LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10623/2021 R.G. proposto da:
Z.P.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessio Costantini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Ruggero Fauro, n. 102;
– ricorrente –
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrenti –
nonché sul ricorso successivamente proposto da:
T.E., Tu.An. e V.A., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Carlo Amoruso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Teulada, n. 55;
– ricorrenti –
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5207/2020, depositata il 22 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 gennaio 2022 dal Consigliere Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. Numerosi medici specializzati, fra i quali gli odierni ricorrenti, convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle Dir. Europee n. 75/362/CEE, Dir. Europee n. 75/363/CEE e Dir. Europee n. 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione in anni per alcuni compresi nel – per altri invece anteriori o successivi al – periodo 1983-1991.
Con sentenza n. 13819/2019, pubblicata il 2 luglio 2019, il tribunale rigettò le domande, ritenendo prescritto il dedotto credito risarcitorio.
2. Pronunciando, previa riunione, sui gravami separatamente interposti dai soccombenti, la Corte d’appello di Roma li ha rigettati, condannandone gli autori alle spese del grado.
3. Per la cassazione di tale sentenza propongono separati ricorsi (nell’ordine):
– Pier Z.L., con due motivi;
– T.E., Tu.An. e V.A., articolando cinque motivi.
Ad entrambi i ricorsi resistono le amministrazioni intimate depositando controricorsi.
Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Il ricorrente Z. ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altri medici nei cui confronti nessuno dei ricorsi è stato notificato.
Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 c.p.c., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essi preclusa.
2. I due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso il medesimo provvedimento, vanno riuniti per essere trattati unitariamente.
RICORSO DI Z.P.L..
3. Con il primo motivo del proprio ricorso Z.P.L. denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., e della L. 19 ottobre 1999, n. 370; decorrenza della prescrizione decennale dal 17 maggio 2011 (sentenza della Cassazione n. 10813 del 2011) invece che dalla data del 27 ottobre 1999 di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370”.
Con il secondo deduce, poi, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., e della L. 19 ottobre 1999, n. 370.
Decorrenza della prescrizione decennale dal 20 ottobre 2007 (data di entrata in vigore della Dir. UE n. 36 del 2005) invece che dalla data del 27 ottobre 1999 di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370” (questa la testuale intestazione dei motivi).
Il ricorrente sostiene, in sintesi, che la citata norma di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, non costituisce adempimento dell’obbligo comunitario, ma integra una mera esecuzione spontanea di sentenze passate in giudicato e non poteva pertanto considerarsi tale da escludere, nella perdurante vigenza delle direttive comunitarie, un successivo intervento del legislatore di carattere generale e astratto relativamente all’intera platea dei medici specializzandi tra il 1983 e il 1991.
La situazione dei medici specializzandi – afferma – non poteva ritenersi cristallizzata con l’emanazione di detta legge, poiché l’inadempimento dello Stato italiano perdurò fino al 20 ottobre 2007 (data di efficacia dell’abrogazione della Dir. n. 93/16/CE, disposta dalla più recente Dir. n. 2005/36/CE); solo a quella data -soggiunge – l’avente diritto ha avuto la concreta possibilità di percepire il danno.
RICORSO DI T.E., TU.AN. E V.A..
4. T.E. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe (difesi dall’Avv. Carlo Amoruso) denunciano, con il primo motivo del loro ricorso, “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.”, in relazione alla motivazione offerta dalla corte d’appello in punto di prescrizione, a loro dire inidonea ad assolvere il relativo onere.
5. Con il secondo motivo essi denunciano “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c.”, in relazione al dies a quo del termine prescrizionale, a torto, secondo loro, individuato in sentenza nella data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999 (27 ottobre 1999), invece che in quella della emanazione dei decreti attuativi del D.Lgs. n. 368 del 1999 e, segnatamente, con l’emanazione del D.P.C.M. 6 luglio 2007.
6. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 Cost., comma 2”, lamentando che la corte d’appello non ha applicato la legge ma è rimasta ancorata ad un’interpretazione della S.C. “tenuta in altre fattispecie”.
7. Con il quarto motivo essi denunciano “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla mancata pronuncia sulle domande svolte e sui motivi di appello; violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 11,117 e 137 Cost., e dell’art. 267 T.F.U.E.”.
Lamentano che la corte d’appello non ha chiarito la spettanza o meno del diritto al risarcimento del danno per tutti i medici immatricolati in data antecedente il 1 gennaio 1983 ovvero per i medici che avevano frequentato corsi non espressamente elencati nella direttiva, avendo ritenuto i relativi motivi di gravame irrilevanti, con riferimento agli appellanti, essendo stata accolta l’assorbente eccezione di prescrizione.
