LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11961-2020 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato LELIO MARITATO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati EMANUELE DE ROSE, ANTONIETTA CORETTI, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO;
– ricorrente –
contro
B.F.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 275/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato insussistente l’obbligo dell’ingegnere B., non iscritto alla Cassa professionale di riferimento, di iscrizione alla gestione separata INPS di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, e di pagamento dei contributi relativi dovuti per l’anno 2009, richiesti dall’INPS con avviso di addebito;
in particolare, ritenuta l’attività non abituale e rilevato che l’ingegnere aveva prodotto nel 2009 redditi inferiori ad Euro 5.000 (soglia rilevante ex D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2 convertito con modificazioni in L. n. 326 del 2003), la corte territoriale ha escluso l’obbligo di iscrizione e di pagamento dei contributi richiesti;
avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un motivo, l’ingegnere B. non ha svolto attività difensiva;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza non partecipata.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo si deduce violazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi da 26 a 31, D.L. n. 98 del 2011, art. 18, convertito in L. n. 111 del 2011, L. n. 247 del 2010, art. 21, comma 8, D.L. n. 269 del 2003, art. 40, e art. 44, comma 2, convertito in L. n. 326 del 2003, per avere trascurato che avvocato era iscritto all’albo e titolare di partita IVA;
il motivo è infondato, dovendosi dare continuità all’orientamento ormai consolidato di questa Corte di cassazione (vd. ex plurimis Cass. n. 10267 del 2021); va premesso che, ricostruendo la portata precettiva della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, per come autenticamente interpretato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, (conv. con L. n. 111 del 2011), questa Corte, sulla scorta di Cass. S.U. n. 3240 del 2010, ha avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall’esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la soglia monetaria indicata nel D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. con L. n. 326 del 2003) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente, Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. n. 519 del 2019, Cass. n. 317 del 2020 e Cass. n. 1827 del 2020, Cass. n. 477 del 2021 e Cass. n. 478 del 2021);
trattasi di affermazione che discende agevolmente dalla lettura del combinato disposto della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, e del D.L. n. 269 del 2003, art. 44 entrambi cit., il primo dei quali, per quanto qui rileva, prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione a carico dei “soggetti che esercitino, per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, e successive modificazioni ed integrazioni”, mentre il secondo, a decorrere dal 1 gennaio 2004, estende tale obbligo anche ai “soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale (…) solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad Euro 5.000”;
nell’intento del legislatore, reso palese dalla lettera delle disposizioni citate, l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata, infatti, all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità;
dirimente e’, insomma, il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno;
una volta chiarito che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto di fatto, ben può la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a Euro 5.000,00 rilevare quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità (fermo restando che l’abitualità di cui si discute dev’essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 44 cit.), che invece, come detto, rileva ai fini dell’assoggettamento a contribuzione di attività libero-professionali svolte in forma occasionale;
non si tratta che di un ragionamento presuntivo mediante il quale si utilizzano circostanze note per risalire ad un fatto ignoto. Ed è appena il caso di soggiungere che, sebbene l’Istituto ricorrente abbia lamentato che, nel caso di specie, non sarebbero state adeguatamente valorizzate la Corte di merito, in difetto di prova – di cui era onerato l’INPS – di abitualità dell’attività, ha accertato nel caso che l’attività svolta dal professionista era occasionale e produttiva di reddito modesto, inferiore al limite;
a fronte di tale accertamento, la mera iscrizione all’albo o la titolarità di partita IVA non sono elementi sufficienti a dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale, trattandosi per converso – come accertato dalla corte territoriale – di modesta attività non esorbitante dall’o ccasionalità;
non si deve provvedere sulle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022