LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. MASSAFRA Annachiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15935/2017 R.G. proposto da:
B.H.-.H., (CF. *****) rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a rogito del notaio H. del 14 febbraio 2017, dagli Avv.ti Piero Petrocchi, e Massimo Scardigli, con domicilio eletto presso quest’ultimo (con studio in Roma, viale Angelico, n. 36/B);
– ricorrente –
contro
Comune di FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresento e difeso dagli Avv.ti Andrea Sansoni, e Debora Pacini, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, e domiciliato presso l’Avvocatura del Comune di Firenze, Palazzo Vecchio, piazza della Signoria;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Firenze (n. 4346/2016), pronunciata il 22 novembre 2016, non notificata;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 23 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Annachiara Massafra.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso proposto dinanzi al Giudice di pace di Firenze, – B.H.H. avanzava opposizione nei confronti del Comune di Firenze, avverso un verbale di contravvenzione alle norme del codice della strada, elevato nei suoi confronti dalla Polizia municipale di Firenze.
Quali motivi di impugnazione, il ricorrente deduceva la nullità del verbale per inesistenza della notifica; la perenzione del verbale per mancata notifica nei termini di legge e la mancata prova della commissione dell’infrazione.
2. Si costituiva nel giudizio il Comune di Firenze il quale eccepiva in primo luogo l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso per tardività nonché la nullità della procura in atti e, nel merito, la reiezione dell’opposizione.
Il Giudice di Pace, istruita e discussa la causa, con sentenza n. 2641/2014, dichiarava l’inesistenza della procura notarile in quanto non conforme all’art. 83 c.p.c., implicitamente dichiarando inammissibile il ricorso.
3. La decisione veniva quindi impugnata dall’odierno ricorrente per violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2; nullità per violazione degli art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. e, infine, per violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c., commi 2 e 3.
Il Comune di Firenze si costituiva chiedendo la reiezione dell’appello, con la conseguente conferma della decisione del giudice di pace, evidenziando l’inesistenza della procura in quanto non conforme all’art. 83 c.p.c. a causa della indeterminatezza dell’oggetto.
Il Tribunale di Firenze confermava la decisione del Giudice di Pace evidenziando come i poteri attribuiti nella procura controversa non consentissero “neppure indirettamente l’identificazione del giudizio o della categoria dei giudizi cui dovrebbe inerire ed anzi risultano spesi per controversie del tutto differenti pur pendenti tra le stesse parti”.
4. B.H.H. ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe, con la quale il Tribunale di Firenze ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza n. 2641/14 del Giudice di Pace di Firenze, che aveva dichiarato improcedibile il ricorso per inesistenza della procura notarile mentre il Comune di Firenze, correttamente intimato, resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
5. Con il primo motivo il ricorrente impugna la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c., comma 2, e degli artt. 2702, 2703 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per essere stata dichiarata inesistente la procura in atti in quanto non ritenuta riferibile univocamente al procedimento per il quale era stata rilasciata.
In particolare il ricorrente si duole in relazione all’affermazione da parte della sentenza impugnata che la procura per l’instaurazione di un giudizio di merito necessiti, oltre che dell’indicazione dei nomi delle parti, anche dell’oggetto della lite e della causa cui si riferisce trascurandosi anche la valenza fidefaciente dell’atto pubblico, attestante quindi anche l’avvenuta sottoscrizione da parte del conferente la procura.
6. Con il secondo motivo, si impugna la sentenza per violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 1, in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nel dettaglio, si contesta la determinazione del Tribunale con la quale la procura alle liti è stata dichiarata inesistente, a fronte di un’eccezione dell’appellato riferentesi unicamente alla nullità della procura stessa.
7. Con il terzo motivo, il ricorrente impugna la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 contestando la determinazione del Tribunale con la quale non è stato concesso un termine all’appellante per sanare il vizio di costituzione ex tunc.
8. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente impugna la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non essere stati esaminati gli ulteriori motivi di appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Ritiene il Collegio che i primi tre motivi, poiché investono profili strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente, in aderenza a quanto già statuito da Cass. Sez. 2, n. 20559/2020, in analoga fattispecie, il cui iter logico-giuridico è integralmente condiviso dalla Corte. Alla luce dell’inammissibilità di essi per le ragioni di cui in prosieguo, si determina l’assorbimento degli ulteriori profili in essi trattati.
2. Deve osservarsi che, come sì evince dalla motivazione dell’impugnata sentenza (pag. 2), il tribunale ha esaminato la questione della validità della procura, alla luce delle eccezioni formulate dal comune di Firenze secondo cui “la procura alle liti (nel nostro caso, speciale) deve contenere gli elementi del procedimento e/o all’atto al quale afferisce (elementi che risultano ex se laddove la procura speciale sia apposta a margine o in calce agli atti indicati dall’art. 83 c.p.c., comma 3, e/o sia materialmente congiunta all’atto al quale si riferisce o altrimenti devono essere indicati in modo inequivocabile….”.
3. Il tribunale ha inoltre accertato che “i poteri attribuiti nella procura controversa non consentono neppure indirettamente l’identificazione del giudizio o della categoria di giudizi cui dovrebbe inerire ed anzi risultano spesi per controversie del tutto differenti pur” pendenti tra le stesse parti (pag. 4).
Il primo motivo, al pari delle conseguenziali argomentazioni del secondo e del terzo, rinviene la sua inammissibilità nella circostanza secondo cui l’interpretazione della procura ad litem (e quindi dell’accertamento relativo al sussistere di un’inequivoca indicazione della controversia) costituisce valutazione del giudice di merito non sindacabile in questa sede ove adeguatamente motivata. Come, infatti, già chiarito da questa Corte “la procura “ad litem” è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale, che va interpretato secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto di cui agli art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c., nel rispetto in particolare del principio di relativa conservazione, in relazione al contesto dell’atto cui essa accede, rimanendo sotto tale profilo censurabile l’interpretazione datane dal giudice di merito solo per eventuali omissioni ed incongruità argomentative, e non anche mediante la mera denunzia dell’ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto, prospettante invece un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità” (Cass. Sez. 1, n. 21924/2006).
La censura formulata “si limita nella sostanza unicamente a contestare l’esito dell’interpretazione offerta del documento in esame dal Tribunale, ma senza peritarsi di segnalare le regole ermeneutiche violate e come si sia concretato l’errore interpretativo, di tal che la stessa non può avere seguito in questa sede” (cfr. Cass. Sez. 2, n. 20559/2020).
Ne’ la soluzione raggiunta appare connotata da incongruità o illogicità, dovendosi a tal fine avere riguardo agli approdi ai quali è pervenuta già in passato questa Corte che ha ritenuto “la procura notarile rilasciata con l’espressione ad litem (nella specie con l’espressione in lingua tedesca “gegen ananghing”) senza alcun riferimento specifico alla causa e alle generalità della controparte fosse radicalmente nulla, non potendo valere né come procura generale, in mancanza di un’esplicita volontà manifestata in tal senso, né come procura speciale, per la carenza di riferimenti ad una specifica controversia, non palesandosi illogica l’affermazione secondo cui il solo riferimento alle parti, in assenza di diversi elementi per stabilire l’autorità giudiziaria da adire o il procedimento da promuovere, consentisse di riferire con certezza la procura alla causa poi successivamente introdotta” (Cfr. Cass. Sez. 2, n. 20559/2020, cit.).
4. Acclarato quanto innanzi, la complessiva inammissibilità dei primi tre motivi deve essere ulteriormente chiarita alla luce di almeno taluni ulteriori profili sollevati con il secondo e il terzo motivo, relativi alla ritenuta insanabilità non dedotta ed alla non attivazione della sanatoria ex art. 182 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore dal 7 luglio 2009.
