Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.4720 del 14/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 456-2017 proposto da:

T.A., rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO BERNARDINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO RIZZOLI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1971/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/07/2016;

Lette le memorie del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/01/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. T.A. ha impugnato il testamento pubblico del 24 febbraio 1999, con il quale la defunta M.I., che lo aveva in precedenza istituito erede con testamento olografo del 21/9/1981, aveva invece nominato erede universale F.F., lamentando che la stessa, unitamente ai genitori, aveva gestito a lungo il patrimonio della de cuius, ponendo in essere indebitamente delle donazioni, ed, approfittando delle condizioni di salute della stessa M., – dedita sia dai primi anni ‘90 al vizio dell’alcool -, aveva fatto redigere un testamento a sé favorevole, senza che la testatrice fosse consapevole di ciò che compiva, tenuto conto della sua condizione di incapacità.

Nel corso del giudizio, promosso dinanzi al Tribunale di Bologna, era altresì avanzata querela di falso contro il testamento pubblico, in quanto preconfezionato nello studio del notaio, e semplicemente completato nella casa di riposo ove ormai alloggiava la testatrice, con l’indicazione della data, dell’orario e dei testi.

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che il testamento fosse valido e genuino, ravvisando nella situazione sanitaria della de cuius la presenza dei problemi della normale involuzione senile, inidonei a determinare l’incapacità richiesta ai fini dell’annullamento del testamento. Aggiungeva che erano altresì carenti le prove circa la circonvenzione alla quale sarebbe stata sottoposta la testatrice da parte dei genitori della convenuta.

Avverso tale sentenza proponeva appello il T., cui resisteva la F..

La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 1971 del 4 novembre 2016 ha rigettato il gravame, con le conseguenti statuizioni in punto di spese di lite.

I giudici di appello rilevavano che la produzione dei documenti di cui ai nn. 1, 3 e 4 del fascicolo dell’appellante fosse effettivamente tardiva e quindi inammissibile. La relazione peritale di parte, sebbene di data posteriore alla sentenza appellata, non era altro che l’analisi critica di documenti preesistenti, come del pari era di data risalente la corrispondenza prodotta. In ogni caso era decisiva la documentazione medica che dominava il quadro probatorio, la quale, riferita ad un lungo periodo temporale, anche prossimo a quello del testamento impugnato, assicurava circa la capacità della testatrice, con l’esclusione della psicopatologia grave.

Quella prospettata dall’appellante era una mera diagnosi probabilistica del disturbo delirante paranoide, ma espressa nelle stesse cartelle invocate come solo ipotetica e come ipotesi investigativa, mai oggetto però di effettivo approfondimento, che non poteva essere ora supportata da una CTU.

Del pari erano privi di decisività i racconti e gli esposti dei condomini della M., trattandosi di circostanze (e non essendo provata la dedizione all’alcol della de cuius) che non consentivano di offrire un quadro diverso da quello accertato dal Tribunale, posto che un disturbo caratteriale in una persona per anni definita lucida ed orientata, non è segno della assoluta mancanza di capacità necessaria a testare ovvero di un’insicurezza tale da permettere di essere intimidita o suggestionata da terzi.

Tali considerazioni determinavano quindi il rigetto dei primi due motivi di appello.

Non era infatti dato riscontrare la circonvenzione della defunta, mancando la prova della malizia o del raggiro dei familiari della convenuta, il che non consentiva di affermare che le vendite e le donazioni fossero frutto della dolosa attività di questi ultimi, anche in ragione del comprovato rapporto di affetto che li legava alla testatrice.

Anche la tesi secondo cui vi sarebbe stata una macchinazione per correlare il testamento al coevo rilascio di una procura generale immobiliare era smentita dalla mancata prova del grave deterioramento delle condizioni psichiche della de cuius. Anche gli altri elementi invocati (donazione a favore della titolare della casa di cura ove la M. era ricoverata, rifiuto di sottoporsi ad esami diagnostici in occasione di un ricovero, trascuratezza verso la de cuius, e dopo la sua morte, nei confronti della sua tomba) non avevano il carattere di univocità per affermare che fossero idonei a comprovare la intervenuta circonvenzione.

Le dette considerazioni, secondo i giudici di appello, porterebbero a rigettare anche il terzo motivo, che invoca la nullità del testamento per essere frutto di circonvenzione di incapace, ma sul punto si riscontrava l’inammissibilità della richiesta, che era stata avanzata solo in sede di conclusioni in primo grado, ma atteneva a profili diversi da quelli ab origine prospettati.

Il rigetto poi colpiva anche il quarto motivo di appello che investiva la pretesa sottovalutazione delle prove testimoniali, e ciò in ragione della preferenza da accordare alle fonti di provenienza medica, ed in particolare alle testimonianze rese da professionisti accreditati (infermiere e medico di base).

In relazione al quinto motivo, che atteneva alla proposta querela di falso, la sentenza di appello rilevava che il Tribunale, pur avendo dato atto della rinuncia alla stessa da parte dell’attore nel corso del giudizio, aveva però esaminato le questioni poste, ribadendo che non sussisteva la patologia invalidante dedotta dall’attore, ed avendo le testi escusse confermato l’effettiva presenza del notaio in clinica prima della redazione dell’atto, e la conformità del contenuto del testamento pubblico a quanto affettivamente avvenuto.

Era, infine, rigettato anche il quinto motivo che investiva la condanna al rimborso delle spese di lite, essendo confermata la soccombenza del T..

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso T.A. sulla base di sette motivi, illustrati da memorie.

F.F. ha resistito con controricorso.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’erroneità della sentenza per avere ritenuto tardiva la produzione della perizia della Dott.ssa B., e per avere immotivatamente disatteso le conclusioni del PM/PG basate su di essa, con la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e art. 115 c.p.c.

