Ratifica di un atto, forma per iscritto, citazione notificata alla controparte e sottoscritta

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.4938 del 15/02/2022

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Ratifica di un atto, forma per iscritto, citazione notificata alla controparte e sottoscritta

Quando la ratifica di un atto debba essere fatta per iscritto, tale atto può essere costituito dalla citazione, notificata alla controparte e sottoscritta dalla parte o da chi per procura ad litem la rappresenti, con la quale si chieda l’esecuzione del contratto medesimo.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al NRG 4411-2017 proposto da:

CO.VE.C. s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avvocato Mariano Giuliano, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Emanuele Tomassi, in Roma, via dei Quinzi, n. 5;

– ricorrente –

contro

A.F., e C.M.A.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2877/2016 pubblicata il 7 luglio 2016;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 febbraio 2022 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pepe Alessandro, che ha chiesto che la Corte respinga il ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – A.F. e C.M.A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, la società Co.Ve.C. a r.l., formulando – previo accertamento dell’integrale pagamento da parte loro del corrispettivo pattuito per l’acquisto di due ville a schiera contigue, in corso di realizzazione in *****, e stante il rifiuto di Co.Ve.C. a stipulare il contratto definitivo di compravendita – domanda ai sensi dell’art. 2932 c.c., con contestuale riduzione del prezzo, tenuto conto del mancato completamento degli immobili, dei vizi, della mancanza del certificato di agibilità e delle certificazioni di legge e delle spese sostenute; chiedevano, altresì, la condanna della società convenuta, in considerazione del ritardo nella ultimazione delle unità immobiliari, alla corresponsione della penale pattuita per ogni giorno di ritardo.

Si costituiva la società convenuta, la quale resisteva e, in via riconvenzionale condizionata, chiedeva di subordinare l’eventuale trascrizione della sentenza costitutiva al pagamento, da parte degli attori, della somma di Euro 59.800, a titolo di opere extra capitolato.

2. – Con sentenza n. 190/2013, depositata in data 12 luglio 2013, il Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, in accoglimento della domanda di riduzione del prezzo, condannava la Co.Ve.C. s.r.l. alla restituzione in favore degli attori della somma di Euro 171.806, oltre interessi; accertata la corresponsione dell’intero prezzo, dichiarava, ai sensi dell’art. 2932 c.c., l’avvenuto trasferimento in favore degli attori della proprietà delle unità immobiliari oggetto di causa e condannava la convenuta al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 309 giornaliere, a titolo di penale, a decorrere dal 31 marzo 2009 fino alla data di effettivo trasferimento della proprietà degli immobili, nonché alla rifusione delle spese di lite.

3. – Con sentenza n. 2877/2016, pubblicata il 7 luglio 2016, la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla società Co.Ve.C., ha dichiarato che nulla è dovuto dalla promittente venditrice a titolo di penale, mentre ha confermato nel resto la sentenza impugnata e ha regolato le spese del doppio grado.

3.1. – Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale ha disatteso la censura con cui si deduceva l’invalidità del contratto, concluso dal rappresentante senza poteri A.G., e ha rilevato che correttamente il Tribunale aveva ritenuto, da un lato, intervenuta la ratifica da parte di A.F. a mezzo della procura alle liti in favore del proprio difensore, e, dall’altro, che al contratto in oggetto era stata data esecuzione, con il pagamento del dovuto, senza che mai alcuna eccezione venisse sollevata dalla stessa società appellante.

La Corte d’appello ha in proposito rilevato che, se è indubbio che la forma della ratifica deve essere scritta, tuttavia il suo contenuto può desumersi implicitamente, come nella specie avvenuto proprio con il rilascio della procura alle liti.

