Danno causato dai dipendenti della Pa, azione della Pa per la restituzione di somme, giurisdizione del giudice amministrativo, giudizio promosso dinanzi alla Corte dei conti, violazione del principio del "ne bis in idem", esclusione

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.4871 del 15/02/2022

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Danno causato dai dipendenti della Pa, azione della Pa per la restituzione di somme, giurisdizione del giudice amministrativo, giudizio promosso dinanzi alla Corte dei conti, violazione del principio del "ne bis in idem", esclusione

La giurisdizione del giudice amministrativo, sulla domanda proposta dalla P.A. per la ripetizione delle somme indebitamente percepite dal dipendente pubblico per lo svolgimento di attività extraistituzionale non autorizzata dall'amministrazione di appartenenza, sussiste anche nel caso in cui sia stata contemporaneamente avviata l'azione di responsabilità erariale dinanzi alla Corte dei conti per i medesimi fatti materiali, attesa la assoluta autonomia tra le due azioni che, presentando presupposti diversi, avendo, la prima, una funzione riparatoria ed integralmente compensativa del danno e, la seconda, una funzione prevalentemente sanzionatoria, sono reciprocamente indipendenti, senza che possa prospettarsi una violazione del principio del "ne bis in idem".

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6424/2021 proposto da:

B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DOMENICO CHELINI 9, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI FERRARI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DI PISA, in persona del Rettore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato LAURA MARRAS, rappresentata e difesa dall’avvocato SANDRA BERNARDINI;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 1528/2017 del TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE di FIRENZE.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/12/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, il quale chiede che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, in Camera di consiglio, respinga il regolamento di giurisdizione proposto, e dichiari la giurisdizione del Giudice amministrativo.

RITENUTO

1. B.P. ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione premettendo quanto segue.

2. Esso ricorrente veniva nominato professore associato c.d. straordinario, con decorrenza 1 luglio 2006, ssd MED/18 “chirurgia generale”, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, denominata UNIPI. Tale nomina veniva confermata nel 2009. In data 4 gennaio 2000 stipulava con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con qualifica di dirigente medico di primo livello, attivando l’esercizio di attività intramuraria a decorrere dal mese di settembre 2000.

A seguito di esposto. che l’Azienda segnalava all’Autorità giudiziaria, e che era relativo al presunto svolgimento di attività professionale in violazione del regime di intramoenia. l’Autorità giudiziaria avviava le indagini e procedeva ad informazione di garanzia.

All’esito del giudizio penale di primo grado, con sentenza n. 206 del 2011. il Tribunale di Pisa lo condannava, alla pena di tre anni di reclusione per il reato di peculato in aggiunta alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.

L’Università di Pisa, ai sensi della L. n. 97 del 2001, art. 4, con decreto rettorale del 18 luglio 2011, disponeva la sospensione in via cautelare dal servizio del professor B. con decorrenza dal 1 agosto 2011.

Successivamente, a seguito della riqualificazione del reato in termini di abuso di ufficio e non di peculato da parte della Corte di cassazione con sentenza di annullamento con rinvio, la Corte di Appello di Firenze con la sentenza n. 1786 del 2016 derubricava il reato di peculato in quello di abuso d’ufficio e ne dichiarava l’estinzione per avvenuta prescrizione. Il proscioglimento determinava l’immediata caducazione dei provvedimenti di sospensione.

Con decreto rettoriale del 26 luglio 2016, il B. veniva riammesso in servizio presso l’Università con decorrenza 1 agosto 2016.

Tale provvedimento veniva trasmesso al Direttore generale dell’AOUP. L’Azienda comunicava che il B. non sarebbe stato rimesso in servizio a svolgere attività assistenziale.

Il procedimento dinanzi la Corte di cassazione si concludeva con la sentenza n. 13073 del 2018 che dichiarava estinto il reato alla data del 31 dicembre 2008, e poiché la sentenza di primo grado era intervenuta successivamente, nel 2011, annullava senza rinvio la sentenza di appello limitatamente alla conferma delle statuizioni civili contenute.

3. Il B., con ricorso notificato il 14 novembre 2017, conveniva in giudizio l’Università dinanzi al TAR Toscana perché fosse accertato il proprio diritto a percepire a titolo di restitutio in integrum il trattamento retributivo non corrisposto dall’Università di Pisa per i periodi dal 1 agosto 2011 al 10 agosto 2016, e la condanna dell’Università al pagamento del relativo importo oltre interessi e rivalutazione monetaria, regolarizzazione contributiva ai fini pensionistici e previdenziali.

Si costituiva in giudizio l’Università di Pisa che chiedeva il rigetto del ricorso e spiegava domanda riconvenzionale chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’illegittimità della condotta del B. durante il periodo di sospensione obbligatoria per avere svolto attività libero professionale incompatibile, in conflitto interessi con il datore di lavoro, e comunque non autorizzata.