Si dolgono ancora della mancata pronuncia in ordine alla richiesta di previo interpello della C.G.U.E.
8. Con il quinto motivo essi deducono, infine, “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 91 e 92 c.p.c.”, in relazione al rigetto del subordinato motivo di gravame con il quale si censurava la condanna alle spese processuali.
Affermano che l’opinabilità delle questioni trattate e le contrastanti pronunce della giurisprudenza di merito avrebbero dovuto giustificarne la compensazione.
9. Rilievo prioritario assumono i motivi dedotti in punto di prescrizione (e relativa motivazione), ossia: il primo e il secondo motivo del ricorso principale (di Z.P.L.), il secondo e il terzo del successivo ricorso proposta da T.E. e altri e la seconda parte del quarto motivo dello stesso ricorso.
Tali motivi, da esaminarsi dunque congiuntamente, sono inammissibili, a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.
9.1. La corte territoriale ha motivato sulla ragione assorbente richiamandosi al consolidato indirizzo di questa Corte con cui è stato chiarito in modo univoco e ripetuto che il diritto al risarcimento del danno da tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle Dir. n. 75/362/CEE e Dir. n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della L. 19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11, ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo, rendendo definitivo l’inadempimento soggettivo residuo (cfr., Cass. 17/05/2011, n. 10813, Cass. n. 10814, Cass. n. 10815 e Cass. n. 10816, Cass., 31/08/2011, n. 17868, 20/03/2014, Cass. n. 6606, Cass., 15/11/2016, n. 23199, Cass., 31/05/2018, n. 13758).
La descritta condotta statale ha definitivamente palesato l’adempimento soggettivamente parziale dello Stato per gli specializzandi che hanno iniziato i corsi anteriormente all’anno accademico 1991-1992, sicché, al di là del perdurare degli effetti di tale inadempimento per gli altri (non destinatari della disciplina in parola), la ragionevole cristallizzazione derivante dall’opzione esercitata, rispetto all’astratta possibilità di un ripensamento normativo, onerava della reazione i pretermessi, innescando la decorrenza estintiva prescrizionale; per le medesime ragioni, non può rilevare la diversa quantificazione della remunerazione, e il suo differente regime, discrezionalmente determinati dallo Stato con il D.Lgs. n. 368 del 1999, attuato dall’anno accademico 2006-2007 (Cass. 14/03/2018, n. 6355).
Ne’ può sostenersi che il leading case del 2011 avesse preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.
Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (v., tra le più recenti, Cass. 31/03/2021, n. 8843) – sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato secondo quanto obiettato dal patrocinio oggi ricorrente.
E’ appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.
Per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.
Quanto alla legittimazione passiva – premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4 (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass., 25/07/2019, n. 20099) – nella fattispecie non emerge, né è dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.
E’ opportuno ribadire, quanto alla remunerazione, che a seguito dell’intervento con il quale il legislatore – dettando la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito ferma, pure in chiave CEDU, la non irrisorietà della quantificazione nazionale – anche dalla pronuncia, evocata in ricorso, della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (Cass., 24/01/2020, n. 1641, cui si rimanda per una più ampia ricostruzione giurisprudenziale).
Questa pronuncia – invocata pure nel primo ricorso – per un verso ribadisce che non vi è mai stata alcuna indicazione unionale sulla quantificazione della “adeguata remunerazione”, per altro verso non affronta il tema qui discusso della decorrenza prescrizionale.
Quanto sopra è in linea con ciò che si deve dire per la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la Dir. n. 93 del 2016, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio (Cass., 14/03/2018, n. 6355, e le moltissime successive conformi, quale, solo a titolo esemplificativo, Cass., 24/05/2019, n. 14168).
Ciò per dire che non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione.
Non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nelle opzioni legislative di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., anche, di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4809; 18/02/2021, n. 4307).
9.2. Come desumibile dai rilievi appena fatti, non vi è alcuna incertezza, sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale che il patrocinio dei ricorrenti T., Tu. e V. sollecita, nella seconda parte del quarto motivo.
9.3. Palesemente incongruo ed eccentrico è poi ipotizzare – con il terzo motivo del ricorso di questi ultimi – la violazione dell’art. 101 Cost., per il solo fatto di avere, il giudice a quo, deciso conformemente alla giurisprudenza della S.C.: uniformandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza la corte d’appello ha, infatti, per ciò stesso reso una pronuncia conforme alla legge, quale costantemente interpretata dalla S.C..
