Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.3871 del 08/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 18521-2015, proposto da:

C.O.A. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 18, preso lo studio Grez &

Associati, rappresentato e difeso dagli avv. Caterina Corrado Oliva e Filippo da Passano;

– ricorrente e controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf *****, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 165/02/2015 della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 4.02.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 12.11.2021 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.

RILEVATO

che:

Ad C.O.A., quale erede di C.C., sua genitrice, fu notificato l’avviso d’accertamento con cui, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 41 bis, venne contestato per l’anno d’imposta 2005 un maggior reddito ai fini Irpef ed addizionali regionali e comunali. L’atto impositivo trovava fondamento, secondo l’assunto dell’Amministrazione finanziaria, nei proventi, mai dichiarati dalla genitrice, derivanti dalla locazione di porzioni di un immobile (parte del lastrico solare e cantina) per l’installazione di antenne per reti di telefonia (Nokia e Vodafone).

Il ricorrente adì la Commissione tributaria provinciale di Genova, che con sentenza n. 140/04/2012 respinse le ragioni del contribuente. L’appello, proposto dal soccombente dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Liguria, fu rigettato con la sentenza n. 165/02/2015, ora impugnata dinanzi alla Corte. Il giudice regionale ha ritenuto infondati tutti i motivi d’appello.

Il C.O. ha censurato la decisione con sei motivi, chiedendone la cassazione. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, spiegando anche ricorso incidentale condizionato, cui il contribuente ha a sua volta resistito con controricorso.

Il ricorrente principale ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Nell’adunanza camerale del 12 novembre 2021 la causa è stata trattata e decisa.

CONSIDERATO

che:

C.O.A. ha denunciato:

con il primo motivo la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, nn. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la carenza di una concisa esposizione dello svolgimento del processo e delle richieste delle parti;

con il secondo motivo la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, dell’art. 156 c.p.c., per motivazione apparente, nonché per violazione dell’art. 112 c.p.c., sempre in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronunzia sui dedotti vizi di notifica;

con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, e del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 17, comma 1-bis, in combinato disposto con la L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 21 septies e 21 octies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia o per motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in merito alla mancata sottoscrizione dell’avviso di accertamento e alla carenza di poteri in capo al sottoscrittore;

con il quarto motivo la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, e degli artt. 156 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente o per omessa pronuncia sui denunciati vizi di “notifica” (dal tenore del motivo da intendersi come vizi di motivazione);

con il quinto la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia circa la carenza della prova;

con il sesto motivo la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 25, 36, art. 37, comma 4 bis, art. 67, comma 1, lett. e), nonché art. 70, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erronea qualificazione giuridica del maggior reddito contestato, ovvero la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia o motivazione apparente sulla medesima questione.

Con il primo motivo il contribuente denuncia la nullità della sentenza perché carente dei requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2) e 3), ed in particolare della concisa esposizione dello svolgimento del processo e delle richieste delle parti.

Questa Corte, ai fini dell’osservanza delle prescrizioni sul contenuto della sentenza, ha affermato che la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza, quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass., 20 gennaio 2015, n. 920; 15 novembre 2019, n. 29721). Nel caso di specie, sia pur succintamente, è agevolmente comprensibile lo svolgimento del processo, per l’esplicito riferimento alla pronuncia di primo grado, che aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento relativo all’Irpef 2005 notificato al contribuente. Da ciò infatti si evince tanto l’oggetto della controversia, quanto gli esiti processuali del giudizio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. Con riguardo poi alle richieste delle parti, la lettura della pronuncia, nella quale il giudice regionale ha riportato le varie critiche addotte dal contribuente con l’atto d’appello, è dato ricavare sia le questioni portate all’attenzione della commissione regionale, sia il petitum, ossia la richiesta di annullamento dell’atto impositivo impugnato.

Esaminando ora gli altri motivi, poiché con essi il ricorrente si duole del vizio radicale della sentenza perché affetta da omessa pronuncia o da motivazione apparente, va chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo dell’esattezza e logicità del suo ragionamento. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che in sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata anche per relationem, ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima sia pure in modo sintetico le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato in modo da renderne possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Conseguentemente va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). D’altronde la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). E si è anche affermato che l’apparenza si rivela ogni qual volta la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).

Ciò premesso, con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato l’apparenza della motivazione, o addirittura l’omessa pronuncia, con riguardo ai vizi della notifica. Sul punto la sentenza ha rigettato l’eccepito vizio di notificazione dell’avviso d’accertamento affermando che “la notifica dell’avviso d’accertamento, come già ritenuto dai giudici di prime cure, è regolare. La notifica è avvenuta a mezzo posta: è stata pedissequamente rispettata la scansione del procedimento di notifica in caso di assenza del destinatario nella caso d’abitazione (sic). E’ stato affisso l’avviso di deposito alla porta d’abitazione; depositato l’atto nella casa comunale cui ha fatto seguito la raccomandata con avviso di ricevimento, avviso di ricevimento sottoscritto dal ricorrente. Gli elementi estrinseci relativi all’individuazione del soggetto notificatore sono assorbiti oltre che dalla regolarità del procedimento descritto dalla sottoscrizione del messo notificante, che comunque non inficiano la regolarità della notificazione”. A parte la correttezza logica della descrizione delle scansioni e delle modalità con le quali la notificazione dell’atto impositivo si è compiuta, deve escludersi non solo l’omessa pronuncia, ma anche l’apparenza della motivazione, essendo palese che la commissione regionale non abbia condiviso le critiche addotte dall’appellante contribuente sulla ritualità della notificazione dell’avviso di accertamento.

