LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19334/2015 R.G. proposto da:
P.A., elettivamente domiciliato in Mugnano di Napoli, alla via Brodolini n. 5, presso lo studio legale Cantiello & Di Stazio, rappresentato e difeso, unitamente e disgiuntamente, dagli avvocati di Stazio Biagio e Cantiello Antonio, in virtù di mandato in calce al ricorso.
– ricorrente –
e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1432/52/15 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 12/02/2015 e non notificata.
Udita la relazione del consigliere D’Angiolella Rosita, svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio 2022.
RITENUTO
Che:
1. La controversia in oggetto riguarda l’impugnativa, da parte di P.A., del silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso dell’imposta pagata in eccesso sulla somma di Euro 140.000,00, percepita a titolo di incentivo dell’esodo dell’Enel del 2/07/1999, prorogato fino al dicembre 2011, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro con la Enel s.p.a. Con la decisione in epigrafe, la CTR ha rigettato l’appello proposto.
2. La Commissione tributaria provinciale adita, con sentenza n. 888/11/2013 del 17 dicembre 2013, rigettò il ricorso negando l’applicabilità dell’agevolazione di cui alla L. n. 248 del 2006.
3. Il contribuente, con atto del 17 giugno 2004, propose appello chiedendo la riforma della sentenza e l’accoglimento del ricorso originario sostenendo l’applicabilità dell’agevolazione prevista dal regime transitorio introdotto dalla L. 4 aprile 2006 n. 248.
4. La Commissione tributaria regionale adita, con la sentenza di cui in epigrafe, ha rigettato l’appello ritenendo che non potesse operare l’agevolazione prevista dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 23, (e non 26 come indicato in sentenza), convertito in L. n. 248 del 2006, in quanto nel caso de quo, il P. aveva cessato il rapporto di lavoro nel 2008 e quindi successivamente all’entrata in vigore del decreto e che, inoltre, il P. non aveva provato che il rapporto di lavoro era cessato in attuazione “di atti o accordi” aventi data certa anteriore.
5. P.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
6. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, conv. in L. 248 del 2006, art. 3 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, laddove la sentenza impugnata ritiene non operante l’agevolazione prevista dall’art. 19 T.U.I.R., comma 4-bis e laddove ha escluso la rilevanza probatoria della documentazione offerta in controprova. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 2 Cost., artt. 115 e 215 c.p.c., art. 2704 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5, c.p.c., là dove la CTR ha ritenuto la carenza di prova documentale circa la data certa anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006. Col terzo mezzo (erroneamente rubricato con il numero 2), deduce la violazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. in quanto la riforma della sentenza di appello chiesta col ricorso in cassazione, comporta la condanna dell’Agenzia delle entrate alle spese di giudizio.
2. Il primo ed il secondo mezzo si esaminano congiuntamente per connessione logica e giuridica. Essi sono infondati.
2.1. Le motivazioni addotte dalla Commissione tributaria regionale nella gravata sentenza, consentono senz’altro di individuare la loro ratio decidendi in quanto enunciano, in maniera obiettivamente adeguata, le ragioni che, sia sul piano logico che su quello giuridico, hanno portato al rigetto dell’appello del contribuente; in particolare, con la sentenza impugnata, la CTR ha motivato la sua decisione, superando la prospettazione dell’appellante (secondo cui aveva aderito al piano di esodo in data precedente all’entrata in vigore – 4 luglio 2006 – della L. n. 248 del 2006 e che l’incentivo era stato erogato dalla parte datoriale solo nel 2008, tenuto conto peraltro del progetto aziendale del 30/06/1999, prorogato sino al 15/04/2002, nonché del regime transitorio di cui alla L. n. 248 del 2006, art. 36), sul rilievo che il contribuente non avesse provato l’adesione al piano di incentivo all’esodo in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006; vieppiù, ha sottolineato che l’accordo del 30/06/1999 non poteva riferirsi temporalmente alla cessazione del rapporto di lavoro del P. avvenuto almeno otto anni dopo (2008), così come il comunicato del dicembre 2010, riguardante rapporti di lavoro cessati successivamente al 2008, e cioè negli anni 2010-2011. Non pare ravvisabile, dunque, alcun error in procedendo (laddove il riferimento al numero 4 dell’art. 360 c.p.c., della prima censura, volesse intendere una qualche carenza di motivazione), né alcun omesso esame di fatti decisivi e controversi (là dove abbia inteso riferirsi al mancato esame delle risultanze dell’accordo aziendale del 30/6/1999 e al documento di proroga del 2010).
2.2. Il ragionamento seguito dalla CTR circa l’inapplicabilità della disposizione agevolativa di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, come convertito in L. n. 248 del 2006 risulta corretto in relazione alle norme applicabili alla fattispecie ed ai principi affermati da questa Corte in materia.
2.3. La norma in parola prevede che: “Nel testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 19, comma 4-bis è abrogato. La disciplina di cui al predetto comma 4-bis continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, nonché con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
2.4. Pertanto, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 19, comma 4-bis, che ha introdotto per i contributi d’incentivo all’esodo dei lavoratori dipendenti un’aliquota dimezzata rispetto a quella per il trattamento di fine rapporto, nonostante la sua abrogazione, è reso ultrattivo dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, conv. in L. n. 248 del 2006, in due ipotesi non concorrenti: 1) con riferimento alle somme corrisposte per rapporti di lavoro cessati entro il 3 luglio 2006 (ovvero prima dell’entrata in vigore del citato D.L.); oppure, alternativamente, 2) con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati dopo tale data, in attuazione di atti o accordi aventi data certa anteriore al 4 luglio 2006.
2.5. Sulla base di tali presupposti – tenuti da conto dalla CTR (v. pag. 3) – la giurisprudenza di legittimità, con indirizzo mai contrastato, ha affermato che ove il lavoratore proponga istanza di rimborso dell’IRPEF, calcolata dal datore di lavoro sulla quota integrativa del TFR, assumendo di aver percepito l’indennità come incentivo all’esodo volontario, è tenuto a dimostrare, mediante idonea documentazione, che l’erogazione del contributo è avvenuta a tale titolo e di aver aderito in data antecedente al 4 luglio 2006 al piano di incentivo proposto dal datore di lavoro oppure oggetto di accordo sindacale (v. Sez. 5, 13/11/2019, n. 29400; id. Sez. 5, 07/09/2018, n. 21770, secondo cui il lavoratore, che proponga istanza rimborso dell’IRPEF calcolata dal datore di lavoro sulla quota integrativa del TFR, assumendo di aver percepito l’indennità come incentivo all’esodo volontario, è tenuto a dimostrare, mediante idonea documentazione, che l’erogazione del contributo è avvenuta a tale titolo).
2.6. Conseguentemente, è dovere del giudice di merito quello di verificare la sufficienza della documentazione prodotta a sostegno delle ragioni creditorie (da rimborso) allegate dal contribuente, con un giudizio di merito che, se congruamente e logicamente motivato – come nella specie -, è incensurabile in sede di legittimità (v. Cass. n. 23696 del 2007, in motivazione). Ed invero, “con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (così, Cass. 07/04/2017, n. 9097).
2.7. Non va dimenticato, peraltro, che nel processo tributario, “ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato” (v. Cass., 13/09/2017, n. 21197).
3. Il terzo motivo è inammissibile, censurandosi con esso la statuizione di condanna del contribuente alle spese di lite sul presupposto (insussistente) che la decisione dei secondi giudici gravata con il presente ricorso – fosse errata, il che, peraltro, è smentito dalle ragioni sopra esposte.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate liquidate in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022
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