LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16204/2013 R.G. proposto da:
T.G., rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Grassi, presso cui elettivamente domicilia in Giarre, al corso Italia, n. 147; domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 462/34/12 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, depositata il 13/12/2012 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 dicembre 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
che:
T.G. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 462/34/12 della Commissione tributaria regionale della Sicilia (di seguito C.t.r.), depositata il 13/12/2012 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiori Irpef ed Iva per l’anno di imposta 1996, in sede di giudizio di rinvio ha accolto l’appello dell’ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Catania, favorevole al contribuente;
con la sentenza impugnata la C.t.r. ha ritenuto che, con l’accertamento mediante l’applicazione dei parametri, il legislatore ha costituito una presunzione relativa in favore del fisco, gravando il contribuente dell’onere della prova contraria;
nel caso di specie, secondo i giudici di appello, il contribuente non era riuscito fornire la prova idonea a vincere la presunzione di maggiori ricavi;
a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
il ricorso è stato fissato per l’udienza pubblica del 13 marzo 2019, all’esito della quale la Corte ha sospeso il processo ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10, convertito dalla L. n. 136 del 2019, e rinviato la causa a nuovo ruolo, su conforme istanza del contribuente;
successivamente il ricorso è stato nuovamente fissato per la Camera di consiglio del 15 dicembre 2021.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente, deve rilevarsi che non risulta depositata alcuna documentazione attestante la presentazione della domanda di definizione agevolata e la quietanza di pagamento dell’importo previsto per il perfezionamento della definizione, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, commi 8, 9 e 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136;
deve, dunque, passarsi all’esame del merito del ricorso;
con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di legge, non contenendo le norme sui parametri una presunzione relativa in favore del fisco;
con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, consistente nella stagionalità dell’attività di ristorazione, che non avrebbe consentito l’applicazione dei parametri;
i motivi risultano inammissibili, perché difettano di specificità, non essendo indicate le norme che si assumono violate, ai fini della contestazione della violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), né con quali atti ed in che sede processuale il contribuente avrebbe contestato l’inapplicabilità dei parametri per la stagionalità dell’attività di ristorazione;
come è stato chiarito, “il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione” (Sez. U, Sentenza n. 11308 del 22/05/2014);
i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, ovvero ancora gli atti dei precedenti gradi del giudizio di merito, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata ed indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato;
nel caso di specie, il ricorrente, dopo una sintetica esposizione dei precedenti gradi di giudizio, senza alcun riferimento specifico al contenuto della decisione impugnata, ha espresso le due doglianze in modo assolutamente generico, rendendone impossibile la valutazione senza l’esame degli atti dei giudizi di merito e delle sentenze precedenti (compreso quella impugnata);
attesa l’inammissibilità del ricorso, il ricorrente va condannato al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022