Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.4335 del 10/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12966/2017 r.g. proposto da:

T.L., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Claudio Consolo, Attilio Toppan, e Lorenza Dolfini, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Avezzana n. 45, presso lo studio dell’Avvocato Lorenza Dolfini.

– ricorrente –

contro

LIMORI s.r.l., in liquidazione, già TECNOPOLIMERI s.p.a. (cod. fisc.

*****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Laura Salvaneschi, e dall’Avvocato Guido Ercole Maria Calligari, e dall’Avvocato Antonella Terranova, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla Via Lorenzo Bellini n. 24, presso lo studio dell’Avvocato Callegari.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in data 2.2.2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/11/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

letta la requisitoria scritta della Procura Generale presso la Corte di Cassazione che, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto Cardino, ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo.

RILEVATO

Che:

1. TECNOPOLIMERI s.p.a. attivò la clausola compromissoria statutaria previsto, dall’art. 37 per accertare la responsabilità del suo ex amministratore T.L. in relazione allo sviamento in favore di società costituenda del rapporto commerciale di intermediazione tra il Gruppo Brigdestone ed il Gruppo Gazprom, rapporto che, nella prospettazione della predetta società, sarebbe stato senz’altro rinnovato senza l’intervento del T..

2.L’arbitro unico condannò pertanto il T. a risarcire il danno causato a TECNOPOLIMERI s.p.a. per complessivi Euro 3.500.000, comprensivi di rivalutazione ed interessi, ponendo a carico del T. anche il compenso dell’arbitro e le spese di lite.

3. Sulla base della predetta pronuncia arbitrale la TECNOPOLIMERI s.p.a. chiese ed ottenne dal Tribunale di Monza due ingiunzioni di pagamento rispettivamente per Euro 3,5 milioni l’una e per le spese del lodo l’altra.

4. Proposta opposizione ad entrambi i decreti ingiuntivi da parte del T. e riuniti i giudizi, il Tribunale di Monza, con la sentenza n. 2856/2014 del 28.10.2014, rigettò entrambe le opposizioni, confermando di conseguenza i decreti ingiuntivi opposti.

5. Proposto gravame da parte del T. avverso la predetta sentenza del Tribunale di Monza, la Corte di Appello di Milano, con la sentenza qui di nuovo impugnata, ha rigettato l’appello, confermando pertanto la sentenza resa dal primo giudice.

La corte del merito ha ritenuto che fosse ammissibile l’arbitrato irrituale così qualificato anche in primo grado – nelle controversie societarie disciplinate dal D.Lgs. n. 5 del 2003, osservando che l’arbitrato irrituale costituisce un’alternativa all’arbitrato rituale indipendentemente dal fatto che sia quello previsto dal predetto D.Lgs. n. 5, ovvero quello di diritto comune; ha osservato che, in relazione al contenuto letterale del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, non è dato riscontrare la volontà del legislatore di introdurre in toto una disciplina inderogabile in tema di arbitrato societario e di non lasciare dunque alcun margine di autonomia negoziale alle parti, introducendo l’art. 34 solo un obbligo di natura procedimentale quanto alla nomina dell’arbitro e prevedendo inderogabilmente che l’arbitro sia nominato da soggetto esterno alla società, con la conseguenza che solo qualora tale condizione procedurale non sia rispettata è prevista la sanzione della nullità del lodo; ha evidenziato che la tesi dell’appellante secondo cui l’espressa menzione, seppur incidentale, dall’arbitrato irrituale contenuta nel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35, comma 5, si riferisca all’ipotesi del compromesso arbitrale e non già alla clausola compromissoria arbitrale non trovava alcuna conferma nel dato testuale della norma né nelle intenzioni del legislatore; ha inoltre osservato che non poteva neanche essere accolta l’argomentazione secondo la quale la disposizione dell’art. 35 contenga disposizioni procedimentali ontologicamente incompatibili con l’arbitrato irrituale, posto che tali disposizioni si rivolgevano unicamente al modello rituale di arbitrato, dovendosi al più procedere ad una selezione della normativa applicabile a quello irrituale; ha dunque evidenziato che il legislatore aveva inteso creare un modello di arbitrato che, da un lato, prevedendo norme procedurali inderogabili (come nel caso della nomina degli arbitri), limitasse l’autonomia contrattuale delle parti e, dall’altro, stabilendo la vincolatività del lodo nei confronti della società, indipendentemente da una sua effettiva partecipazione al procedimento, rendesse il lodo opponibile ai terzi, diversamente dalla disciplina comune, con la conseguenza che limitare ulteriormente la volontà negoziale delle parti, impedendo loro il ricorso all’arbitrato irrituale, avrebbe comportato un ingiustificato limite alla libera determinazione delle parti; ha da ultimo evidenziato che tutti gli indici letterali confermavano comunque la natura irrituale dell’arbitrato previsto dalle parti; ha inoltre osservato – quanto alla censura sulla non compromettibilità del rapporto gestorio dedotto come fondamento della domanda risarcitoria – che la controversia oggetto della cognizione arbitrale si collocava nell’ambito del rapporto sociale in quanto avente ad oggetto fatti inquadrabili all’interno di una precisa realtà societaria, osservando ancora che l’inciso “diritti riferibili al rapporto sociale” di cui alla clausola statutaria era da intendersi in senso ampio, al punto da comprendere al suo interno anche aspetti relativi al rapporto gestorio tra soci e amministratori, giacché – diversamente opinando – la disposizione contenuta dell’art. 37, comma 5 dello statuto (secondo cui era prevista l’applicazione della disciplina sull’arbitrato “anche alle controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero a quelle promosse nei loro confronti”) sarebbe stata svuotata di significato, con la conseguenza che anche l’eventuale condotta illecita riferita al lasso temporale successivo all’interruzione del rapporto societario, traendo origine proprio da quest’ultimo, doveva ritenersi rientrante nella competenza arbitrale; ha, da ultimo, osservato – quanto alla doglianza sulla presunta violazione del principio del contraddittorio nel corso della procedura arbitrale – che il riferimento all’art. 808 ter c.p.c., risultava improprio, stante la natura non retraottiva della norma, e che, nel merito, le parti erano state comunque messe nelle condizioni di formulare osservazioni sulla relazione finale di consulenza e anche di avere libero accesso alla documentazione contenuta nella relazione stessa, evidenziando ancora che, trattandosi di arbitrato irrituale, non erano predicabili contestazioni di ordine percettivo e valutativo da parte dell’arbitro.

