LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –
Dott. ACIERNO Maria – Presidente di Sez. –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7777/2019 R.G. proposto da:
LIBERTY LINES S.P.A., (già Ustica Lines S.p.a.), in persona del presidente p.t. I.P.M., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Federico Tedeschini, e dagli Avv. Carlo Morace, e Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA, ASSESSORATO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ DELLA REGIONE SICILIANA e ASSESSORATO DELL’ECONOMIA DELLA REGIONE SICILIANA, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 459/18, depositata il 30 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. L’Ustica Lines S.p.a., aggiudicataria del servizio di collegamento marittimo con unità veloci con le isole ***** e le isole ***** all’esito della gara indetta dall’Assessorato delle Infrastrutture e della Mobilità della Regione Siciliana con bando pubblicato l’8 febbraio 2014 e conclusasi il 31 marzo 2014, propose ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sede di Palermo, chiedendo l’annullamento dell’atto emesso il 4 dicembre 2015, con cui la Regione aveva provveduto all’annullamento in autotutela del bando e dell’aggiudicazione per erronea fissazione della base d’asta, violazione dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE con sentenza del 24 luglio 2003, in causa C-280/00, Altmark, e assenza della deliberazione a contrarre.
A sostegno dell’impugnazione, la ricorrente dedusse la violazione del termine di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-novies, lamentando inoltre la contraddittorietà del comportamento tenuto dalla Regione e la lesione dell’affidamento ingenerato in essa aggiudicataria, nonché la mancata dimostrazione dell’esistenza di un interesse pubblico all’eliminazione degli atti di gara, anche alla luce dei tentativi avviati per la definizione bonaria della vicenda e dell’avvenuta esecuzione dell’intero servizio, contestando la sovra-determinazione dell’importo a base d’asta e negando la violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria.
1.1. Con sentenza del 21 febbraio 2017, il Tar rigettò l’impugnazione.
2. L’appello proposto dalla Liberty Lines S.p.a. (già Ustica Lines) è stato rigettato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con sentenza del 30 luglio 2018.
Premesso che la tempestività dell’annullamento doveva essere valutata alla stregua della L. n. 241 del 1990, art. 21-novies, anziché della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 136, richiamato esclusivamente nella comunicazione di avvio del procedimento, il Giudice amministrativo ha ritenuto applicabile il termine ragionevole previsto dalla prima parte della predetta disposizione, escludendo che il bando di gara fosse annoverabile tra i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, ed osservando che, in quanto decorrente dalla modificazione della medesima norma, il termine di diciotto mesi previsto dalla seconda parte non si sarebbe potuto considerare ancora scaduto alla data dell’annullamento d’ufficio. Ha confermato comunque la ragionevolezza del tempo trascorso tra l’avvio della gara, l’aggiudicazione e l’annullamento, dando atto dell’elevato margine di complessità e novità delle questioni affrontate, dello scarso impegno precedentemente profuso dalla Regione per imporre il rispetto delle regole di contabilità prescritte per gli esercenti dei servizi di linea, della necessità di procedere ad un’attenta istruttoria in ordine alla base d’asta ed alla misura della compensazione degli obblighi di servizio pubblico e del coinvolgimento del Registro Navale Italiano, nonché della non piena collaborazione prestata dalla controparte privata.
