LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 18134/19) proposto da:
CONSIGLIO NOTARILE DI BARI, (C.F.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avv.ti Emanuela Romanelli, e Anselmo Barone, ed elettivamente domiciliato presso lo studio della prima, in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 14;
– ricorrente –
contro
G.E., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù
di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Luigi D’Ambrosio, ed elettivamente domiciliato presso il Dott. Alfredo Placidi, in Roma, v. B. Tortolini, n. 30;
– controricorrente –
e PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BARI;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 883/2019 (pubblicata il 4 aprile 2019);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 novembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il P.G., in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Alessandro Pepe, che ha concluso per l’accoglimento del primo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo, per il rigetto del secondo e per l’assorbimento dei restanti motivi;
uditi gli Avv.ti Anselmo Barone, per il Consiglio notarile ricorrente, e Luigi D’Ambrosio, per la controricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con richiesta del 5 dicembre 2017, il Consiglio notarile di Bari deferì alla CO.RE.DI. della Regione Puglia il notaio Dott.ssa G.E., addebitandole i seguenti illeciti disciplinari: 1) violazione dei doveri di personalità, indipendenza e imparzialità della prestazione, sotto plurimi profili rilevanti ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 47 e art. 138 cpv. (c.d. Legge Notarile), degli artt. 36 e 37 del codice deontologico notarile approvato il 5 aprile 2008, nonché ai sensi dell’art. 147, comma 1, lett. b) L. N. e degli artt. 1, 31 e 40 del citato codice deontologico oltre che con riferimento all’art. 2, comma 1 e art. 147 cpv. L. N. e, infine, in ordine all’art. 147, comma 1, lett. a) e c) della stessa L. N.; 2) aver irregolarmente tenuto il repertorio degli atti tra vivi con negligente custodia degli stessi avuto riguardo agli artt. 61 e 62 L. N.; 3) aver retribuito una prestazione di lavoro autonomo in maniera moralmente ed economicamente insoddisfacente, con riguardo all’art. 147, comma 1, lett. b), L. N. e dell’art. 28 del codice deontologico; 4) aver delegato ad un dipendente l’uso del dispositivo di firma elettronica, dismettendo la funzione notarile, con riferimento all’art. 23-ter e art. 147, comma 1, lett. b), L. N. e artt. 36-37 del codice deontologico.
Con decisione del 18 aprile 2018 la citata CO.RE.DI. dichiarò il notaio responsabile del secondo riportato addebito, con irrogazione della sanzione pecuniaria del pagamento di Euro 90,00, escludendo la configurazione di tutte le altre incolpazioni.
Il Consiglio notarile di Bari proponeva tempestivo reclamo (a cui aderiva anche il PG) e, nella costituzione del notaio G., la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 833/2019 (pubblicata il 4 aprile 2019), lo ha respinto, condannando il Consiglio reclamante alla rifusione delle spese giudiziali.
Con detta sentenza la Corte barese ha, innanzitutto, rilevato che si era venuto a formare il giudicato sulla decisione relativa alla ravvisata sussistenza dell’addebito di cui alla richiamata lett. b) (oltre che sull’entità della sanzione irrogata), relativo alla contestata irregolare tenuta del repertorio degli atti tra vivi e alla negligente custodia di atti nonché sul dichiarato rigetto delle eccezioni di nullità del procedimento, siccome costituenti questioni non riproposte dalla reclamata.
Indi, la Corte di appello ha confermato il giudizio espresso dalla CO.RE.DI. circa l’insussistenza delle altre violazioni disciplinari ascritte alla Dott.ssa G..
In particolare, escludeva che alla collaboratrice F.M.G., ritenuta adibita ad un incarico molto semplice, fosse stata riconosciuta una retribuzione insoddisfacente e non proporzionata, così come che il notaio avesse effettivamente delegato un suo dipendente all’uso del dispositivo della firma elettronica, poiché lo stesso si era limitato a svolgere operazioni meramente materiali sotto la sua sorveglianza. Inoltre, quanto all’addebito della violazione dei doveri di personalità, indipendenza ed imparzialità della prestazione, consistita nella contestazione di essersi rivolta a plurime agenzie immobiliari per reperire clienti al fine della stipula delle relative compravendite oltre che per la preparazione degli atti, la Corte territoriale evidenziava come non fosse emersa alcuna prevalenza degli atti stipulati con l’intervento di agenzie rispetto agli altri atti e come, dall’esperita istruttoria, non fosse stato possibile desumere l’intervenuta instaurazione di un rapporto privilegiato con le agenzie stesse, con conseguente illegittimo accaparramento di clientela.