L’Università chiedeva quindi la condanna del B. al rimborso integrale in proprio favore di quanto percepito a titolo di assegno alimentare durante detto periodo oltre interessi legali.

In via subordinata chiedeva la condanna del B. a rifondere all’Università la differenza tra l’assegno alimentare percepito a tempo pieno e quello calcolato invece sulla retribuzione per un rapporto a tempo definito.

In ogni caso la condanna a rifondere all’Università, datore di lavoro pubblico, le somme indebitamente incassate come compenso di attività svolte all’esterno durante il periodo di sospensione, come quantificate in esito all’istruttoria.

Il ricorrente, con memoria difensiva sollevava eccezione di difetto di giurisdizione del TAR in favore della Corte dei Conti.

4. La Corte dei conti, alla quale l’Università aveva segnalato l’esistenza di un processo penale, comunicava invito a dedurre in data 6 luglio 2020. Con successivo atto di citazione in data 11 dicembre 2020 il Procuratore regionale invitava il B. davanti alla Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Toscana, per il depauperamento dell’erario.

5. Il B. ha, quindi, proposto l’odierno regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio incardinato dinanzi al TAR Toscana, deducendo la sussistenza della giurisdizione del giudice contabile, dove è stata incardinata l’azione di responsabilità.

6. A fondamento del ricorso, con articolate deduzioni assume, in particolare, che le condotte a lui addebitate, e poste a base della domanda riconvenzionale dell’Azienda, integrano un’ipotesi di responsabilità amministrativa, ex art. 28 Cost., cui è stata data attuazione con il D.P.R. n. 3 del 1957, e oggi, con il D.Lgs. n. 174 del 2016, complesso normativo che individua nella Corte dei Conti il giudice naturale degli interessi pubblici alla buona gestione delle risorse.

Osserva che della responsabilità contabile ricorrono tutti gli elementi tipici, ossia: il rapporto di impiego e di servizio che lega l’autore dell’illecito all’amministrazione che risente dell’illecito; la violazione di obblighi strumentali al corretto esercizio delle funzioni istituzionali, quali quelli imposti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7; l’evento lesivo, costituito dall’illegittimo sacrificio di un bene pubblico della Pubblica amministrazione, costituito, nella specie, da un lato, nel danno dell’azienda ospedaliera, da sviamento dei pazienti e all’immagine dell’azienda, dall’altro, nel mancato riversamento dei compensi indebitamente ricevuti ex art. 53 D.Lgs. cit..

Rileva che, con riguardo a quest’ultima ipotesi, della L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 42, nell’inserire del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7 bis, ha espressamente previsto la giurisdizione del giudice contabile, avendo disposto che “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti”.

Prospetta l’irrilevanza che una piccola parte della condotta risalga ad un periodo precedente all’introduzione, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, del comma 7 bis cit., dovendo trovare applicazione l’art. 5, c.p.c., e il principio della perpetuatio iurisdictionis, con la conseguenza che la regola di giurisdizione imposta dal citato comma 7-bis deve applicarsi anche alla fattispecie in esame, in quanto legge vigente al momento della proposizione della domanda giudiziale.

Sostiene poi che, con riguardo all’ipotesi disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 7 e 7 bis, deve ritenersi prevalente l’indirizzo segnato da Cass., S.U., n. 22688 del 2011, secondo cui l’omesso versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale, soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti.

7. Il Procuratore Generale ha concluso perché venga dichiarata la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

8. Sia il B. che l’Amministrazione hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

1. Conformemente alle conclusioni del Procuratore Generale, va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.

2. Occorre premettere che l’Amministrazione, costituitasi nel giudizio incardinato dal B. dinanzi al TAR, ha proposto domanda riconvenzionale per l’accertamento dello svolgimento di attività non autorizzata in un regime di tempo pieno, e per la restituzione o riduzione dell’assegno di mantenimento e comunque per il versamento delle somme percepite per le attività non autorizzate.

La Corte dei Conti, con invito a dedurre del 6 luglio 2020, ha incardinato il giudizio per depauperamento dell’erario da omesso versamento introiti da attività extraistituzionali svolte senza autorizzazione.

3. Va anche rilevato che il B. nel ricorso deduce di aver proposto regolamento preventivo di giurisdizione rispetto all’Azienda Ospedaliera in relazione al giudizio che aveva incardinato dinanzi al Tribunale ordinario, con analogo tenore di quello proposto dinanzi al TAR, e nel quale l’Azienda aveva formulato analoga domanda riconvenzionale.

La questione è stata decisa con l’affermazione della giurisdizione ordinaria, in ragione dell’autonomia dei giudizi, da Cass., S.U. n. 16722 del 2020, su conforme parere del P.G.