Il CGA ha ritenuto inoltre infondate le censure riguardanti l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’intera gara e la lesione dell’affidamento, sottolineando la dimensione comunitaria della vicenda, avvalorata dal richiamo della comunicazione di avvio del procedimento e del provvedimento finale al Regolamento CEE n. 3577/1992, ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia ed alla Comunicazione della Commissione Europea in materia di aiuti di Stato, e rilevando che la ragione dell’annullamento era costituita proprio dalla mancanza delle condizioni necessarie per poter ravvisare nelle compensazioni finanziarie accordate all’impresa la remunerazione degli oneri aggiuntivi di servizio pubblico, e quindi per escludere la qualificazione di tali erogazioni come aiuti di Stato. Precisato infatti che, anche a voler ammettere l’assunzione di obblighi di servizio pubblico da parte dell’impresa, l’annullamento era motivato dall’assenza di criteri di calcolo delle compensazioni determinati in via generale, preventiva e trasparente e di un ammontare delle stesse non eccedente quanto necessario per la copertura dei costi, nonché dalla mancata realizzazione dell’obiettivo della gara, consistente nel garantire l’espletamento del servizio al minor costo per la collettività, ha osservato che l’esercizio del potere di autotutela trovava giustificazione nell’interesse pubblico al ripristino della legalità comunitaria violata, anche al fine di scongiurare l’accertamento di possibili infrazioni della disciplina Europea.
Rilevato in proposito che un altro partecipante alla gara aveva presentato una denuncia alla Commissione Europea, nella quale aveva sostenuto che la compensazione prevista dal bando in favore del soggetto aggiudicatario costituiva un aiuto di Stato incompatibile con le norme Europee, ha affermato che l’omissione della preventiva comunicazione prevista dall’art. 108 TFUE avrebbe inficiato l’intera procedura, escludendo la possibilità, prospettata dalla ricorrente, di una convalida della gara o della conservazione del rapporto attraverso la rideterminazione al ribasso dell’importo a base d’asta. Ha ritenuto che tale profilo d’invalidità comportasse l’assorbimento di quello collegato ai risvolti penali della vicenda, in ordine al quale ha comunque osservato che l’eventuale commissione del reato di corruzione o turbata libertà del procedimento di scelta del contraente si sarebbe tradotto nella nullità del contratto per contrarietà alle norme imperative volte ad assicurare il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità, e specificamente al divieto di favoritismi e alla tutela della libera concorrenza.
Il CGA ha ritenuto inoltre che la predetta invalidità escludesse in radice l’affidamento invocato dalla ricorrente, la quale, come operatore avveduto del settore, era in grado di valutare il grado di tenuta dell’operazione amministrativa avviata dalla Regione, anche in relazione all’impugnazione del bando da parte di un altro partecipante alla gara; ha reputato ininfluenti, a tal fine, la durata dell’istruttoria e le risultanze del tavolo tecnico del R., osservando che i tempi del procedimento riflettevano l’inevitabile approssimazione e incompletezza del bando di gara e la necessità di acquisire elementi che solo la società coinvolta avrebbe potuto fornire, mentre le funzioni del tavolo tecnico consistevano nella verifica dell’esattezza e della congruità della base d’asta e nel calcolo della misura dell’indennizzo da liquidare all’esecutore della prestazione ai sensi dell’art. 2041 c.c. Ha precisato al riguardo che la stima finale del R., pur differenziandosi dal valore determinato all’atto della predisposizione del bando di gara in misura inferiore a quella della stima compiuta dalla Regione in sede di avvio del procedimento di autotutela, se ne discostava comunque in maniera considerevole, a dimostrazione di una programmazione approssimativa e lacunosa. Ha ritenuto altresì irrilevanti le contestazioni sollevate in ordine ai calcoli posti a fondamento della nuova gara bandita nel 2016, osservando che la decisione di annullare la gara precedente aveva un fondamento più ampio e robusto, costituito da profili di invalidità comunitaria e rilevanza penale dei fatti.
Premesso infine che la domanda di risarcimento proposta dalla ricorrente trovava fondamento per un verso nella responsabilità contrattuale dell’Amministrazione, in ordine alla quale il Giudice amministrativo risulta privo di giurisdizione, e per altro verso nell’art. 1337 c.c., e rilevato che il servizio era stato quasi interamente eseguito, il Giudice amministrativo ha ritenuto insussistente l’ingiustizia del danno, in considerazione della mancata stipulazione del contratto e del difetto della buona fede della ricorrente, osservando che quest’ultima, pur non avendo concorso a determinare gli errori insiti nel bando di gara e nell’avvio del servizio, avrebbe potuto considerarli e valutarli, anziché sfruttarli a proprio vantaggio, ed aggiungendo comunque che il rigetto della pretesa risarcitoria non la privava della tutela offerta dall’azione generale di arricchimento.