2. Avverso la citata sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione, riferito ad otto motivi, il Consiglio notarile di Bari, resistito con controricorso dall’intimata Dott.ssa G.E..
Il P.G. e le difese di entrambe le parti hanno anche depositato memorie illustrative finali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il Consiglio notarile ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 147, comma 1, lett. b), L. N., art. 28 del codice deontologico notarile nonché degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., sul presupposto della mancata valorizzazione – da parte della Corte di appello – della dimostrata oggettiva incongruità del compenso previsto per la collaboratrice F. a fronte del conferimento alla stessa di incombenze di natura tecnica (visure, istruttorie di pratiche e rilevazione a fini statistici di atti e clienti) normalmente richiedenti – per essere espletate – il possesso e l’esercizio di specifiche competenze professionali non remunerabili con l’irrisoria somma mensile di Euro 20,00, per un periodo continuativo da settembre 2005 a luglio 2006, al termine del quale le era stato riconosciuto un compenso complessivo di Euro 350,00.
2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 23-ter e art. 147, comma 1, lett. b), L. N., artt. 36 e 37 del codice deontologico notarile, artt. 2733 e 2735 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., prospettando l’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui con essa era stata considerata come sufficiente ad escludere la rilevanza disciplinare della condotta del notaio l’emergenza della circostanza che la dipendente in proposito delegata utilizzasse il dispositivo di firma digitale solo su disposizione ed in presenza dello stesso notaio, non essendo indispensabile che dovesse essere solo quest’ultimo ad usarlo personalmente ed in via esclusiva.
3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 138 L. N., artt. 36 e 37 del codice deontologico notarile, artt. 2697,2699,2700,2733 e 2735 c.c., oltre che degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., avuto riguardo all’esclusione dell’addebito contestato al notaio relativo al sistematico ed abituale ricorso ed utilizzo dell’opera di procacciatori di affari, coincidenti con plurimi agenti immobiliari, per indurre parte della clientela a rivolgersi al suo studio per la stipula dei relativi atti in ordine ai quali era intervenuta l’attività di intermediazione da parte dei suddetti agenti.
4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., deducendo la nullità dell’impugnata sentenza per motivazione apparente in ordine alla mancata valutazione dell’efficacia confessoria delle dichiarazioni rese dalla Dott.ssa G. in sede di audizione con riguardo alla suddetta attività di procacciamento di affari.
5. Con il quinto mezzo il ricorrente ha lamentato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 147, comma 1, lett. c), L. N., artt. 1, 2, 31 e 40 del codice deontologico notarile, nonché degli artt. 115,116 e 132 c.p.c., sostenendo l’illegittimità dell’impugnata decisione nell’escludere la contestata violazione malgrado l’accertata sistematica interferenza delle agenzie immobiliari nella scelta del notaio G. da parte dei clienti.
6. Con il sesto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 147, comma 1, lett. b), L. N., artt. 31 e 40 del codice deontologico notarile, per avere la Corte di appello escluso la violazione di dette norme, dovendo, invece, la stessa essere rilevata nel fatto che l’incolpata si era avvalsa di agenzie come procacciatrici di affari, omettendo di dare ai clienti un’informazione trasparente sulle prestazioni da rendere e sui relativi costi e compensi.
7. Con la settima censura il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, art. 47 cpv., art. 147, comma 1, lett. a) e c), L. N., per essere stata esclusa l’applicabilità di tali norme in presenza di uno sfruttamento, da parte della Dott.ssa G., dell’attività indirizzamento del lavoro da parte delle agenzie, da considerarsi, invero, incompatibile – sul piano oggettivo e dal punto di vista giuridico – con la scelta consapevole di affidare a strutture esterne (le agenzie, appunto) compiti e funzioni di esclusiva pertinenza del “munus” notarile.
