LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5308-2020 proposto da:
I.N., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA CAMPOSTRINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4906/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 11/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/12/2021 dal Consigliere Dott.ssa PONTERIO CARLA.
RILEVATO
che:
1. La Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da I.N., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.
2. Il richiedente aveva allegato il grave rischio a cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, a causa del debito contratto dal padre per consentirgli di uscire dal paese, posto che in Pakistan esiste ancora, seppure non legalmente, la schiavitù per debiti e attese le condizioni di insicurezza del paese, connotato da violenze tra gruppi armati e corruzione nelle forze di polizia. Il suo stato di semianalfabetismo e di povertà non gli consentivano di sottrarsi ai creditori e di ottenere tutela dalle autorità, nel paese di provenienza.
3. La Corte d’appello ha escluso, conformemente al tribunale, i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato rilevando che non era emerso alcun elemento significativo di qualsiasi forma di persecuzione o discriminazione per ragioni di etnia, genere, appartenenza politica o credo religioso, rivestendo la questione narrata dal richiedente carattere esclusivamente privato, legato alla circostanza che il predetto, non in grado di restituire il debito, sarebbe esposto alle ritorsioni dei creditori che potrebbero ridurlo in stato di sostanziale schiavitù, nell’inerzia delle autorità.
4. Secondo i giudici di appello, ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potrebbero essere valorizzate le apprensioni conseguenti alla mancata restituzione del prestito posto che le reazioni paventate proverrebbero comunque da soggetti privati, rilevandosi peraltro una contraddittorietà nella prospettazione del richiedente poiché egli stesso aveva allegato che il prestito era stato chiesto da suo padre ed era quindi quest’ultimo ad avere offerto in garanzia la casa; in conseguenza, secondo i giudici di merito, l’obiettivo del richiedente di lavorare in Italia e così spedire alla famiglia qualche somma di denaro portava a collocare la vicenda narrata nell’alveo delle migrazioni per ragioni economiche.
5. La Corte d’appello, richiamando numerose fonti internazionali attuali e accreditate, ha escluso che in tutto il territorio del Pakistan vi fosse una situazione di violenza generalizzata, di conflitto armato o di anarchia senza controllo delle autorità ed ha quindi escluso il presupposto della protezione sussidiaria di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
6. Ha parimenti negato la protezione umanitaria rilevando la mancanza di elementi, anche a livello di allegazione, idonei a definire la presumibile durata di una esposizione ad uno specifico rischio e sottolineando come ai fini della condizione di vulnerabilità, legata alla intangibilità di un nucleo fondamentale di diritti umani, non potessero essere valorizzate le condizioni di instabilità politica del paese di provenienza, né le motivazioni afferenti, come nel caso in esame, ad una vicenda privata e neppure l’inserimento lavorativo del ricorrente.
7. Avverso tale sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
8. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per l’impiego di fonti informative non idonee in quanto non riferite alla regione di provenienza (Punjab) del richiedente asilo.
7. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per non avere la sentenza d’appello considerato che il trattamento inumano e degradante possa provenire anche da soggetti privati.
8. Con il terzo motivo è dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per avere la Corte respinto la domanda di protezione umanitaria senza entrare nel merito della posizione del richiedente, omettendo di considerare le allegazioni in fatto e di comparare la situazione esistente nel paese di rimpatrio con il livello di integrazione raggiunto nel paese di accoglienza, così violando, oltre che le disposizioni di legge, anche l’obbligo di motivazione sul punto.
9. I motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati e devono trovare accoglimento.
10. La Corte territoriale, pur giudicando credibili le allegazioni del ricorrente sul fatto che “essendo egli non in grado di restituire il debito, sarebbe esposto alle ritorsioni dei creditori, che potrebbero ridurlo in stato di sostanziale schiavitù, nella sostanziale inerzia delle autorità”, ha tuttavia escluso che tale situazione rientrasse tra quelle meritevoli di tutela, sul rilievo che le ragioni economiche non costituissero fattore idoneo a sollecitare forme di protezione internazionale, provenendo peraltro i pericoli per il richiedente da soggetti privati; ha quindi etichettato la vicenda in esame come esempio di migrazione economica.
11. La valutazione della Corte d’Appello, come puntualmente denunciato dal ricorrente, è giuridicamente errata; la migrazione per motivi economici è quella in cui l’espatrio è connesso alla Data pubblicazione 14/02/2022 ricerca di una migliore condizione di vita, sotto il profilo del complessivo benessere personale proprio e della propria famiglia. Tale motivazione nulla ha a che vedere con quella, oggetto di causa, in cui la fuga dal paese di origine sia cagionata da timori di persecuzione per il trattamento ivi destinato a chi si trovi in condizione di insolvenza rispetto ai propri debiti, in quanto in tal caso l’espatrio non persegue un fine di miglioramento economico, ma costituisce rimedio necessario per evitare trattamenti inumani o degradanti per la persona (v. Cass. n. 29142 del 2020).
12. Sulla base di tale erronea impostazione, la Corte territoriale ha completamente omesso di indagare il pur rappresentato fenomeno dell’usura in Bangladesh, essendosi limitata ad un’apodittica negazione di alcuna lesione al riguardo nella tutela dei diritti fondamentali, in assenza di qualsiasi accertamento sui trattamenti inumani o gravemente dannosi per la persona ivi praticati nei confronti dei debitori inadempienti in ragione della diffusione del fenomeno usurario (Cass. 21 dicembre 2020, n. 29142; Cass. 5 ottobre 2021, n. 26967).
13. Un tale accertamento si colloca nell’ambito della più generale verifica che il giudice di merito deve compiere con riguardo alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921; Cass. 25 luglio 2018, n. 19716; Cass. 4 gennaio 2021, n. 10), mediante l’acquisizione di fonti informative aggiornate al momento della decisione (o ad esso prossimo) e pertinenti (Cass. 30 ottobre 2020, n. 23999), aventi carattere di ufficialità (Cass. 29 dicembre 2020, n. 29701), o comunque accreditate per la provenienza dalle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (come Amnesty International e Medici senza frontiere: Cass. 30 giugno 2020, n. 13253).
14. L’indagine da compiere rileva anche agli effetti della misura, diversa e residuale, della protezione umanitaria, riverberando la grave piaga usuraria che affligge il Bangladesh riflessi anche sui profili di vulnerabilità personale specificamente allegati dal richiedente (Cass. 20 gennaio 2021, n. 904; n. 40912 del 2021).
15. In definitiva, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché proceda agli accertamenti necessari, sulla base dei principi di cui sopra.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022