3. Avverso la predetta sentenza la Liberty Lines ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Hanno resistito con controricorso la Presidenza, l’Assessorato delle infrastrutture e della mobilità e l’Assessorato dell’economia della Regione Siciliana.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 8, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 11 e del D.Lgs. n. 2 luglio 2010, n. 104, artt. 119 e 133, censurando la sentenza impugnata per eccesso di potere giurisdizionale. Premesso che il giudizio aveva ad oggetto la legittimità dell’atto con cui la Regione aveva annullato la procedura di gara, ai fini della quale veniva in considerazione anche l’avvenuta esecuzione dell’intero servizio, dal momento che la Regione aveva provveduto alla consegna anticipata e l’annullamento era intervenuto a poche ore dalla scadenza naturale del contratto, osserva che il CGA ha esteso il proprio sindacato alla questione della buona fede di essa ricorrente, che non era mai stata sottoposta al suo esame. Precisato infatti che la domanda di risarcimento era collegata all’illegittimità dello atto di autotutela, sostiene che l’affidamento riposto nella regolarità della procedura veniva in rilievo esclusivamente in relazione alla prospettata violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-quinquies, osservando che l’accertamento incidentale compiuto dal riguardo dal Giudice amministrativo si è tradotto in una personale valutazione della condotta preprocessuale di essa ricorrente, eccedente i limiti della giurisdizione di legittimità.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Non può infatti trovare ingresso, in questa sede, la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui la questione concernente la configurabilità della buona fede di essa aggiudicataria nell’esecuzione del servizio affidatole, presa in esame dalla sentenza impugnata ai fini del rigetto della domanda di risarcimento dei danni collegata all’impugnazione dell’atto di annullamento in autotutela, sarebbe stata in realtà sollevata, sotto il diverso profilo dell’affidamento riposto in ordine alla validità dell’aggiudicazione, ai fini dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto di annullamento per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-quinquies. Anche a voler ritenere che, attraverso la sostituzione dei fatti allegati a sostegno della pretesa risarcitoria con quelli posti a fondamento dell’impugnazione dell’atto di annullamento, il Giudice amministrativo sia incorso in una modificazione della causa petendi, tale vizio non potrebbe considerarsi deducibile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, non traducendosi in un eccesso di potere giurisdizionale, ma in un mero error in procedendo, che non comporta il travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa.
Com’e’ noto, l’eccesso di potere giurisdizionale si riferisce alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, configurabile allorché il giudice speciale abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su una materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero abbia negato la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto della spettanza della stessa ad altri giudici (cfr. Cass., Sez. Un., 15/04/2020, n. 7839; 20/03/2019, n. 7926; 11/11/2019, n. 19082). Tale vizio non è pertanto configurabile quando, come nella specie, si affermi che, per effetto della immutazione dei fatti dedotti, il Giudice amministrativo abbia pronunciato su una domanda totalmente o parzialmente diversa da quella sottoposta al suo esame, potendo in tal caso ravvisarsi, eventualmente, un’ipotesi di extrape-tizione, e quindi un error in procedendo, non deducibile con il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, in quanto non attinente al superamento dei limiti esterni di quest’ultima, ma al modo in cui la stessa è stata esercitata (cfr. Cass., Sez. Un., 22/04/2013, n. 9687; 9/06/2006, n. 13433).
