Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.4809 del 15/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12164/2015 R.G. proposto da:

T.D., con gli avv.ti Pasquale Lonero e Pietro Gorgoglione e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Baliva in Roma, alla via Poma n. 1;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Milano, n. 5733/20/14 pronunciata il 24 ottobre 2014 e depositata il 06 novembre 2014, non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09 luglio 2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.

RILEVATO

1.La contribuente era raggiunta, in data 01.06.2010, da un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006 in relazione alla sua qualità di socia accomandante della società World trading service s.a.s.. L’ufficio aveva invero accertato un maggior reddito in capo alla società per Euro 187.500,00 Euro, imputato per trasparenza alla socia contribuente nella misura di Euro 93.750,00 in ragione della ritenuta partecipazione sociale del 50%, con conseguente ripresa a tassazione ai fini Irpef, oltre che addizionali regionale e comunale.

2. Promuoveva ricorso la contribuente, contestando l’atto impositivo sia nel merito, sia in ragione dell’errata imputazione del reddito per trasparenza, stante la sua minor partecipazione societaria, limitata al 30%.

3. I due gradi di merito erano favorevoli all’Ufficio, con conseguente conferma della legittimità dell’atto impositivo.

4. Insorge con ricorso la contribuente, che chiede la cassazione della sentenza d’appello per due motivi. Resiste l’Amministrazione finanziaria con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

0.In via preliminare, va rilevato che non si pone questione di litisconsorzio necessario fra società di persone e soci, sia perché la stessa contribuente qui ricorrente attesta che la posizione della società è stata definita con sentenza definitiva, sia perché essa contribuente si dichiara estranea alla società, sia perché le doglianze sollevate in questa sede sono di carattere personale della contribuente, per cui esulano dalle fattispecie di accertamento litisconsortile necessario come evidenziate da questa Corte di legittimità (Cfr. Cass. S.U., n. 14815/2008; n. 12236/2010; n. 10145/2012).

1.Con il primo motivo la contribuente denunzia la nullità dell’avviso di accertamento impugnato per carenza dei poteri di firma.

1.1 Acclarato che la parte ricorrente non ha esplicitato in che termini ha inteso articolare la censura, non avendo declinato alcuna delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c.., dalla lettura del motivo si deduce agevolmente la sua proposizione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. Tanto premesso, la contribuente avanza censura di nullità della sentenza d’appello lamentando l’inesistenza giuridica dell’atto impositivo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, e della L. n. 212 del 2000, art. 7. In particolare lamenta la carenza del potere dirigenziale del delegante ovvero di chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento, in mancanza della sua qualifica di dirigente: l’avviso di accertamento sarebbe nullo perché firmato da un dirigente non nominato per effetto di un pubblico concorso, come stabilito dalla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale.

2.1 Al primo motivo di ricorso l’Avvocatura dello Stato frappone eccezione di inammissibilità per essere stato, detto motivo, proposto per la prima volta in cassazione.

L’eccezione del patrono erariale è fondata.

3. In materia questa Corte ha invero così stabilito: “La Commissione, dopo attenta valutazione, ha dunque ritenuto che detto motivo di appello, seppur presentandosi come “nuovo” in quanto mai proposto nella fase del primo grado di giudizio, debba essere affrontato – e valutato positivamente – in quanto affronta la questione di una nullità insanabile che può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio, e che la stessa possa essere quindi eccepita anche per la prima volta in appello D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 57, comma 2. Tale pronuncia si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “Alla sanzione della nullità” comminata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione, delle indicazioni e della motivazione di cui al precedente comma 2, o ad al quale non risulti allegata la documentazione non anteriormente conosciuta dal contribuente, al pari delle altre norme che prevedono analoghe ipotesi di nullità degli atti tributari nelle diverse discipline d’imposta, non è direttamente applicabile il regime normativo di diritto sostanziale e processuale dei vizi di nullità” dell’atto amministrativo che hanno trovato riconoscimento positivo nella L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e sistemazione processuale nel D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 31, comma 4, (CPA) nell’autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta a termine di decadenza, e nella attribuzione dei potere di rilevazione “ex officio” da parte del Giudice amministrativo atteso che l’ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo con il quale è in rapporto di species ad genus”, potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando alla generale estensione del regime normativo di diritto amministrativo, la scelta operata dal Legislatore, nella sua piena discrezionalità politica di ricomprendere nella categoria unitaria della “nullità tributaria” indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 in difetto del quale il provvedimento tributario – pure se l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta. Consegue che si pone in oggettivo conflitto con il sistema normativo tributario l’affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo affetto da “nullità”, tale vizio possa comunque essere fatto valere per la prima volta dal contribuente con la impugnazione dell’atto consequenziale, ovvero che, emergendo il vizio degli stessi atti processuali, possa comunque, essere rilevato di potere” (cfr. la sentenza n. 18408 del 18 settembre 2015)” (Cfr. Cass., V, n. 361/2016).

