Protezione internazionale, giudice onorario di tribunale, audizione del richiedente, nullità del procedimento, esclusione

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.4221 del 09/02/2022

Pubblicato il
Protezione internazionale, giudice onorario di tribunale, audizione del richiedente, nullità del procedimento, esclusione

Non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplcativo dell’elencazione ivi contenuta.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da E.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Urbinati Paola, con la quale elettivamente domicilia in Roma, alla via Muzio Clementi n. 51, presso lo studio dell’Avvocato Santagata Valerio;

– ricorrente –

nei confronti di MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto, n. cron. 7377/2020, del TRIBUNALE DI BOLOGNA depositato il giorno 06/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 25/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis del depositato il 14 luglio 2018, E.F., nativo della Nigeria (Uromi, Edo State) ha adito il Tribunale di Bologna impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. Nel richiedere il riconoscimento delle forme di protezione suddette, il ricorrente ha esposto: i) di appartenere all’etnia Ishan; i:) di professare la religione cristiana; di aver lasciato il suo Paese a seguito di una disputa con uno zio, riguardo alla proprietà di un terreno, che aveva determinato un’aggressione da parte del cugino e varie minacce da parte dello zio; iv) di essere giunto in Italia nel maggio 2017. In sede di audizione giudiziale, ha esibito varia documentazione volta a dimostrare il suo diritto di proprietà sul terreno conteso e l’integrazione sociale e lavorativa raggiunta in Italia.

2.1. In particolare, quel giudice: i) ha ritenuto il racconto del ricorrente non credibile, evidenziando gli elementi contraddittori della vicenda e la inattendibilità della documentazione; i) ha escluso la sussistenza dei requisiti per la protezione sussidiaria invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del sulla base delle COI consultate e menzionate, rilevando, altresì, che il ricorrente, nel corso dell’audizione, non aveva rappresentato di essere esposto a rischi derivanti dalla condizione del suo Paese di provenienza; ha negato, infine, la configurabilità dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in considerazione dell’inattendibilità del ricorrente, della mancata allegazione di circostanze di particolare vulnerabilità soggettiva o di problemi di salute. Inoltre, pur ritenendo meritevoli le attività lavorative e di studio del ricorrente in Italia, ha ritenuto tali elementi insufficienti a dimostrarne il raggiungimento dell’avvenuta integrazione sul territorio nazionale e non ostativi al rimpatrio in Nigeria.

2. Avverso il descritto decreto, l’Ebhogade ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Nullità del decreto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per deviazione dall’impianto procedimentale previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, dal D.Lgs. n. 150 del 2011, artt. 3 e 19, e dal D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 19-bis. Il giudice relatore non poteva sub-delegare l’attività istruttoria al giudice onorario”. Si invoca la nullità del decreto impugnato in quanto la trattazione del ricorso era stata subdelegata ad un giudice onorario che aveva proceduto all’audizione del ricorrente. Alla luce di Cass. n. 24362 del 2020, si assume che tale subdelega aveva determinato la successiva valutazione di non credibilità del ricorrente, avvenuta esclusivamente sulla base delle risultanze scritte del verbale di udienza, con conseguente pregiudizio per il diritto di difesa, mentre, se fosse stato sentito direttamente da un giudice, sarebbe stato possibile chiarire gli aspetti ritenuti dubbi;

H) “Violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e, precisamente, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver considerato, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la situazione del Paese di origine, in relazione al rispetto dei diritti primari anche in relazione al percorso di integrazione”. Si ascrive al Giudice di merito di non aver effettuato una valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunto compromissione del nucleo ineliminabile dei diritti umani che subirebbe in caso di rimpatrio. In particolare, il tribunale non aveva compiutamente esaminato e valutato la documentazione da cui emergeva l’ottimo percorso di integrazione dell’ E. in Italia, lo svolgimento di diverse attività lavorative a tempo determinato, anche nel 2020, nonostante l’emergenza sanitaria e le conseguenze della normativa restrittiva emanata con i vari D.P.C.M..

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Invero, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, l dispone che: “Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dall’art. 35 anche per mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale a norma dell’art. 32, comma 3, sono regolate dalle disposizioni di cui all’art. 737 c.p.c. e ss., ove non diversamente disposto dal presente articolo”.

2.2.. Questa Corte ha ripetutamente escluso la nullità del procedimento nell’ambito del quale il collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione abbia delegato ad un giudice onorario di tribunale il compito di procedere all’audizione del richiedente, riservandosi la decisione della causa all’esito di tale adempimento: in proposito, infatti, è stata richiamata la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 116 del 2017, recante la riforma organica della magistratura onoraria, e segnatamente le disposizioni dettate nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, ivi compresa l’assunzione di testimoni, e dall’art. 11, il quale esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari soltanto per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non sono compresi quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (Cass. n. 23983 del 2020, in motivazione; Cass. n. 7878 del 2020; Cass. n. 4887 del 2020; Cass. n. 3356 del 2019).

2.3. Recentemente, questo indirizzo interpretativo è stato confermato pure da Cass., SU, n. 5425 del 2021 che, superando la pronuncia (Cass. n. 24362 del 2020) oggi invocata dal ricorrente, ha sancito che “Non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione.specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplcativo dell’elencazione ivi contenuta”.

3. Il secondo motivo, invece, è inammissibile.

3.1 Il tribunal Bolognese, infatti, ha esaurientemente esposto le ragioni del proprio convincimento circa la non credibilità del racconto dell’odierno ricorrente amplius, pag. 5 e ss. Del decreto impugnata) e la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 7112 del 2021; Cass. n. 1501 del 2021; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (con la precisa osservanza dei puntuali oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, no. 8053 del 2014, qui, invece, rimasti inosservati), come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui assolutamente insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014.

3.2. Il provvedimento oggi impugnato ha esaminato, poi, la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà sociopolitica del Paese (Nigeria, Edo State) di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, debitamente aggiornate.

3.3. La censura complessivamente afferente il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari si rivela, dunque, inammissibile, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione. Nessun decisivo rilievo assume, infine, da sola, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’eventuale integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente (ma concretamente esclusa dal tribunale), posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (r., nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 24413 del 2021, secondo cui “… occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano”; Cass., SU, n. 24959 del 2019. Cfr. anche Cass. n. 24104 del 2021, secondo cui “…lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni: i) perché la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”; perché il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die; perché la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998 l’art. 5 non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Sez 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019). Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo…”). A tanto deve solo aggiungersi che, come condivisibilmente affermato da Cass. n. 24904 del 2020, “in tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perché non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi dOcoltà economiche e sociali”. Inoltre, la situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti, come nel caso di specie, è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. Cass. n. 17787 del 2021, in motivazione).

4. Il ricorso, dunque, va respinto senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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