Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.4281 del 10/02/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10119-2020 proposto da:

ACM SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato WALTER TAMMETTA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI APRILIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO A. PONCHIELLI, 6, presso lo studio legale LTPARTNERS, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO APICE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5021/19/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 12/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

RILEVATO

che:

la parte contribuente impugnava un avviso di accertamento relativo all’IMU per l’anno d’imposta 2012;

la Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale ne rigettava l’appello, affermando che la doglianza dell’appellante relativa alla mancata assunzione del valore determinato in perizia di parte è del tutto infondata atteso che quanto eccepito dall’appellante attiene alla determinazione della rendita catastale attribuita dall’Agenzia del Territorio, che non può costituire oggetto dell’odierna contestazione perché il giudizio riguarda la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.

La parte contribuente proponeva ricorso affidato ad un unico motivo di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre il comune di Aprilia si costituiva con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con il motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia omessa pronuncia per avere la sentenza impugnata erroneamente omesso di pronunciarsi in merito alla denuncia, tramite DOCFA, del contribuente di variazione della rendita catastale finalizzata ad eliminare errori di inserimento dati, denuncia che ha efficacia ex tunc.

Il motivo di impugnazione è infondato.

Secondo questa Corte, infatti:

“il regime fiscale degli immobili va parametrato alla classificazione catastale nell’anno di imposizione; sul punto questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema di ICI, la regola stabilita dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, è che le variazioni della rendita catastale hanno efficacia a decorrere dall’anno successivo alla data in cui sono annotate negli atti catastali, a meno che non si tratti di errori materiali (Cass. n. 2017/20463, n. 25328/201015560/2009 e n. 18023/2004)” (Cass. n. 29523 del 2021);

“i principi affermati da questa Corte – secondo i quali le variazioni della rendita catastale hanno efficacia a decorrere dall’anno successivo alla data in cui sono annotate negli atti catastali non si applicano quando si tratti di modifiche dovute a “correzioni di errori materiali di fatto, anche se sollecitate all’ufficio dal contribuente” (18023/2004; Cass. n. 15560/2009, Cass. n. 25328/2010) non possono trovare applicazione al caso di specie, riferendosi tale indirizzo al caso in cui tale errore di fatto sia compiuto dall’ufficio e risulti evidente e incontestabile, avendolo riconosciuto lo stesso Ufficio – cfr. Cass. n. 3168/2015 -, invece nel caso di specie risultando che il preteso errore che ha originato il procedimento DOCFA di rettifica della rendita catastale sarebbe stato commesso dai contribuenti” (Cass. n. 20463 del 2017).

La Commissione Tributaria Regionale – affermando che la doglianza dell’appellante relativa alla mancata assunzione del valore determinato in perizia di parte è del tutto infondata atteso che quanto eccepito dall’appellante attiene alla determinazione della rendita catastale attribuita dall’Agenzia del Territorio, che non può costituire oggetto dell’odierna contestazione perché il giudizio riguarda la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato – si è attenuta ai suddetti principi e ha implicitamente ritenuto non retroattiva la modifica intervenuta tramite DOCFA, non emergendo dalla sentenza impugnata che la DOCFA si stata effettuata per correggere degli errori, né il ricorrente la allega o la trascrive, ed ha quindi correttamente e conseguentemente ritenuto che l’oggetto del giudizio attenesse all’avviso di accertamento impugnato ossia contenente la determinazione dell’IMU effettuata tramite i criteri indicati dall’Ufficio.

In effetti il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di autosufficienza e perché trattasi di eccezione nuova.

Deve infatti rilevarsi che, per contestare le circostanze fattuali affermate dalla sentenza impugnata, la ricorrente fa riferimento a documentazione (in primis la DOCFA, ma anche la perizia di parte, il ricorso in primo grado e l’appello, nonché la rendita catastale originaria) che non è trascritta nel corpo del ricorso né è ad esso allegata, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso stesso: in effetti, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 17070 del 2020).

Il motivo di impugnazione pertanto difetta altresì di specificità, in quanto fondato su emergenze non conoscibili in questa sede e ciò solo basta a rendere non scrutinabile la prospettazione di nullità, peraltro priva di lineare comprensibile sviluppo giuridico; né la “qualitas” della questione legittima accertamenti nuovi in sede di legittimità (Cass. n. 8943 del 2021).

Inoltre, quanto alla novità della questione, ha affermato questa Corte che la proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un “non motivo”. L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti (Cass. n. 15517 del 2020): nella specie non vi è alcun riferimento nella sentenza impugnata alla DOCFA di cui parla il ricorrente.

Pertanto, ritenuto infondato il motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.300, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472