dell’espatrio, nel 2008, a motivi meramente economici (“collegati alla necessità di dover provvedere al mantenimento del numeroso nucleo familiare, mantenimento che non riusciva di assicurare per mezzo dell’attività lavorativa svolta in Pakistan”) ha escluso la sussistenza di una situazione di persecuzione di tipo economico dettata da motivi etnici, ricordando che il ricorrente, “a specifica domanda, ha negato di essere discriminato nella vita sociale nel suo Paese in quanto bengali, tenuto conto che nella città in cui vive, Karachi, convivono pacificamente molteplici etnie”. Al di là dell’ampio richiamo della disciplina astrattamente applicabile, la censura si rivela pertanto generica.
3.2. A sua volta il terzo motivo non indica quali delle informazioni utilizzate dal tribunale circa la situazione del Pakistan siano da ritenersi inadeguate, né contrappone fonti alternative decisive, limitandosi a riportare genericamente una diversa valutazione della situazione del paese, oltre al quadro normativo che disciplina il dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice e alcuni precedenti di merito. Peraltro, quanto al dovere di cooperazione istruttoria in relazione alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il tribunale ha utilizzato numerose C.O.I. qualificate e aggiornate, riportandole chiaramente in decreto (v. pag. 5-8).
4. Il secondo ed il quarto motivo, che in quanto connessi vano esaminati congiuntamente, meritano invece accoglimento.
4.1. Invero, è lo stesso tribunale a dare atto che il ricorrente, presente in Italia dal 2011, ha allegato certificazione Unilav di contratto a tempo indeterminato a partire dal 2018 e dichiarazioni. CUD 20192020 sui redditi percepiti negli 2018-2019 (per circa 15 mila Euro) sottolineando però la mancanza di prova della perdurante esistenza del rapporto di lavoro nell’anno 2020; da parte sua, il ricorrente richiama la documentazione prodotta nel giudizio di merito attestante di aver lavorato come “cucitore a macchina” presso la società Humayra Fashion (v. CUD e buste paga da gennaio a maggio 2020) e allega di essere stato assunto dal 28/10/2020, con le medesime mansioni, dalla ditta Faruq Hossain (v. comunicazione Unilav), potendo perciò contare su uno stipendio di circa ottocento-mille Euro 4.2. Tali elementi – che attestano la significativa integrazione raggiunta dal ricorrente in Italia, ove è presente da circa un decennio -dovranno essere nuovamente valutati dal tribunale, in uno alle ulteriori circostanze personali e familiari del richiedente, ai fini della valutazione comparativa della sua situazione soggettiva ed oggettiva con riferimento al Paese d’origine, cui lo stesso tribunale è tenuto ad attribuire – secondo il recente insegnamento delle Sezioni Unite – “un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano”, tenuto conto che, “quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, per riconoscere il permesso di soggiorno” (Cass. Sez.U, 09/09/2021 n. 24413).
5. Pertanto, in accoglimento dei motivi secondo e quarto, il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Bari, in diversa composizione, anche che per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e il quarto motivo, dichiara inammissibili il primo e il terzo, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022