8. Con l’ottavo ed ultimo motivo il ricorrente ha lamentato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e D.M. n. 55 del 2014, art. 5, sull’asserito presupposto che la Corte barese aveva adottato la statuizione della condanna alle spese giudiziali a suo carico senza specificare a quali parametri professionali applicabili secondo la relativa tabella in base al valore della controversia avesse posto riferimento al fine di pervenire alla disposta quantificazione.
9. Rileva il collegio che il primo motivo è fondato e va, perciò, accolto.
Premessa la pacificità in fatto che la sig.ra F.M.G. aveva svolto un incarico di collaboratrice professionale per il periodo dal 9 settembre 2005 al 31 luglio 2006 (in base ad un contratto scritto) e dovendosi considerare che le mansioni alle quali era stata adibita non erano affatto indefinite (essendo consistite nell’espletamento di attività, comunque rilevanti e responsabilizzanti, implicanti visure e istruttoria di pratiche nonché la rilevazione statistiche della tipologia di atti e di clienti presso la sede secondaria del notaio), è indiscutibile che il compenso lordo pattuito nella misura di Euro 350,00 lordi per il suddetto intero periodo di collaborazione – corrispondente ad una media mensile di poco più di 30,00 Euro – si poneva certamente in contrasto con l’esigenza di garantire alla F. un trattamento dignitoso e proporzionale alle attività svolte, comunque strumentali all’esercizio della funzione notarile. E ciò in dispregio del valore essenziale – tutelato dalle norme di cui è stata assunta la falsa applicazione – di assicurare ai collaboratori notarili, che esercitino funzioni per un periodo continuativo, condizioni di lavoro “moralmente ed economicamente soddisfacenti”, da intendersi nella loro effettività ed adeguatezza rispetto alla relativa tipologia e al livello medio di impegno richiesto per la cooperazione con uno studio notarile. A quest’ultimo principio dovrà conformarsi il giudice di rinvio.
10. Si profila, invece, destituito di fondamento il secondo motivo del ricorso, per le ragioni che seguono.
Occorre evidenziare che dagli esiti della svolta istruttoria e dalle dichiarazioni della collaboratrice A.M.A. di cui si era avvalsa la Dott.ssa G., delle quali viene dato adeguatamente conto nell’impugnata sentenza, è emerso che quest’ultima aveva delegato – ma sotto sotto la sua diretta sorveglianza – parte dell’attività relativa alla predisposizione dell’utilizzazione del dispositivo della firma elettronica alla predetta collaboratrice, senza, però, dismettere la sua funzione di “custode ed utilizzatrice personale” di detto dispositivo, come imposta dall’art. 23-ter, comma 3, della L. N., usandolo nell’atto essenziale di inserimento, con sua attività esclusiva, della relativa password per la generazione, con relativa apposizione informatica, della firma digitale, in conformità, perciò, agli inerenti obblighi di riservatezza e personalità incombenti sul notaio. La Corte di appello ha, inoltre, considerato a tal fine legittimamente non rilevante la risultanza istruttoria riconducibile alla dichiarazione del notaio di non avere specifiche competenze informatiche e di avvalersi a questo scopo di un dipendente, poiché – in base ad una valutazione di merito congruamente compiuta – è rimasto confermato che l’ausilio della suddetta collaboratrice non aveva costituto l’effetto di una delega totale da parte del notaio anche nell’operazione finale dell’apposizione effettiva della firma digitale, la cui operazione tecnica necessaria per realizzarla (l’inserimento del codice identificativo) era rimasta nella sfera esclusiva di disponibilità del notaio. E’ stato, perciò, escluso che la Dott.ssa G. abbia ceduto a terzi l’uso della smart. card o consentito l’apposizione in sua sostituzione della necessaria password, ricadendo le relative attività preparatorie da parte della dipendente sotto il suo controllo e rimanendo, in ogni caso, a lei demandata in via esclusiva l’operazione conclusiva di generazione della firma digitale.
11. I motivi dal terzo al settimo possono essere esaminati congiuntamente perché riguardano tutti la contestata – sotto plurimi profili (come individuati nelle distinte censure in precedenza richiamate) – violazione dell’indebito procacciamento di affari attraverso il collegamento del notaio con più agenzie immobiliari che veicolavano parte della clientela verso il suo studio per la stipula dei relativi rogiti riguardanti gli affari immobiliari per la cui intermediazione si erano impegnate ed in virtù di una relazione preventiva di collegamento tra la stessa professionista e le singole agenzie.