4. Tanto premesso va esaminata la disciplina normativa che regola la fattispecie e la giurisprudenza intervenuta in ordine alla stessa.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, prevede al comma 7 che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Il comma 7-bis, introdotto dalla L. n. 190 del 2012, ha stabilito che l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti. Come la giurisprudenza di legittimità ha precisato (Cass., S.U., n. 4852 del 2021), l’azione promossa dal Procuratore della Corte dei Conti nei confronti di dipendente della pubblica amministrazione, del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 53, comma 7, che abbia omesso di versare alla propria Amministrazione i corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato, rimane attratta alla giurisdizione del giudice contabile, anche se la percezione dei compensi si è avuta in epoca precedente all’introduzione del medesimo art. 53, comma 1 bis, norma che non ha portata innovativa.

5. In ragione dei principi già enunciati da questa Corte e da ultimo riaffermati dalla citata ordinanza S.U. n. 16722 del 2020, ai quali si intende dare continuità, va ribadita l’autonomia del giudizio amministrativo contabile. e quindi dell’azione di responsabilità esercitata dal Procuratore presso la Corte dei Conti, rispetto ai giudizi civili, amministrativi e disciplinari che possono intercorrere tra i soggetti passivi dell’azione contabile ed i soggetti danneggiati e che l’amministrazione può promuovere anche nei confronti di terzi ad essa estranei, autori del danno, per farne valere la responsabilità anche solidale (citata, Cass., S.U., 16722 del 2020 e la giurisprudenza di legittimità nella stessa richiamata, Cass., S.U., n. 20701 del 2013); con l’unico limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, che impone di tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in sede contabile, che il debitore potrà far valere, se del caso, anche in fase di esecuzione” (Cass. S.U., n. 14632 del 2015, n. 32929 del 2018).

L’assoluta autonomia dei giudizi è stata consacrata anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 104 del 1989, seguita dalla sentenza n. 1 del 2007. Nel giudizio contabile, invero, il Procuratore generale della Corte dei Conti agisce quale pubblico ministero portatore di obiettivi interessi di giustizia nell’esercizio di una funzione neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi, rappresentando un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati, non l’interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure convergenti con il primo (Corte Cost. n. 104 del 1989, n. I del 2007, n. 291 del 2008).

Tale azione, a carattere necessario, non potrebbe mai essere condizionata, in senso positivo o negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate, le quali ben possono promuovere dinanzi al giudice ordinario l’azione civilistica di responsabilità a titolo risarcitorio, facendo valere il proprio interesse particolare e concreto, non essendo neppure in astratto ipotizzabile che detti soggetti non possano agire in sede giurisdizionale a tutela dei propri diritti e interessi (artt. 3 e 24 Cost.), tanto più in mancanza di specifiche norme derogatorie.

Ne’ può farsi valere, per impedire all’amministrazione creditrice di agire davanti al giudice ordinario o amministrativo, la disposizione di cui al R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 52 (estesa dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, ai dipendenti e amministratori degli enti locali), che assoggetta alla giurisdizione contabile i funzionari e impiegati pubblici autori per colpa di danno allo Stato e ad altra amministrazione, essendo detta giurisdizione ammessa dall’art. 52, pur sempre “nei casi e modi previsti dalla legge”. L’autonomia tra le due azioni emerge evidente anche se si guarda alle rispettive finalità: l’azione contabile ha una funzione prevalentemente sanzionatoria (Cass., S.U., n. 20075 del 2013 e n. 5756 del 2012) e si caratterizza per una “combinazione di elementi restitutori e di deterrenza” (cfr. Corte Cost., n. 371 del 1998 e Corte Cost. n. 453 del 1998); non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell’amministratore o dall’omesso controllo del vigilante; solo in determinati casi (a differenza dell’azione civile in cui il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi) è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; richiede (a differenza dell’azione civile per la quale è sufficiente la sola colpa) il dolo o la colpa grave; diversamente, l’azione civile o penale proposta dalle amministrazioni interessate è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola amministrazione attrice. In altri termini, le due azioni restano reciprocamente indipendenti, anche quando investono i medesimi fatti materiali (citata Cass., S.U., n. 16722 del 2020, n. 664 del 1989, n. 11 del 2012), declinandosi il rapporto tra le stesse in termini di alternatività e non già di esclusività (Cass., S.U., n. 27092 del 2009).

La diversità di funzione e di presupposti delle due azioni esclude così che possa prospettarsi una violazione del principio del ne bis in idem (Cass., S.U., n. 21742 del 2019, n. 32929 del 2018), anche alla stregua della giurisprudenza della Corte EDU a mente della quale il principio deve ritenersi violato solo ove l’ordinamento assoggetti la medesima condotta ad una pluralità di giudizi di responsabilità distinti unicamente sotto il profilo della sanzione e non anche quanto ai relativi presupposti (cfr. Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia).

6. Pertanto, nella fattispecie in esame, pur pendendo anche il giudizio contabile, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, dinanzi al quale le parti vanno rimesse anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo dinanzi al quale rimette le parti anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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