2. La sentenza, pubblicata il 2.2.2017, è stata impugnata da T.L. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui LIMORI s.r.l. in liquidazione, già TECNOPOLIMERI s.p.a., ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 34,35 e 36, per aver la corte di appello ritenuto valida la clausola compromissoria statutaria (riferita ad una società di capitali) che prevedeva la devoluzione delle liti ad arbitrato irrituale, anziché rituale, e che comunque non risultava conforme alle previsioni inderogabili del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35. Si osserva che le vicende endosocietarie delle società di capitali, per la loro valenza pubblicistica e collettiva, non possono trovare soluzione attraverso una soluzione integralmente contrattuale ed antitetica alla giurisdizione qual’e’ l’arbitrato irrituale, essendo ciò dimostrato proprio dalla disciplina positiva dettata dal D.Lgs. n. 5 del 2006, artt. 34-36, che prevede disposizioni inderogabili univocamente compatibili solo con l’arbitrato rituale (intervento dei terzi ex art. 105 c.p.c.; impugnativa del lodo; efficacia del lodo nei confronti dei terzi). Osserva ancora il ricorrente che – con l’inciso contenuto nel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35, comma 5 – il legislatore delegato si sarebbe limitato a prendere atto che, anche In campo societario, non è escluso che due o più soci, di volta in volta, preferiscano compromettere una determinata lite insorta tra loro in arbitrato non rituale e ha dunque colto l’occasione per chiarire che, anche in tal caso, l’accesso alla tutela cautelare non avrebbe potuto essere impedito.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 2392,2393 e 2598 c.c., sul rilievo che la responsabilità contrattuale sarebbe configurabile solo in relazione alle condotte tenute in costanza di rapporto gestorio e che le condotte poste in essere dopo la cessazione della carica di amministratore non rileverebbero ai fini della responsabilità contrattuale, ma solo extracontrattuale ex art. 2598 c.c., con conseguente invalidità del lodo per violazione del mandato, essendosi l’arbitro unico pronunciato su domanda non devoluta alla cognizione arbitrale stabilita dalla clausola arbitrale statutaria.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 101 c.p.c., artt. 111 e 24 Cost. e art. 6 Cedu, per aver i giudici di appello ritenuto che i principi del contraddittorio e della parità delle armi opererebbero solo come “diritto di parola” e non anche in precedenza per evitare l’introduzione officiosa di documentazione non prodotta dalla parte ma nella sua disponibilità.

4. Il quarto mezzo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 101 c.p.c., artt. 111 e 24 Cost. e art. 6 Cedu per aver i giudici di appello escluso la violazione del diritto al contraddittorio, il diritto di difesa ed il principio della parità delle armi nella condotta del c.t.u., confermata anche dall’arbitro irrituale, di trattenimento presso di sé per ragioni di segretezza di parte della documentazione su cui si fondava la perizia consentendone la consultazione solo presso lo studio del c.t.u..

5. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

5.1 Il primo motivo è tuttavia infondato.

Sul punto giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, con diversi pronunciamenti (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa), ha chiarito espressamente che “la clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, la quale, non adeguandosi alla prescrizione del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, non preveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società, è nulla anche ove si tratti di arbitrato irrituale”, così evidenziando la piena ammissibilità e compatibilità dell’arbitrato irrituale con la previsione di clausole compromissorie contenute nello statuto societario D.Lgs. n. 5 del 2003, ex artt. 34 e segg. (Sez. 1, Sentenza n.:3665 del 17/02/2014; cfr. Cass. 17287/2012 e 24867/2010; Sez. 1, Sentenza n. 15841 del 28/07/2015).

