LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14333-2020 proposto da:
M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARVISIO, 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BARBIERI, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE ANDRIZZI;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso lo studio dell’avvocato MANUELA MASSA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLEMENTINA PULLI, PATRIZIA CIACCI;
– controricorrente-
avverso la sentenza n. 83/2020 del TRIBUNALE di LAMEZIA TERME, depositata il 18/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. BUFFA FRANCESCO.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 18.2.00 il tribunale di Lamezia Terme ha rigettato la domanda dell’assistita in epigrafe di riconoscimento delle condizioni sanitarie per beneficiare dell’indennità di accompagnamento.
Avverso tale sentenza ricorre l’assistita per tre motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e 2909 c.c., per omessa pronuncia sulla domanda che invocava il giudicato esterno favorevole all’assistito, derivante da precedente e distinto decreto di accertaemnto tecnico preventivo (ATP).
Con il secondo motivo si deduce violazione della L. n. 18 del 1980, art. 1 e vizio di motivazione della sentenza impugnata per erronea valutazione delle patologie sofferte in relazione al giudicato predetto.
Con il terzo motivo si deduce violazione della L. n. 18 del 1980, art. 1 e art. 149 att. c.p.c., per la mancata considerazione dell’aggravmento del quadro clinico già riscontrato dal CTU, che ha riconosciuto -con relazione integrativa- la ricorrenza delle condizioni per fruire del beneficio in questione seppure solo dal 1.4.18.
Risulta dagli atti che l’assistita con decreto del tribunale del 24.7.13 aveva ottenuto giudizialmente il ricoscimento delle condizioni sanitarie per beneficiare dell’indennità di accompagnamento con decorrenza dalla data della domanda amministrativa del 29.12.11. La prestazione era stata poi revocata in sede amministrativa dal 2.2.15. all’esito la ricorrente aveva chiesto nuovo ATP, conclusosi sfavorevolmente per l’assistita (essendo stato escluso il requisito sanitario all’epoca della revoca della prestazione).
In tale contesto, nessun giudicato può derivare dal precedente accertamento giudiziale, in quanto la prestazione assistenziale è sempre riconosciuta rebus sic stantibus, potendo le condizioni sanitarie evolversi in modo da non rendere più necessario l’accompagnamento.
Quesa Corte ha del resto già precisato (Cass. 9837/20) che in materia di accertamento del diritto a prestazioni d’invalidità, l’autorità della cosa giudicata ha come suo presupposto il principio rebus sic stantibus, atteso che il requisito sanitario non è caratterizzato da invariabilità, dal che discende che alla detta sentenza debba essere attribuito un valore meramente temporale, connesso all’accertamento delle condizioni dell’assistito compiuto al momento della decisione; pertanto, la pronunzia passata in giudicato, se non consente una nuova valutazione, mediante diverso parere medicolegale, delle circostanze di fatto da essa già considerate, e, come tali, divenute inoppugnabili verità processuali, non impedisce, però, di tener conto dei mutamenti intervenuti successivamente, che comportino eventualmente la perdita del suddetto requisito sanitario da parte dell’assistito, con la conseguente legittimità, in questo secondo caso, di una decisione difforme dalla prima sentenza, che confermi, come è avvenuto nella specie, il giudizio posto a base della intervenuta revoca del beneficio.
Ne deriva il rigetto del primo motivo di ricorso.
Del pari infondato è il secondo motivo, che esprime mero dissenso diagnostico in ordine alla valutazione dell’incidenza funzionale delle patologie in essere (si veda al riguardo, tra le tante, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1652 del 03/02/2012, Rv. 620903 – 01, secondo la quale nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.).
Il terzo motivo è invece fondato.
Invero, dagli atti risulta che il CTU ha riscontrato un “documentato peggioramento” della patologia respiratoria patita dall’assistitia, che -ha concluso nelle note integrative- è abbisognevole di assistenza continua dall’aprile 2018.
Il giudice non ha valutato la consulenza integrativa e la documentazione ivi richiamata, dalla quale emergeva un peggioramento del quadro clinico, in violazione dell’art. 149 att. c.p.c., che impone invece di tener conto degli aggravamenti del quadro clinico sopravvenuti in corso di causa. Questa Corte ha infatti già precisato (Sez. L, Ordinanza n. 30860 del 26/11/2019, Rv. 655884 – 01) che la previsione di cui all’art. 149 disp. att. c.p.c., dettata in materia di invalidità pensionabile, che impone la valutazione in sede giudiziaria di tutte le infermità, pur sopravvenute nel corso del giudizio, si applica anche ai giudizi introdotti ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., la cui “ratio” di deflazione del contenzioso e di velocizzazione del processo, nei termini di ragionevolezza di cui alla Convenzione EDU, ben si armonizza con la funzione dell’art. 149 disp. att. c.p.c. citato, sicché la sua mancata applicazione vanificherebbe la finalità della novella, creando disarmonie nella protezione dei diritti condizionate dai percorsi processuali prescelti.
La sentenza impugnata deve dunque essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata a diverso giudice del medesimo tribunale per un nuovo esame ed anche per le spese del giudizio di legittimità.
PQM
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa a diverso giudice del medesimo tribunale per un nuovo esame ed anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022