Essi sono fondati e devono, quindi, essere accolti per le complessive ragioni di seguito esplicitate, tranne il quarto che, invece, va rigettato poiché la motivazione adottata dalla Corte di appello non può qualificarsi apparente, essendo stata svolta in maniera sufficiente circa il profilo denunciato e rispondente al requisito previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Ponendosi riferimento al nucleo essenziale della motivazione dell’impugnata sentenza, ai fini dell’esame del terzo, quinto, sesto e settimo motivo, si evidenzia che la Corte di appello ha, innanzitutto, assunto che i riscontri probatori relativi all’illecito in questione erano stati essenzialmente desunti dalle dichiarazioni ammissive rese dalla Dott.ssa G. durante la sua audizione dinanzi all’organo disciplinare ma che, tuttavia, alle stesse non poteva essere riconosciuta efficacia confessoria per difetto dell’animus confitendi; la stessa Corte ha, poi, sostenuto che il coinvolgimento delle agenzie immobiliari non avesse interferito nella personalità delle prestazioni del notaio, che aveva comunque avuto un rapporto diretto con i clienti al momento della stipula degli atti, rispettando in quella sede gli obblighi derivanti dall’esercizio delle funzioni notarili, con esclusione, quindi, di una relazione di collateralismo impropria con le predette agenzie, i cui titolari non erano, quindi, riconducibili alla figura di procacciatori di affari.
La Corte barese ha anche manifestato la consapevolezza che il fenomeno del collegamento delle agenzie con uno o più studi notarili è estremamente diffuso ma che non può essere demonizzato attraverso una generica ed indifferenziata qualificazione come procacciamento di affari. A tal proposito ha sostenuto come sia irrealistico pensare che un’attività così frequente quale la compravendita di immobili, oggi agevolata dalla possibilità di pubblicare gli annunci in rete, si affidi in misura preponderante al rapporto esclusivamente personale tra cliente, che di sua iniziativa individui – si afferma letteralmente in motivazione – il rogante “giusto”, e notaio in attesa di essere “scoperto”. Pur sostenendo questo convincimento sul piano generale, la Corte territoriale pone in rilievo che il dato indispensabile è che il notaio, nell’espletamento della sua attività, continui ad osservare i principi di personalità, imparzialità ed indipendenza propri della sua funzione.
Orbene, osserva il collegio, che è da ritenersi errata la mancata riconducibilità delle dichiarazioni – specificamente richiamate nel corpo del terzo motivo – rese dal notaio ad una confessione stragiudiziale dinanzi all’organo disciplinare (quale controparte del rapporto incardinatosi, per l’appunto, nell’ambito del procedimento disciplinare), sussistendo le condizioni di cui all’art. 2735 c.c., comma 1, con la produzione degli effetti in detta norma previsti, ovvero equiparabili a quelli della confessione giudiziale. Non si comprende perché tali ammissioni si sarebbero dovute considerare prive dell’animus confitendi, dal momento che, ai fini della configurazione delle conseguenze normativamente predeterminate per tali tipi di dichiarazioni ammissive, non è richiesto in capo al soggetto che le rende la consapevolezza degli effetti che da essa possono derivare, sostanziandosi la confessione in una mera dichiarazione di scienza (e non, quindi, in un negozio giuridico), per la quale occorre la sola manifestazione della volontà dell’atto di riconoscimento di situazioni di fatto preesistenti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte e non anche la consapevolezza dell’efficacia conseguente (cfr., ex plurimis, Cass. n. 23495/2010 e Cass. n. 12798/2018).