La decisione gravata ha reputato che i documenti nn. 1, 3 e 4 fossero inammissibili e che in particolare la perizia di parte fosse una rivisitazione delle prove già esistenti.

Si è però trascurato, a detta del ricorrente, che le prove erano emerse solo in data successiva alla scadenza dei termini di cui all’art. 183 c.p.c. e che, stante l’applicabilità alla fattispecie, della previsione di cui all’art. 345 c.p.c., nella formulazione previgente la novella del 2012, il richiamo alla nozione di indispensabilità della prova avrebbe consentito l’ingresso delle prove stesse.

Si aggiunge, inoltre, che anche il PG aveva espresso le proprie conclusioni favorevoli all’invalidità del testamento, richiamando la perizia prodotta in appello dal ricorrente, a conferma quindi della valenza probatoria di tale documento.

Il motivo è in parte fondato.

In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione).

Inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

Le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresì sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”.

Ne consegue che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo ad una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

Se è in questo senso irrilevante la circostanza che il PM, inizialmente evocato in giudizio per la avvenuta proposizione della querela di falso, poi rinunciata dal ricorrente, abbia condiviso le considerazioni del perito di parte, trattandosi in ogni caso del giudizio di una parte processuale, e che non appare vincolante per il giudice che abbia motivatamente, come nella fattispecie, espresso le ragioni del proprio diverso convincimento, la censura appare fondata quanto alla dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c.

In particolare, le critiche del ricorrente colgono nel segno quanto alla valutazione spesa dai giudici di appello in merito alla pretesa inammissibilità della produzione in appello della perizia di parte ed all’omessa valutazione delle sue risultanze. Infatti la Corte distrettuale ha accomunato nel giudizio di inammissibilità i documenti nn. 1, 3 e 4, ed in particolare la perizia di parte (documento n. 1), che ha ritenuto non producibile in appello sol perché suscettibile di poter essere predisposta anche in precedenza.

Rileva al riguardo il principio secondo cui la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello (Cass. n. 20347/2017; Cass. S.U. n. 13902/2013).

Peraltro è statao anche affermato che è affetta da nullità la sentenza del giudice di secondo grado che, sollecitato con il gravame a controllare la decisione di prime cure, che si era limitata a condividere le conclusioni di una CTU, senza considerare la consulenza di parte, abbia proceduto all’esame dell’appello assumendo come premessa programmatica i principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione in tema di limiti del sindacato di legittimità, dichiarando genericamente di condividere le conclusioni del CTU, senza tenere conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. n. 8460/2020), che impone quindi di dover valutare il contenuto anche di una perizia di parte, laddove il suo contenuto appaia dettagliato ed idoneo ad inficiare la correttezza del ragionamento del giudice di prime cure.

La sentenza gravata si è invece limitata, ed erroneamente, a dare atto della tardività della produzione della perizia, astenendosi quindi dal compiere il doveroso riscontro delle osservazioni mosse dall’appellante, venendo meno quindi al suo dovere di verifica della correttezza della decisione appellata (cfr. Cass. n. 30364/2019, a mente della quale quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d’ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero a seguito dela novella, di omessa disamina di fatto decisivo).

Il motivo deve quindi essere accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’erroneità della sentenza per avere sottovalutato il quadro psicopatologico della testatrice, ergendosi il giudice di appello imprudentemente a peritus peritorum e travisando anzitutto, le risultanze del diario clinico del Centro Ma. e trascurandone la diagnosi, con violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2 e art. 116 c.p.c..

Il terzo motivo di ricorso, che si sviluppa da pag. 32 a pag. 43, denuncia l’erroneità della sentenza per avere ritenuto irrilevanti, senza esaminarli, gli esposti dei condomini della testatrice; insussistente la sua dipendenza da alcool, pur riferita da testimonianze, del pari non esaminate; e in generale per non avere in alcun modo tenuto conto di tali testimonianze, estese anche alla sua vita, alle sue abitudini ed ai suoi comportamenti. Il tutto con omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Il quarto motivo di ricorso denuncia l’erroneità della sentenza per avere escluso la rilevanza di raggiri maliziosi e circonvenzione ai danni della testatrice, sulla base della sua normalità mentale e della sua condizione piscologica, non particolarmente esposta a pericoli. Omesso esame circa (diversi) fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il quinto motivo denuncia l’erroneità della sentenza per avere ritenuto inammissibile, se non infondato, il terzo motivo di appello, quanto alla nullità (per illiceità) del testamento pubblico in quanto frutto di una circonvenzione di incapace, con la conseguente violazione dell’art. 1421 c.c.

Si lamenta che la Corte d’Appello abbia ritenuto inammissibile la richiesta di dichiarare la nullità del testamento per essere frutto di circonvenzione di incapace, in quanto la nullità così invocata riguardava un profilo completamente diverso dagli altri proposti, nei quali non poteva reputarsi compreso.

Il sesto motivo di ricorso denuncia l’erroneità della sentenza per avere concluso nel senso che nella fattispecie non sussisteva nella testatrice l’incapacità di intendere e di volere, senza ricostruirne la nozione generale, alla luce del diritto vivente, con violazione degli artt. 428 e 2046 c.c.

Il settimo motivo di ricorso denuncia l’erroneità della sentenza quanto alla querela di falso per avere piegato le testimonianze delle infermiere della casa di risposo a sostegno dei requisiti soggettivi per la validità del testamento, con la violazione dell’art. 116 c.p.c.

I motivi restano assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo, dovendo il giudice di rinvio rivalutare la capacità della testatrice, anche alla luce delle osservazioni mosse con la perizia di parte prodotta in appello.

4. Il giudice del rinvio, come sopra designato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, nei limiti di cui in motivazione e, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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