Richiamato il principio secondo cui il promissario acquirente può agire, sulla base del contratto preliminare non adempiuto, cumulativamente con l’azione ex art. 2932 c.c. e con l’azione quanti minoris per la diminuzione del prezzo, in presenza di vizi e difetti dell’immobile, la Corte d’appello, quanto ai vizi riscontrati e alla completezza o meno delle opere extra capitolato, ha condiviso le valutazioni compiute dal consulente tecnico d’ufficio.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la società Co.Ve.C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 7 febbraio 2017, sulla base di tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

5. – Fissato all’udienza pubblica del 2 febbraio 2022, il ricorso è stato tuttavia trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e del difensore della parte, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso venga respinto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; violazione di legge; artt. 1218,1227,1175,1375 c.c.; artt. 112,113,115,116 c.p.c.; artt. 651,652 e 75 c.p.p.; artt. 2697,2727,2729 c.c.; art. 2 Cost.; mancata valutazione probatoria, anche per via presuntiva, circa un fatto decisivo per il giudizio) la ricorrente sostiene di essersi doluta in appello della condotta anomala tenuta dal figlio dell’ A. e della C., il quale, oltre a impegnarsi contrattualmente per conto dei genitori, presenziava costantemente sul cantiere, imponendo (anche con comportamenti prevaricatori, violenza e minaccia) ditte subappaltatrici e linee guida nell’esecuzione dei lavori (ed anche di nuovi e non contrattualmente previsti), sovraintendendo, finanche, alla stipula notarile ed impedendo l’adempimento del rogito. A fronte di tali questioni inerenti alla valutazione della condotta del figlio-procuratore, il primo giudice, da un lato non avrebbe esaminato la questione, non assumendo alcuna prova al riguardo, dall’altro avrebbe considerato tali assunti necessitanti di essere valutati in altra sede (cioè dinanzi al giudice penale). Ad avviso della società ricorrente, il giudice civile, chiamato a stabilire la condotta inadempiente ex art. 1218 c.c., avrebbe dovuto procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e delle responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale. Si afferma: (a) che, per le ipotesi di inadempimento, il fatto colposo del danneggiato idoneo a diminuire (o ad escludere) l’entità del risarcimento, comprende qualsiasi condotta negligente ed imprudente che costituisca causa concorrente dell’evento; (b) che l’inesistenza di una pronuncia del giudice penale non costituisce impedimento all’accertamento, da parte del giudice civile, della sussistenza degli elementi costitutivi del reato; (c) che il giudice civile è tenuto ad accertare e valutare tali fatti senza poter rinviare ad altro giudice o ad altra giurisdizione. Rimarrebbe il fatto della inconciliabilità logica e giuridica tra l’esclusione del pagamento della penale e l’accertato ed imputato inadempimento posto a presupposto delle accolte domande attoree relative a vizi di costruzione. La ricorrente richiama tutte le argomentazioni sull’imputabilità dell’inadempimento collegate proprio con la condotta riprovevole del figlio che, onnipresente nella gestione degli affari di famiglia, con la propria condotta aggressiva avrebbe impedito il rogito notarile.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Dal testo della sentenza impugnata risulta quanto segue:

che la società Co.Ve.C., costituendosi in primo grado, assumeva che il contratto preliminare inter partes era privo di effetti in quanto stipulato dal figlio degli attori, privo di apposita procura; che il termine di consegna non sarebbe stato rispettato per le continue richieste di opere extra capitolato da parte degli attori; che il rifiuto a stipulare il contratto definitivo era dipeso dall’inadempimento degli stessi attori a versare le somme dovute per i lavori extra capitolato;

che, impugnando la sentenza di primo grado con l’atto di appello, la società ha articolato due motivi di gravame con i quali, per un verso, ha censurato l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto intervenuta una ratifica del contratto preliminare in oggetto mediante la procura alle liti rilasciata da A.F., e, per l’altro verso, ha lamentato che il primo giudice abbia disposto il trasferimento coattivo della proprietà degli immobili, ai sensi dell’art. 2932 c.c., procedendo altresì ad una consistente riduzione del prezzo sulla base dei vizi accertati e riscontrati dal c.t.u. (deducendosi che, sulla base degli accordi integrativi sulle opere extra e sul completamento dei villini, intervenuti tra le parti, doveva ritenersi che gli attori non avessero corrisposto le somme dovute).

In nessun punto della sentenza della Corte d’appello, impugnata con il ricorso per cassazione, risulta che sia entrato nella materia del contendere devoluta al giudice del gravame il profilo della imputabilità dell’inadempimento collegato alla condotta assuntivamente prevaricatrice di A.G., figlio dei promissari acquirenti.