Del resto, lo stesso tenore testuale del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35, comma 5, nel prevedere espressamente la tutela cautelare anche per il caso di controversia devoluta in arbitrato irrituale, presuppone, all’evidenza, la validità di clausola compromissoria di tal genere, sebbene contenuta nello statuto di una società di capitali. Ne’ è dato comprendere – come invece opinato dal ricorrente – come potrebbe ritenersi limitata la suddetta previsione legislativa alla convenzione di arbitrato prevista di volta in volta in un contratto o patto tra soci, escludendosene, invece, l’inseribilità in uno statuto societario, posto che, una volta ritenuta la validità ovvero l’ammissibilità di una convenzione per arbitrato irrituale in controversie di natura societaria, a ben poco rileverebbe che tale convenzione sia prevista in linea generale ed astratta in uno strumento societario statutario ovvero che sia stipulata in vista di una specifica controversia, dovendosi giudicare l’ammissibilità dello strumento negoziale di risoluzione delle liti solo in relazione alla tipologia di controversia compromettibile.

In realtà, l’unico limite al ricorso ad una clausola compromissoria nelle controversie societarie riposa non già sulla natura dell’arbitrato, ma al contrario sulla natura della controversia che non deve riguardare materie indisponibili, come nelle ipotesi di veridicità e regolarità dei bilanci (Cass. 20674/2016; 13031/2014; 18600/2011), ovvero di riduzione del capitale per perdite (Cass. n. 14665/2019) ovvero ancora nelle ipotesi nelle quali è previsto l’intervento obbligatorio del p.m. D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 34, comma 5; tanto ciò è vero che, in siffatti casi, si è ritenuta la nullità della clausola compromissoria sia per arbitrato irrituale che per quello rituale.

Ma anche il rilievo sollevato dal ricorrente – relativo alle disposizioni di carattere processuale (intervento del terzo; estensione effetti a terzi estranei all’arbitrato del lodo; etc.) dettate dal D.Lgs. n. 5 del 2003 e ritenute intrinseche al solo arbitrato rituale – non assume valenza dirimente nella soluzione della questione in esame, posto che risulta evidente la loro applicabilità solo a tale ipotesi, non escludendo, invece, in termini generali, la validità di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale nel quale tali istituti non verrebbero semplicemente applicati.

Da ultimo, va evidenziato che da nessuna disposizione normativa è evincibile che la previsione dell’arbitrato irrituale debba essere confinatqy nell’ambito delle controversie concernenti società a base personale, essendo l’unica preclusione soggettiva rintracciabile quella prevista dal D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 1, con riferimento alle società di cui all’art. 2325 bis c.c..

5.2 Il secondo motivo di doglianza è invece fondato.

5.2.1 Rileva il Collegio che la sentenza impugnata ha espressamente ritenuto che gli atti illeciti rimproverati all’odierno ricorrente fossero stati commessi dopo la cessazione del rapporto di immedesimazione organica fra questi e la società della quale il T. era stato amministratore e che, peraltro, tale rapporto è stato ritenuto, nella sentenza impugnata, quale antecedente logico necessario per il comportamento di concorrenza sleale ascritto all’ex amministratore, con ciò confermandosi l’assunto secondo cui la consumazione dell’illecito si fosse realizzata posteriormente alla cessazione del rapporto gestorio.

In realtà, gli atti illeciti imputabili all’ex amministratore possono essere ricondotti all’utilizzo di informazioni riservate, apprese nel corso del proprio mandato gestorio, allo scopo di stornare illegittimamente clientela in danno della società resistente, con l’inevitabile conseguenza che la responsabilità invocata nei confronti dell’ex amministratore deve inquadrarsi nella previsione di cui all’art. 2598 c.c., n. 3, e non già in quella di cui all’art. 2392 c.c., essendo lamentata non la violazione dei doveri imposti all’amministratore dalla legge ovvero dallo statuto né invocata alcuna violazione di previsione contrattuale ex art. 2596 c.c., ovvero di matrice statutaria operante post mandato (Cass. 2501/1992)) ma invece la violazione del più generale principio del neminem laedere, consumatasi dopo la cessazione del rapporto gestorio (Cass. 4117/1985; 4257/1978).

Ciò posto, occorre chiarire che la clausola di cui all’art. 37 Statuto, ove sono richiamati “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”, anche nei confronti degli amministratori (art. 37, comma 5) deve essere limitata all’ambito della responsabilità contrattuale, in difetto di espressa volontà delle parti in senso opposto, con la conseguente non compromettibilità di controversie che involgano la responsabilità extracontrattuale dell’amministratore per fatti successivi alla cessazione del rapporto gestorio.

Ne consegue l’accoglimento del secondo motivo e l’assorbimento delle restanti censure.

PQM

accoglie il secondo motivo; rigetta il primo e dichiara assorbiti il terzo e quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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