Limitando ogni considerazione sul primo aspetto all’afferire allo jura novit novit curia, la statuizione circa la natura della nullità della procura comunque ritualmente eccepita, va nuovamente richiamato, in ordine al secondo aspetto, quanto esposto in premessa nel senso che, in sede di costituzione, appunto, il comune di Firenze ha dedotto specificamente la mancanza degli estremi della lite nella procura separata in violazione dell’art. 83 c.p.c.
Circa la possibilità di sanare il vizio di costituzione, l’art. 182 c.p.c. innanzi citato prevede un preciso dovere del giudice di assegnare alla parte interessata un termine perentorio per la sanatoria stessa, onde il rispetto del termine perentorio all’uopo assegnato è idoneo a sanare retroattivamente sia la mancanza assoluta sia una qualunque difformità del mandato defensionale per il giudizio di merito rispetto al modello legale.
Occorre evidenziare tuttavia al riguardo che nella fattispecie in esame il Comune di Firenze risulta aver eccepito nel corso di entrambi i gradi di giudizio la nullità della procura.
5. Al riguardo trova, pertanto, applicazione il principio sancito da Cass. Sez. 2 n. 24212/2018 (recentemente ribadito da Cass. Sez. 2. n. 22564/2020, S.U. n. 2866/2021; Cass. Sez. 2, n. 24381/2021; Cass. Sez. 1, n. 29224/2021) secondo il quale “in tema di difetto di rappresentanza processuale, mentre, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., il giudice che rilevi d’ufficio tale difetto deve promuovere la sanatoria, assegnando alla parte un termine di carattere perentorio, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze di carattere processuale, nel diverso caso in cui detto vizio sia stato tempestivamente eccepito da una parte, l’opportuna documentazione va prodotta immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto o, comunque, assegnato dal giudice, giacché sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire” (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha ritenuto che la nullità della procura alle liti fosse divenuta insanabile poiché, nonostante il convenuto avesse sollevato la relativa questione, l’attore non aveva spontaneamente depositato la necessaria documentazione nel prosieguo del processo di merito, essendosi egli limitato a discutere di altri diversi profili giuridici).
Non emerge dagli atti che di fronte all’eccepita nullità che la parte ricorrente abbia sanato il vizio denunciato né che abbia chiesto la concessione del termine di cui all’art. 182 c.p.c.. In considerazione di quanto innanzi esposto deve escludersi la fondatezza dei motivi in esame, in particolare del terzo, anche sotto questo profilo “posto che, anche a voler reputare, una volta esclusa la validità della procura, che il vizio del quale è affetta sia quello meno grave della nullità, non era più possibile attivare il meccanismo sanante di cui all’art. 182 c.p.c.” (Cfr. Cass. Sez. 2, n. 20559/2020 innanzi citata).
6. Il quarto motivo infine denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 poiché il Tribunale avrebbe dichiarato l’appello improcedibile senza però procedere all’esame del merito degli altri motivi di appello, e ciò in violazione del principio della ragione più liquida.
Il motivo deve essere disatteso.
Come già osservato da Cass. Sez. 2, n. 20559/2020 “in disparte l’evidente profilo di inammissibilità legato alla denuncia di un preteso error in procedendo con il richiamo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. S.U. n. 17931/2013), la critica però invoca in maniera non adeguata il principio della ragione più liquida che consente al giudice di pervenire alla decisione sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 2, n. 20559/2018, sul punto Cass. Sez. 5 n. 363/2019)”. Il principio trova applicazione sempre che la ragione più liquida della quale si invochi l’applicazione consenta di soprassedere alla disamina di altra questione che avrebbe comunque portato al medesimo risultato per la parte vittoriosa (Cass. Sez. 2, n. 20559/2020).
Il Tribunale di Firenze ha correttamente valutato, in via prioritaria, l’eccezione del Comune di Firenze con ovvia conseguente impossibilità di valutare le ulteriori doglianze travolte, inevitabilmente, dal preliminare giudizio sulla validità della procura.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore del Comune di Firenze, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
PQM
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 745,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022
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