Con il motivo di ricorso, e con l’esposizione dei fatti di causa che ne costituisce la premessa e la cornice, la società ricorrente rappresenta che A.G. continuamente accedeva sul cantiere ed interferiva nell’esecuzione dei lavori; aggrediva, alla presenza del notaio e della di lui collaboratrice, l’amministratore della Co.Ve.C. causandogli lesioni, non ritenendo, l’ A., di corrispondere l’intero prezzo pattuito con la scrittura del 2 dicembre 2008 riguardante le opere integrative extra contratto; e teneva una condotta caratterizzata da continue ingerenze, pressioni e minacce, culminate in un episodio di lesioni che si sarebbe verificato il *****.

Ora, la ricorrente deduce bensì, a pagina 4 del ricorso, che il giudice di primo grado, dopo aver valutato (ma solo incidentalmente) la condotta di A.G. come riprovevole, avrebbe poi affermato che tale condotta dovrà essere eventualmente valutata in altra sede, non influendo sul giudizio presente e non cambiando i termini della questione in ordine al mancato rispetto dei termini di consegna dell’immobile, ai gravi vizi, ai difetti e alle manchevolezze accertate in sede di c.t.u.; ma non riporta, specificamente, in seno al ricorso per cassazione, il motivo di appello con cui avrebbe censurato l’errore del Tribunale nel non avere considerato rilevante, ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento, la condotta tenuta da A.G..

Con il motivo di ricorso, a pagina 6, si deduce che con l’atto di appello ci si doleva della condotta anomala tenuta dal figlio degli attori, ma – omettendo di compiutamente riportare il motivo di appello – non si deduce, specificamente, come l’ipotizzato errore della sentenza di primo grado sia stato censurato in sede di gravame, limitandosi la ricorrente a rinviare agli atti della precedente fase del processo (Cass., Sez. II, 20 agosto 2015, n. 17049).

Di qui l’inammissibilità del motivo, esattamente evidenziata dal pubblico ministero.

Ed invero, non essendo la censura sulla rilevanza ai fini della imputabilità dell’inadempimento della condotta anomala tenuta dal figlio dei promissari acquirenti esposta nella sentenza di secondo grado, era onere della ricorrente compiutamente riportarla nel ricorso, onde consentire alla Corte, da un lato, di verificare che la questione prospettata non fosse nuova e – come tale – inammissibile, dall’altro di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

Non avendo la ricorrente assolto tale onere, in quanto – dalla lettura del ricorso – non è dato cogliere quale fosse il motivo di gravame formulato con l’atto di appello, la censura va ritenuta inammissibile.

Ne’, d’altra parte, sussiste la denunciata inconciliabilità logica e giuridica tra l’esclusione del pagamento della penale e l’accertato ed imputato inadempimento posto a presupposto delle accolte domande attoree relative ai vizi di costruzione.

Infatti, come si ricava dalla pagina 7 della sentenza impugnata, la penale è stata esclusa perché “nella scrittura in data 21 febbraio 2009, dove è prevista la suddetta penale, la stessa è collegata alla finitura e completamento dei lavori, con la data del 30 marzo 2009, mentre per l’altro immobile la data è collegata a quella del rogito, che però non risulta espressamente fissata ma se ne prevede la fissazione dopo alcuni adempimenti”. Il ragionamento seguito, al riguardo, dalla Corte distrettuale non è in contraddizione con quello a base delle altre statuizioni. In sostanza, la penale non è stata riconosciuta perché “da un lato non è previsto in modo chiaro a quale termine fare riferimento per valutare eventuali ritardi, non si comprende se alla consegna o all’effettivo trasferimento della proprietà, dall’altro quest’ultimo termine non risulta nemmeno espressamente e chiaramente indicato, sicché non può fondatamente parlarsi di ritardo”.

