LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4441/14 R.G. proposto da:
B.D., elettivamente domiciliata in Roma, via Quintino Sella n. 41 presso lo studio dell’Avv. Camilla Bovelani e rappresentata e difesa per procura a margine del ricorso dall’Avv. Luca Bellini.
– ricorrente –
contro
AGENZIA delle ENTRATE, rappresentata e d fesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi 12 elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 42/18/13 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, depositata il 4 luglio 2013 udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2022 dal Consigliere Dott.ssa Roberta Crucitti.
RILEVATO
che:
B.D. propone ricorso per cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (d’ora in poi C.T.R.), ne aveva rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva respinto il ricorso, proposto dalla contribuente, per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui, a seguito di accertamenti bancari, era stato rideterminato il reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e recuperata l’I.r.pe.f., non versata;
– la C.T.R. riteneva l’accertamento legittimo, essendosi svolto il contraddittorio preventivo tra l’Amministrazione e la contribuente, e fondato, dato che, a fronte dei numerosi movimenti sui conti bancari alla stessa intestati e di numerosi interventi nella stipula di atti di compravendita immobiliare da parte della contribuente, quest’ultima non aveva fornito, come da suo onere, alcuna idonea prova contraria; – il ricorso, su tre motivi – cui resiste con controricorso, l’Agenzia delle entrate – è stato avviato alla trattazione, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c., in camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’obbligo del contraddittorio e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, laddove la C.T.R. aveva ritenuto che il contraddittorio fosse stato espletato, mentre lo stesso si era svolto su conti correnti e movimenti bancari del tutto diversi da quelli, poi, utilizzati per l’accertamento. La ricorrente censura, altresì, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto riferibili alla contribuente i dati risultanti dai conti intestati esclusivamente al marito, peraltro, in regime di separazione dei beni e in assenza della prova della interposizione fittizi;
1.1 in ordine al primo profilo, in disparte la mancanza di specificità del mezzo di impugnazione, la censura è infondata atteso che, in tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile, mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite, non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti (cfr. Cass., ord., 20 dicembre 2019, n. 34209; Cass. 26 aprile 2017, n. 10249);
1.2 la doglianza è infondata anche in ordine al secondo profilo. Infatti, in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici;
nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale ha desunto la riferibilità alla contribuente dei conti intestati al coniuge dal fatto che vi era una commistione di conti, tanto che il marito aveva la delega ad operare su quelli della moglie e viceversa. Un siffatto indizio si presenta idoneo a fondare il ragionamento presuntivo adoperato dal giudice di appello e, per tale motivo, si sottrae alla censura prospettata;
2. con il secondo motivo – rubricato: violazione del combinato disposto di cui all’art. 2727 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, dell’art. 53 Cost. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – si censura la sentenza impugnata laddove la C.T.R. aveva statuito che “il recupero a tassazione dei movimenti bancari non giustificati, e quello della plusvalenza ex art. 67 TUIR, comma 1, lett. B), sono autonomi e distinti, e nonché soggetti a disposizione legislative diverse”. Secondo la prospettazione difensiva il giudice di appello aveva errato in quanto sarebbe rispondente a criteri presuntivi ritenere che la plusvalenza fosse confluita nei conti corrente i cui risultati sono stati ripresi a tassazione;
2.1 la censura è infondata non ravvisandosi, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, alcuna violazione di legge. Non esiste, invero, alcuna presunzione sulla base della quale possa ritenersi che le somme risultanti dagli accertamenti bancari siano comprensive del corrispettivo della vendita da cui è derivata la plusvalenza non dichiarata. Di contro, sarebbe stato onere della parte privata fornire la prova di tale circostanza. Non si apprezza, inoltre, il riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, laddove l’accertamento, per cui è controversia, venne effettuato, per come è pacifico, ai sensi dello stesso D.P.R., artt. 32 e 38;
3. con il terzo motivo di ricorso si denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio costituito dai costi non riconosciuti per la corretta quantificazione della plusvalenza, malgrado le fatture di spesa fossero state allegate al ricorso introduttivo sub 4;
3.1 la censura è infondata. La C.T.R., sul punto, ha statuito che irrilevante è poi il mancato riconoscimento di costi peraltro sforniti di prova e di motivazione, il che comporta, anche a fronte della estrema genericità del mezzo di impugnazione, che il Giudice di appello abbia esaminato i documenti prodotti in allegato, ritenendoli inidonei a essere considerati ai fini del calcolo della plusvalenza;
4. in conclusione, sulla base delle superiori considerazioni, il ricorso va rigettato;
5. le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese liquidate in complessivi Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quella dovuto per il ricorso, ai sensi dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022