Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.3932 del 08/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

K.M., (cittadino senegalese nato il *****,) elettivamente domiciliato in S. Maria a Vico (CE), viale Libertà n. 8, presso lo studio dell’avv. Andrea Cannata (p.e.c.

andrea.cannata.avvocatismcv.com) che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 8385/2020 del Tribunale di Napoli, depositato in data 3 dicembre 2020;

sentita la relazione in Camera di Consiglio del relatore cons.

Nazzicone Loredana.

RILEVATO

CHE:

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35-bis, K.M., nato il ***** in Senegal, ha adito il Tribunale di Napoli impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e di protezione umanitaria.

Il Tribunale, sulla base delle dichiarazioni rese dal ricorrente dinnanzi alla Commissione territoriale, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Avverso il predetto decreto viene proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.

L’intimata Amministrazione ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in Camera di Consiglio non partecipata, ricorrendo i presupposti dell’art. 380-bis c.p.c.

RITENUTO

che:

1. – I motivi sono così rubricati: “1) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il giudice di primo grado fondato la propria valutazione negativa in ordine alla credibilità del ricorrente su parametri diversi da quelli normativi, non valutando la credibilità del ricorrente sulla base di riscontri oggettivi relativi alla situazione generale del paese di origine, provenienti dalle allegazioni di parte”; “2) violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3, per aver il giudice di prime cure, fondato la propria valutazione negativa in ordine alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, su parametri diversi da quelli normativi ovvero limitandosi a affermare che non vi sono i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, sulla base di quanto emerge dagli atti di causa quando la Suprema corte ha più volte affermato che la protezione umanitaria è una misura residuale che presenta caratteristiche necessariamente non coincidenti con quelle riguardanti le misure maggiori”; “3) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver il giudice di secondo grado erroneamente considerato che il paese di provenienza del ricorrente non presentasse particolari problematiche”.

2. – Nel richiedere la protezione internazionale il ricorrente espose di essere fuggito dal proprio paese dopo che la famiglia lo aveva scoperto in atteggiamenti intimi insieme ad un altro uomo.

Il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente sia complessivamente non credibile, in quanto caratterizzata da incongruenze e mancanza di chiarezza in ordine a diversi punti della vicenda. Inoltre, il Tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel Senegal sulla base delle COI disponibili. Dato atto che la disciplina applicabile ratione temporis al caso di specie è quella introdotta dal D.L. n. 130 del 2020, ha ritenuto che “nel caso di specie, non vi sono specificità che permettano di ricollegare la persona del richiedente alle svariate ed eterogenee problematiche affliggenti il paese…”. Ne’, a parere del Tribunale, il ricorrente presenta patologie gravi, come attestato dalla documentazione medica prodotta, o ha avviato qualsiasi forma concreta di integrazione.

3. – Il ricorso è inammissibile.

4. – Anzitutto, radicalmente la corte del merito ha ritenuto il ricorrente non credibile: al riguardo, questa Corte ha chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio o officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

5. – Per il resto, il giudice del merito ha ampiamente esaminato e citato le fonti, mentre il ricorso non è specifico nella indicazione di fonti alternative da porre in confronto con le informazioni acquisite dal Tribunale.

Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle norme che la regolano, stigmatizzando la mancata allegazione e prova di circostanze concrete idonee a fondarla.

Ne’ il ricorso è specifico nella contestazione delle valutazioni del provvedimento impugnato circa la condizione sanitaria del richiedente ed il suo difetto di integrazione lavorativa; mentre la situazione sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19 nel paese di origine del ricorrente, menzionata dal medesimo nel terzo motivo ai fini della protezione residuale, è del pari menzionata semplicemente, senza tuttavia neppure fornire indicazioni specifiche che evidenzino una situazione particolare del richiedente.

6. – In definitiva, il giudice del merito ha ritenuto il richiedente non credibile ed ha comunque proceduto ad approfondire la situazione del paese di origine sulla base di documentazione aggiornata, escludendo ogni pericolo per il richiedente medesimo, nonché ogni situazione di vulnerabilità anche astrattamente riconducibile nella fattispecie normativa.

Pertanto, da un lato il provvedimento impugnato ha compiutamente esaminato la situazione fattuale, dall’altro il ricorrente non fa che riproporre unicamente un giudizio sul fatto, onde il ricorso si palesa inammissibile, in quanto si chiede di ripetere attività preclusa in virtù della funzione di legittimità.

7. – Non occorre provvedere sulle spese di lite, non svolgendo difese l’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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