I motivi terzo, quarto, quinto e sesto, sotto l’aspetto della apparenza della motivazione, sono invece tutti fondati.

La pronuncia, quanto ai “residui” motivi d’appello, si è limitata a rilevare che “l’avviso di accertamento è stato sottoscritto dal capo area a ciò delegato. Non è stato violato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, poiché l’indicazione dei contratti stipulati per l’installazione degli impianti delle stazioni radio, da cui sortisce il reddito non dichiarato, integra la segnalazione da cui ha poi preso piede l’accertamento parziale. La motivazione dell’atto è congrua e rende conto del percorso logico-giuridico seguito dall’ufficio anche nella quantificazione del reddito imputato (avendo l’ufficio in aggiunta scontato la deduzione forfettaria per la natura della categoria del reddito c.d. diversa) come poi tradottosi nell’atto impugnato. Conclusivamente l’appello deve essere respinto”. La motivazione è costruita, quanto ai motivi cd. residui, con una serie di asserzioni che in alcun modo, a fronte delle critiche sollevate dall’appellante – riportate per stralci nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza- spiegano il perché la commissione regionale abbia raggiunto quelle conclusioni. L’aver affermato che l’atto impositivo fosse sottoscritto dal capo area a ciò delegato non spiega neppure da chi il capo area fosse stato delegato, se vi fosse una sottoscrizione della delega medesima circostanza espressamente contestata dall’appellante nel giudizio di secondo grado-. Le critiche mosse ai fini della validità della delega erano molteplici e, a prescindere dalla loro fondatezza, di esse il giudice d’appello doveva certamente darvi atto, sia pur succintamente, proprio al fine di assicurare un controllo sull’esattezza e logicità del ragionamento decisorio, in osservanza del principio sancito dall’art. 111 Cost., comma 6.

Parimenti, alle stesse conclusioni si perviene con riguardo all’eccepita omessa pronuncia sui lamentati vizi di motivazione dell’atto impositivo (erroneamente riportato come vizio di “notificazione” nell’articolazione del quarto motivo) e sulla carenza di prova delle contestazioni elevate dal fisco. Sul punto gli stralci dell’atto d’appello, riportati in ricorso, mostrano che il ricorrente si era ampiamente diffuso, denunciando anche la mancata allegazione di atti richiamati nell’atto impositivo, tanto più che la contestazione fiscale era stata notificata all’erede della contribuente. Le critiche erano state rivolte anche alla qualificazione giuridica del reddito ed ai presupposti per l’assoggettamento all’imposta. Il giudice regionale ha risposto alla censura limitandosi ad aggettivare l’avviso d’accertamento come “congruo” ed idoneo a render conto del percorso “logico-giuridico seguito dall’ufficio”. Trattasi anche in questo caso di motivazione apparente.

Va accolto pertanto anche il quarto motivo. L’accoglimento del quarto assorbe anche il quinto.

Fondato infine è anche il sesto motivo, laddove, a fronte delle critiche sollevate dal contribuente sulla collocazione del reddito accertato nella categoria dei redditi diversi, senza riconoscere dunque la deduzione forfettaria del 15% (ratione temporis vigente), propria al contrario del reddito dei fabbricati, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 37, la sentenza non spende una sola parola per illustrare le ragioni della correttezza della qualificazione giuridica del reddito.

Esaminando infine il ricorso incidentale condizionato dell’Agenzia delle entrate, con esso l’ufficio denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, e del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver implicitamente rigettato l’eccezione di tardività di proposizione del ricorso, oltre il termine di legge, differito per la presentazione dell’istanza di adesione. La ricorrente incidentale lamenta che con l’eccezione, sollevata in primo grado, e poi in appello, aveva denunciato che, a fronte della notifica dell’avviso di accertamento il 21 settembre 2010, il termine complessivo, che doveva tener conto dell’istanza di adesione, scadeva il 18 febbraio 2011, mentre il ricorso risultava spedito il 19 febbraio 2011. Il motivo è infondato laddove, come evidenziato dal contribuente, la notificazione dell’atto impositivo, spedita il 21 settembre del 2010, pervenne al contribuente il successivo 23 settembre, giorno dal quale occorreva conteggiare i termini esatti per la proposizione dell’impugnazione, con l’effetto che il ricorso deve considerarsi tempestivo.

La sentenza va in definitiva cassata perché nulla in ragione dei motivi accolti e il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Liguria, che in diversa composizione, oltre che provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, provvederà al riesame dei motivi d’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado.

P.Q.M.

Accoglie il terzo, quarto, e sesto motivo, assorbito il quinto, rigetta il primo ed il secondo. Rigetta il ricorso incidentale condizionato dell’Agenzia delle entrate. Cassa la sentenza nei termini di cui in motivazione e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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