4. In ogni caso, il motivo è anche infondato. Infatti “…dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, ha avuto modo di affermare sul tema (sez V n. 22810 del 2015) che colui che firma l’accertamento non deve essere necessariamente un “dirigente”, ma un appartenente alla “carriera direttiva”. Il concetto è stato ribadito ancora di recente da sez. V n. 5177 del 2020, secondo cui: In tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012" (Cass., V, n. 339/2021).

Il motivo va pertanto dichiarato inammissibile.

5. Con la seconda doglianza la ricorrente prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

5.1 Afferma infatti che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi su un punto decisivo della controversia, ossia sulla circostanza che la ricorrente era mera socia accomandante della società World Trading service s.a.s., mentre suo socio accomandatario era il sig. S.G.. Soggiunge che le operazioni contestate dalla Guardia di finanza erano inesistenti e che esse erano state compiute dal socio accomandatario, per tale motivo destinatario anche di una sua denuncia-querela, al solo scopo di far conseguire al medesimo amministratore degli indebiti benefici economici. Conclude censurando l’illegittimità dell’atto impositivo, che si porrebbe anche in contrasto con il principio della capacità contributiva, tenuto conto che le contestate operazioni erano inesistenti, con conseguente mancato maggior reddito percepito.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

6. Primieramente occorre richiamare l’orientamento ormai consolidato di questa Corte secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto” ma un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152).

6.1 Ne consegue che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 può riguardare soltanto l’omesso esame di un fatto (non di un documento o di un atto), che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia (Cfr. Cass., V, n. 22361 del 2019, Cass., V, n. 16703 del 25/06/2018).

6.2 Nel caso in commento, la censura sconta un duplice profilo di inammissibilità perché, da un lato, sottende la richiesta, rivolta a questa Corte, di una nuova valutazione delle prove, ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito ed inammissibile in sede di legittimità, dall’altro le argomentazioni della ricorrente sono in ogni caso lacunose rispetto al profilo “decisivo” delle argomentazioni offerte.

6.3 A margine, poi, la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità svolta dal patrono erariale in violazione del principio della c.d. “doppia conforme”, superabile solo previa indicazione delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass., V, n. 16868/2021; Cass., VI, n. 29715 del 2018).

7. Fermo quanto sopra, la censura sconta anche un evidente profilo d’infondatezza giacché la CTR, ancorché con motivazione sintetica, ha comunque dato atto di aver vagliato la censura sottoposta al suo scrutinio dalla contribuente, ma di averla ritenuta infondata di tal via confermando la decisione di prime cure.

7.1 Un tanto risulta sia dalla sintesi del giudizio di primo grado, ove il Collegio richiama le contestazioni della contribuente in merito all’utilizzo della società World Trading service s.a.s. come mero schermo societario ad opera del socio e con esclusione di ogni suo apporto operativo, sia nella parte in diritto, in cui il Collegio d’appello respinge la tesi della contribuente affermando che le contestazioni mosse non sono “tali da escludere l’attribuzione alla stessa della quota di partecipazione spettante, in base ai maggiori utili societari, scaturiti dall’attività di accertamento”. La CTR ha poi rimarcato l’autonomia del processo tributario dalle altre forme di tutela, evidenziando come in dette diverse sedi la contribuente avrebbe potuto ottenere i suoi ambiti riconoscimenti.

Anche il secondo motivo va dichiarato pertanto inammissibile.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro seimila/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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