LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2177-2021 proposto da:
M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XXI APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ORESTE VIA;
– ricorrente –
contro
N.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO LINDO DEL GAUDIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 648/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA PICCONE.
RILEVATO
che:
– con sentenza in data 15 luglio 2020, la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda proposta da N.P., ha condannato M.C. a corrispondere alla ricorrente la somma di Euro 13.083,04 oltre accessori, a titolo di differenze retributive maturate nel corso del rapporto di lavoro dal 29.09.2007 al 7.02.2012 con la qualifica di assistente scolastica presso la scuola privata gestita sino al 28.12.2007 dalla Filastrocca Servizi per l’infanzia di M.C. e, successivamente, dall’Associazione Culturale La Filastrocca;
– in particolare, la Corte ha ritenuto insussistente il dedotto difetto di legittimazione passiva della appellante, la non ricorrenza della prescrizione eccepita, la mancanza di prova circa la concorrenza sleale allegata;
– per la cassazione della pronuncia propone ricorso M.C., affidandolo a due motivi;
– resiste, con controricorso, N.P.;
– è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per non aver la Corte territoriale considerato l’intervenuta prescrizione dei crediti derivanti dal primo rapporto di lavoro intercorso fra le parti;
– con il secondo motivo si allega la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, per non aver i giudici di merito considerato il difetto di legittimazione della ricorrente in virtù della vocatio in ius formulata mediante la domanda introduttiva di primo grado;
– il secondo motivo, da esaminarsi preliminarmente in considerazione del proprio carattere pregiudiziale, è infondato;
– va rilevato al riguardo che, per aversi motivazione apparente, occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020) aspetti, questi, sicuramente non ricorrenti nel caso di specie;
– nel caso di specie, anzi, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, congrua e coerente appare la decisione di secondo grado che dà conto in maniera puntuale delle ragioni che hanno condotto la Corte a concludere per la sussistenza della legittimazione passiva della ricorrente;
– in particolare, la Corte, condividendo l’iter motivazionale del giudice di primo grado, ha evidenziato come la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’attuale ricorrente non avesse risentito del “cambio formale” della “denominazione” del datore non solo per effetto della circostanza che anche in seguito era sempre stata la stessa M. a continuare a retribuire la lavoratrice ma, in via prioritaria, in considerazione del fatto che la ditta individuale convenuta in giudizio, presso cui era stata assunta la lavoratrice, non aveva soggettività autonoma rispetto a quella della persona fisica del titolare della relativa impresa;
– il primo motivo è inammissibile;
– giova sottolineare che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle ipotesi di mancanza della motivazione, motivazione apparente, manifesta ed irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa od incomprensibile, che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);
nella specie, in particolare, parte ricorrente aveva dedotto che il termine quinquennale di prescrizione dovesse computarsi dalla data del 31/12/2007, in cui assumeva fosse terminato il rapporto con l’unico soggetto convenuto in giudizio, ovvero, in subordine, nel quinquennio antecedente il 2 ottobre 2013, data in cui la lavoratrice aveva espletato il tentativo di conciliazione;
– la Corte ha ritenuto l’infondatezza della censura non essendovi prova della cessazione del rapporto di lavoro a tempo parziale instaurato fra le parti il 31/12/2007;
– in assenza di prova del licenziamento della ricorrente, la Corte ha escluso che potesse decorrere il termine quinquennale di prescrizione prima 7/2/2012, data in cui il rapporto risultava giuridicamente cessato: da quel momento, quindi, avrebbe potuto decorrere la prescrizione, interrotta dapprima con il tentativo di conciliazione del 2/10/2013 come riconosciuto dalla stessa ricorrente e, in seguito, con il ricorso giudiziale della lavoratrice, risalente al 2/2/2015;
– tali valutazioni sono sottratte al sindacato di legittimità, mentre deve reputarsi inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito;
-alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo in favore del procuratore, dichiaratosi antistarario;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 -bis, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, da distrarsi in favore del procuratore, dichiaratosi antistarario, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis,se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022