Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.3836 del 07/02/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6548/2021 proposto da:

A.K., rappresentato e difeso dell’Avv. Praticò

Alessandro, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

nei confronti di Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso decreto n. cron. 604/2021 del Tribunale di Torino emesso il 2 dicembre 2020 nel procedimento n. R.G. 28273/2018;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Iofrida Giulia.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, A.K., cittadino nigeriano, ha adito il Tribunale di Torino impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione Data pubblicazione 07/02/2022 umanitaria. Il ricorrente riferiva di aver lasciato il suo Paese per timore di essere ucciso dal padre della fidanzata, deceduta a seguito del parto. Il Tribunale ha ritenuto che non fosse credibile il racconto del ricorrente, considerandolo sotto diversi aspetti vago ed incoerente, e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, avuto riguardo anche alla situazione generale della Nigeria, descritta con l’indicazione delle fonti di conoscenza (USDOS 2020; Amnesty International 201). Il Collegio non ha ritenuto, altresì, integrati i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il ricorrente allegato documentazione idonea a comprovare sia il suo percorso di integrazione socio-lavorativa sia la sua situazione familiare in Italia.

Avverso il predetto decreto A.K. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 22/2/2021, svolgendo due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale. E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ante D.L. Salvini del 2018 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1.1. e 1.2 e art. 5, comma 6, come riformulati dal D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 173"; b) ” Violazione e falsa applicazione degli artt. 2,10 e 32 Cost, art. 3 Conv. Europea dir. Dell’Uomo, art. 360 c.p.c. comma 1, difetto di motivazione ex art. 11 Cost. e sufficiente istruttoria nell’esame della domanda di protezione speciale”.

2.1 motivi sono tutti inammissibili.

Il Tribunale ha ritenuto di non riconoscere la protezione umanitaria, considerando irrilevanti le allegazioni non documentate in relazione sia all’occupazione lavorativa sia alla situazione familiare posta a base della richiesta di protezione internazionale e speciale. Nel decreto vengono, altresì, riportate valutazioni inerenti alla condizione del Paese di origine, con indicazione delle fonti consultate.

Nel ricorso, si lamenta la mancata valutazione della vicenda personale e delle condizioni del paese di origine ai fini del riconoscimento della protezione speciale, ai sensi del D.L. n. 130 del 2020, entrato in vigore il 22/10/2020, convertito nella L. n. 173 del 2020. Si riporta la normativa di riferimento, menzionando anche la rilevanza della pandemia, senza tuttavia allegare nulla di specifico in merito alla situazione personale del ricorrente, assumendo essenzialmente che la Riforma del 2020 avrebbe comportato che il richiedente, “per la vicenda umana e le condizioni del Paese d’origine” sia da ricomprendere tra i soggetti vulnerabili.

Questa Corte (Cass. 13248/2021) ha precisato che la nuova disciplina della protezione umanitaria, introdotta con il D.L. n. 130 del 2020, conv. con modif. dalla L. n. 173 del 2020, entrata in vigore il 22 ottobre 2020, non trova applicazione nei giudizi di cassazione pendenti alla suddetta data, “stante il tenore letterale della norma transitoria prevista dal citato D.L., art. 15, che prevede l’immediata sua applicazione ai procedimenti pendenti avanti alle commissioni territoriali, al questore ed alle sezioni specializzate, rendendo evidente che scopo della norma è quello di prevenire “la duplicazione di procedimenti amministrativi e di eventuali contenziosi”, finalità che si attaglia ai procedimenti ed ai giudizi di merito”.

Peraltro, in ricorso, si precisa che la reintroduzione, nel corpo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, della clausola di salvaguardia rappresentata dagli obblighi costituzionali ed internazionali, è avvenuta in sede di conversione in legge “ovvero pochi giorni dopo la decisione di rigetto del ricorso”.

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472