Poiché d’altronde, come ammette la stessa ricorrente, la domanda di risarcimento da essa proposta era collegata a quella di accertamento della illegittimità dell’atto di annullamento in autotutela, può escludersi che la modificazione dei fatti allegati a sostegno della stessa abbia potuto tradursi nella pronuncia su una pretesa risarcitoria estranea alla giurisdizione amministrativa: in tema di pubblici lavori, servizi e forniture, l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 cod. proc. amm., nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie relative alle procedure di affidamento, vi include infatti espressamente quelle risarcitorie. E’ pur vero che, come più volte ribadito da queste Sezioni Unite, tale espressione si riferisce soltanto alle domande di risarcimento originate dalla pronuncia d’illegittimità di atti del procedimento di scelta del contraente fino al momento in cui acquista efficacia l’aggiudicazione definitiva, restando quindi escluse quelle riguardanti la fase successiva, anche se precedente alla stipulazione del contratto, le quali seguono l’ordinario criterio di riparto della giurisdizione, imperniato sulla distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, da individuarsi con riferimento alla posizione che la domanda è diretta a tutelare sotto il profilo del petitum sostanziale (cfr. Cass., Sez. Un., 5/10/2018, n. 24411; 22/06/2017, n. 15640; 29/05/2017, n. 13454). Nella specie, tuttavia, il CGA, nel dichiarare infondata la pretesa risarcitoria avanzata dalla ricorrente, ha correttamente individuato la linea di demarcazione tra la propria giurisdizione e quella dell’Autorità giudiziaria ordinaria, ponendo in risalto la peculiarità della fattispecie e traendone le dovute conseguenze: premesso infatti che a sostegno della domanda la Liberty Lines aveva allegato l’avvenuta esecuzione del contratto in misura pressocché integrale, chiedendo da un lato il pagamento del corrispettivo dovuto, e dall’altro la condanna dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 1337 c.c., ha precisato che, ove intesa ad invocare una responsabilità contrattuale, la domanda sarebbe risultata estranea alla propria giurisdizione, e si è quindi limitata a rilevare, in ordine al pregiudizio asserita-mente derivante dall’annullamento dell’aggiudicazione, il difetto del requisito dell’ingiustizia, per non essere la danneggiata titolare di un interesse meritevole di tutela, né sotto il profilo contrattuale, in considerazione della mancata stipulazione del contratto, né sotto quello precontrattuale, avuto riguardo alla condotta tenuta dalla ricorrente nell’intera vicenda.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente ribadisce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 8, del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 11 e del D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 119 e 133, insistendo sull’eccesso di potere giurisdizionale. Premesso che in tema di esecuzione anticipata di servizi affidati con procedure ad evidenza pubblica la giurisdizione di legittimità del Giudice amministrativo è limitata agli atti ed ai provvedimenti della gara, osserva che il CGA non si è limitato ad escludere la buona fede contrattuale di essa ricorrente, ma è giunto a prospettare una tutela residuale ai sensi dell’art. 2041 c.c., che non costituiva oggetto della domanda giudiziale. Precisa comunque che, alla luce della ritenuta legittimità dell’annullamento in autotutela, essa ricorrente aveva facoltà di agire ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 11, che riconosce all’affidatario del servizio pubblico il diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione anticipata del contratto.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Le censure proposte dalla ricorrente non attingono infatti la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, nell’escludere la configurabilità di un legittimo affidamento in ordine alla regolarità della procedura di aggiudicazione, quale requisito necessario per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno derivante dall’annullamento in autotutela del provvedimento adottato all’esito della stessa, non ha affatto pronunciato in ordine ad ulteriori strumenti giuridici eventualmente azionabili dalla ricorrente a tutela dei diritti derivanti dall’avvenuta esecuzione del servizio in via d’urgenza, essendosi limitata ad ipotizzare astrattamente il ricorso all’azione d’ingiustificato arricchimento, della quale ha tuttavia rilevato l’estraneità allo oggetto del giudizio, senza neppure prendere in considerazione la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 11, comma 9.
3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022