La decisione richiama evidentemente i precedenti non in termini di stare decisis ma quale cornice nomofilattica all’ermeneutica legale positiva.
10. Discende dalle esposte considerazioni la manifesta infondatezza del primo motivo del secondo ricorso, nonché del quarto nella parte in cui denuncia omessa pronuncia sui restanti motivi di gravame.
10.1. Con riferimento al primo, occorre rammentare che una nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (error in procedendo denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) può ammettersi solo in quattro casi:
– quando la motivazione manchi del tutto finanche “sotto l’aspetto materiale e grafico”;
– quando contenga un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”;
– quando sia “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;
– quando, infine, sia puramente apparente.
Si tratta di acquisizioni risalenti nella giurisprudenza di legittimità, significativamente ribadite nella esegesi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.
Di tale riformulazione si è detto, infatti, come noto, che “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione”, e che “pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).
Nella specie non è ravvisabile alcuna di tali ipotesi limite.
Non può dubitarsi che la motivazione consenta di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata, il che e’, del resto, dimostrato dal fatto che i ricorrenti la colgono perfettamente, tanto da porla ad oggetto delle successive censure.
10.2. Tra gli autori del secondo ricorso non vi è nessuno per i quali la domanda risarcitoria non sia stata rigettata per prescrizione.
Ne discende che la ritenuta prescrizione del dedotto credito risarcitorio assorbiva e rendeva ultroneo l’esame degli altri motivi che impingevano nella controversa sussistenza dei presupposti fondativi della relativa pretesa, con la ulteriore conseguenza che il silenzio sul punto serbato in sentenza non può configurare vizio di omessa pronuncia (trattandosi piuttosto di implicito assorbimento).
In tal senso, in continuità con consolidato indirizzo di questa Corte, va ribadito che “il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado; la violazione non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su un argomento che totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga l’accoglimento o il rigetto: infatti nel primo caso l’esame della censura è inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata” (Cass. 19/05/2006, n. 11756 e succ. conff.) 11. Venendo, infine, all’esame del quinto motivo del secondo ricorso, in punto di spese, ne va rilevata l’inammissibilità.
Costituisce, invero, jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione della opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa – ipotesi nella specie non ricorrente – o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea (Cass. 07/03/2001, n. 3272 e successive numerose conformi).
12. Per le considerazioni che precedono il primo ricorso deve essere dichiarato inammissibile, del secondo va invece pronunciato il rigetto.
13. Ne discende la condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore delle amministrazioni resistenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Quanto al valore in base al quale parametrare gli importi va precisato che “non ricorrendo l’identità di posizione processuale dei… soggetti assistiti dal medesimo avvocato, non trova applicazione il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2” (Cass. n. 6110 del 04/03/2021).
Il valore della causa, ai fini della liquidazione del compenso, è pertanto:
a) per Z.P.L., di Euro 26.855,76 (pari all’importo unitario di Euro 6.713,94 dell’indennizzo annuale che sarebbe spettato, se del caso, ove non prescritto moltiplicato per quattro, che è il numero degli anni di durata del corso di specializzazione indicato dallo stesso ricorrente);
b) per T.E. e gli altri due ricorrenti difesi dall’Avv. Amoruso, di Euro 127.564,86 risultante dalla somma dei seguenti tre addendi:
i) Euro 100.709,10 (prodotto della moltiplicazione di Euro 33.569,70 (pari all’importo unitario di Euro 6.713,94 dell’indennizzo annuale che sarebbe spettato, se del caso, ove non prescritto, moltiplicato per cinque) per i tre ricorrenti specializzati dopo 5 anni di corso);
ii) Euro 26.855,76 (importo annuo unitario moltiplicato per quattro anni di corso) in riferimento all’altro ricorrente specializzato dopo 4 anni di corso;
al riguardo occorrendo rimarcare che V.A. ha proposto la descritta domanda per due diversi corsi di specializzazione, seguiti uno successivamente all’altro: entrambi di durata quinquennale.
14. Non si ravvisano i presupposti per la sollecitata condanna dei ricorrenti al pagamento di somma ex art. 96 c.p.c., comma 3.
15. Va invece dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.
PQM
dichiara inammissibili i ricorsi.
Condanna Z.P.L. al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Condanna i ricorrenti difesi dall’Avv. Carlo Amoruso al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022
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