Ciò chiarito, dal complesso delle risultanze probatorie discendenti dal coacervo delle dichiarazioni ammissive rese dalla Dott.ssa G. nel corso dello svolgimento del procedimento disciplinare a suo carico (riscontrate, quantomeno parzialmente, anche dal contenuto della memoria in tale sede depositata) – come riportate anche nell’impugnata sentenza – è rilevabile la sussistenza delle violazioni contestate sul punto alla stessa, con un travisamento della valutazione della prova da parte della Corte di appello e la conseguente erroneità dell’applicazione delle norme della legge notarile in concreto da ritenersi trasgredite. Dagli elementi probatori acquisiti deve, infatti, ritenersi rimasta accertata la violazione del principio di personalità della prestazione consumatasi mediante un eccesso di delega esterna, poiché il notaio si era avvalso di plurime agenzie immobiliari che erano deputate a individuare potenziali clienti e a sottoporre loro i preventivi redatti dal notaio (e dallo stesso trasmessi alle agenzie), essendo altresì a conoscenza che gli agenti immobiliari percepivano un importo dai clienti per la loro intermediazione nei confronti del notaio (qualificato dalla stessa Corte territoriale come un “sovrappiù non dovuto”), donde l’insussistenza della connotazione fondamentale del conferimento diretto degli incarichi professionali al notaio da parte dei singoli clienti, risultando, invece, approntata una relazione organizzata del notaio con più referenti agenziali, svolgenti un compito caratterizzato da un rapporto di accessorietà strumentale proteso alla ricerca e selezione di apposita clientela da indirizzare, con tendenziale sistematicità, allo studio della Dott.ssa G..
Le agenzie immobiliari, quindi, per una parte considerevole degli atti poi stipulati nello studio della Dott.ssa G. (ivi compresi molti contratti preliminari, in gran parte non registrati) svolgevano un ruolo di interlocutrici dirette dei clienti poi avviati presso il citato notaio, il quale interveniva formalmente solo per la redazione degli atti, senza avere quasi mai interloquito con tali clienti intercettati dalle agenzie stesse per un confronto diretto con loro anche al fine di poter fornire, con trasparenza ed univocità, le informazioni necessarie per l’esplicazione delle conseguenti attività professionali e per la determinazione dei correlati compensi.
A tal proposito va posto in risalto che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, Cass. n. 16433/2020) – il procacciamento di affari (da intendersi in senso non tecnico-giuridico, ma generico ed economico: cfr. Cass. n. 3/2010) costituisce oggetto di un espresso divieto previsto a garanzia del generale dovere di imparzialità del notaio, il cui rispetto è imposto anche nel momento di assunzione dell’incarico professionale: sul punto, infatti, l’art. 31, lett. a) e b), del codice deontologico vieta che il notaio possa servirsi dell’opera di un terzo (procacciatore) che induca persone a favorirlo (beneficiando così della relatività attività di mediazione), risultando in tal modo alterato il momento della libera scelta del professionista da parte dei clienti (v. Cass. n. 6679/1996), rimanendo irrilevanti anche le eventualità che il procacciamento sia svolto a titolo gratuito o a favore pure di altri notai.
L’accaparramento di clientela implica un concorso consapevole del notaio in una scelta eterodiretta del professionista e la relativa condotta viene inquadrata anche come elemento idoneo a turbare le condizioni che ne assicurano l’imparzialità, poiché, per assolvere a tale dovere, il notaio deve evitare anche ogni influenza di carattere personale per l’esercizio della sua attività professionale ed ogni interferenza esterna tra professione ed affari.
In altri termini, e a tale complessivo principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio, l’opera sistematica e di collegamento di uno studio notarile con più intermediari immobiliari interferisce con la libertà di scelta del notaio da parte dei clienti ed è idonea a determinare un flusso non spontaneo di affari in favore del notaio stesso, minando, altresì, l’equidistanza degli interessi che vengono in rilievo nell’esercizio della funzione notarile e, quindi, compromettendo anche la reputazione ed il decoro della stessa, tale da assumere rilevanza ai sensi dell’art. 147, lett. a), L. N.). Mediante tale condotta risulta violato anche il disposto di cui alla lett. b) dello stesso articolo, per effetto della trasgressione in modo non occasionale delle denunciate norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato, così come deve ritenersi concretata pure la violazione della disposizione prevista dalla lett. c) del medesimo articolo, con riferimento alla sanzionabilità del comportamento del notaio che ponga in essere atti di illecita concorrenza servendosi illegittimamente dell’opera di procacciatori di affari.
12. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, previo rigetto del secondo e quarto motivo, vanno accolti il primo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo, con conseguente assorbimento dell’ottavo (siccome attinente al profilo accessorio delle spese).
Pertanto, l’impugnata sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi ritenuti fondati, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi ai principi di diritto precedentemente indicati, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo del ricorso, rigetta il secondo e quarto e dichiara assorbito l’ottavo.
Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022
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