Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.4760 del 14/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25903/2020 R.G., proposto da:

C.R., C.C., C.M., C.A., C.S., rappresentati e difesi dall’avv. Salvatore Caligiuri, con domicilio eletto in Roma, Via Caverni, n. 6, presso l’avv. Paolo Armelin;

– ricorrenti –

contro

M.S., rappresentato e difeso dall’avv. Fabrizio Zinno, con domicilio eletto in Roma, alla Via Tacito 41, presso l’avv. Ciro Cafiero;

– controricorrente –

UNIPOL SAI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2195/2020, pubblicata in data 19.6.2020.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 27.1.2022 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

RAGIONI IN FATTO IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con citazione del 12.6.2013, gli attuali ricorrenti, eredi di C.S., hanno evocato in giudizio dinanzi al tribunale di Torre Annunziata l’avv. M.S., esponendo che il convenuto aveva ricevuto l’incarico di impugnare dinanzi al Tar il provvedimento con cui il Comune di Torre Annunziata aveva respinto l’istanza di attribuzione della qualifica superiore (V livello funzionale con decorrenza dal 1983) avanzata da C.S. e che, pur essendo stato instaurato in giudizio, non era stata formulata l’istanza di fissazione dell’udienza, per cui il processo si era concluso con pronuncia di perenzione del procedimento. Hanno chiesto di condannare l’avv. M. al risarcimento del danno per responsabilità professionale, con attribuzione delle spese processuali.

Il convenuto ha resistito alla domanda, instando per la chiamata in causa dell’Unipol Sai per essere manlevato in caso di soccombenza.

All’esito il tribunale ha respinto tutte le domande, regolando le spese. La sentenza è stata confermata in appello.

Secondo la Corte partenopea, non poteva imputarsi al difensore alcuna negligenza. Sebbene la perenzione del giudizio fosse stata provocata dalla condotta omissiva del difensore, la domanda non aveva alcuna probabilità di essere accolta: secondo l’interpretazione largamente prevalente del D.P.R. n. 347 del 1983, art. 40, in tema di inquadramento del personale degli enti locali, la collocazione degli impiegati nei nuovi livelli retributivi e funzionali richiedeva la valutazione comparativa tra il contenuto delle qualifiche contemplate negli ordinamenti di ciascun ente e quelli stabilite dal citato D.P.R., prescindendo da eventuali mansioni e qualifiche svolte solo in via di fatto o in forza di atti formali diversi da quelli prescritti per il conferimento della qualifica funzionale, come chiarito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Mancando i presupposti affinché il M. potesse ottenere la qualifica superiore, appariva carente il nesso causale tra la condotta del difensore ed il danno lamentato dagli attori.

Per la cassazione della sentenza C.R., C.M., C.C., C.A., e C.S. propongono ricorso in 2 motivi.

L’avv. M.S. resiste con controricorso.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente inammissibile, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in Camera di consiglio.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza trascurato che, all’epoca della proposizione della domanda, la giurisprudenza amministrativa, specie di primo grado, era favorevole all’accoglimento dei ricorsi volti ad ottenere la qualifica funzionale superiore da parte di chi, come C.S., avesse svolto dette mansioni anche solo in via di fatto.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Corte d’appello ritenuto erroneamente tardiva, poiché proposta solo in appello, la domanda di responsabilità del difensore per violazione degli obblighi informativi. Una tale deduzione difensiva era stata formulata con le memorie previste dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, in replica alle tesi del difensore che aveva ammesso che la domanda non aveva, sin dall’inizio, alcuna probabilità di accoglimento, senza però averne mai informato i clienti.

3. Il primo motivo è inammissibile.

La sentenza di appello ha risolto le questioni in fatto in senso conforme alla pronuncia di primo grado, sicché, a norma dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, è preclusa in cassazione la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo.

Peraltro, la Corte di merito ha tenuto conto dei contrastanti orientamenti della giurisprudenza amministrativa in ordine ai presupposti per il riconoscimento della qualifica superiore, evidenziando come l’orientamento del Consiglio di Stato fosse però sfavorevole all’interessato, essendo indubbio che l’esito della causa doveva valutarsi non solo con riferimento al risultato che era lecito attendersi per il primo grado, ma in base all’esito anche di un’eventuale impugnazione.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile.

L’esame degli atti difensivi, e specificamente della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 (cfr., pagg. 14 e 15) mostra che effettivamente gli attori, in replica alle argomentazioni del difensore (che aveva eccepito che la domanda non aveva alcuna probabilità di accoglimento e che era onere degli eredi notiziare il difensore dell’avvenuto decesso di C.S.), avevano affermato che tale deduzione non escludeva, ma anzi aggravava la responsabilità del M., senza però sviluppare tale succinta deduzione in una vera e propria precisazione o modifica della domanda, avendo contrapposto una mera confutazione dei contrari argomenti difensivi, non assistita da alcuna ulteriore specificazione e senza alcuna descrizione del danno patito, di per sé non identificabile con quello derivante dalla perdita delle utilità che il lavoratore avrebbe ottenuto dall’inquadramento nella qualifica superiore.

Con le suddette memorie non era stata proposta alcuna domanda che fosse conseguenza delle difese del convenuto o che costituisse una precisazione o modificazione legittima di quella originaria, apparendo semmai sollevata una mera contestazione dei fattori esimenti invocati dalla controparte, ribadendo la responsabilità del ricorrente per aver negligentemente provocato la perenzione del giudizio amministrativo.

E’ perciò incensurabile la conclusione cui è giunta la Corte di merito, secondo cui una compiuta articolazione della domanda per violazione degli obblighi informativi era stata introdotta solo in appello e perciò tardivamente, stante il divieto dell’art. 345 c.p.c..

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio delle spese processuali liquidate in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compensi, oltre ad accessori di legge e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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