2. – Con il secondo motivo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.; violazione di legge; artt. 1398,1399,1343,1418,1421,1423,1175,1375,1322 c.c., comma 2, art. 406 c.c. ss. e art. 417 c.c. e ss.; artt. 112,113,115,116 c.p.c.; artt. 2697,2727,2729 c.c.; art. 2 Cost.; mancata valutazione probatoria, anche per via presuntiva, circa un fatto decisivo per il giudizio) la ricorrente, premessa la rilevazione officiosa delle nullità negoziali, sostiene che le condotte poste in essere dal figlio degli attori, consistite in plurimi impegni contrattuali senza spendita del nome dei titolari nonché in ripetute azioni di controllo ed esecuzione di attività materiale (sul cantiere), fino alla paralisi di attività giuridica in formazione, dovrebbero essere valutate dalla Corte in termini di abuso del diritto nonché di influenza coercitiva verso le stesse posizioni di fatto rappresentate (genitore con cecità). Nel caso di specie, ad avviso della società ricorrente, non si tratterebbe più di valutare se il genitore avesse ratificato l’acquisto posto in essere dal figlio, quanto di accertare la misura di invasività e di coercizione che il medesimo figlio abbia potuto avere nei confronti dello stesso genitore rappresentato. La nullità dell’atto andrebbe vista in relazione al momento antecedente alla ratifica, ossia in relazione al mancato controllo di tutte le operazioni postume alla vendita da parte del giudice tutelare, a cui sarebbe spettato di verificare anche l’attitudine del figlio ad amministrare, provvedendo, in caso contrario, a nominare idoneo amministratore di sostegno con capacità di procedere alla ratifica che, pertanto, sarebbe nulla perché posta in essere in violazione della normativa sull’amministrazione di sostegno che, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere attivata. Infine, a prescindere dalla rilevata nullità, la ricorrente sostiene che l’avvenuta ratifica del contratto da parte del rappresentato non potrebbe comunque legittimare la condotta tenuta dal falso procuratore nella fase antecedente, concomitante e successiva alla conclusione del contratto preliminare, con forte incidenza in tema di imputabilità della condotta ai fini della valutazione dell’inadempimento.

2.1. – La censura deve essere disattesa.

Dal testo della sentenza impugnata risulta che nel giudizio di merito la società Co.Ve.C. ha eccepito che il contratto preliminare di compravendita di beni immobili era privo di effetti in quanto stipulato dal figlio degli attori, che tuttavia era privo di apposita procura scritta.

Esaminando tale questione, posta con il primo motivo di gravame, la Corte d’appello ha condiviso la statuizione del Tribunale in punto di intervenuta ratifica a mezzo della procura alle liti rilasciata dallo pseudo rappresentato al proprio difensore per far valere l’esecuzione del contratto.

In sostanza, tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello hanno escluso l’inefficacia del contratto concluso in difetto di poteri rappresentativi dal figlio dei promissari acquirenti, rilevando che costoro, con il rilasciare procura alle liti al proprio difensore per agire in giudizio contro la società Co.Ve.C., chiedendo l’esecuzione in forma specifica del contratto stipulato in loro rappresentanza dal figlio ed invocando l’adempimento di detto contratto e delle scritture integrative, hanno ratificato l’operato del figlio, facendo venir meno il difetto di potere rappresentativo.

Così decidendo, il giudice del gravame si è attenuto al principio secondo cui quando la ratifica di un atto debba essere fatta per iscritto, tale atto può essere costituito dalla citazione, notificata alla controparte e sottoscritta dalla parte o da chi per procura ad litem la rappresenti, con la quale si chieda l’esecuzione del contratto medesimo (Cass., Sez. II, 6 gennaio 1981, n. 61; Cass., Sez. II, 21 ottobre 1991, n. 11123; Cass., Sez. II, 13 gennaio 1997, n. 249).

D’altra parte, la dichiarazione di ratifica di manifestazione di volontà, espressa dal rappresentante senza poteri, non deve necessariamente estrinsecarsi in maniera esplicita, ma può risultare anche per facta condudentia, ossia attraverso un comportamento del rappresentato dal quale sia chiaramente desumibile l’approvazione dell’operato di chi abbia assunto iniziative a suo nome pur in assenza dei relativi poteri di rappresentanza o comunque una volontà del dominus incompatibile con il rifiuto di tale operato; ciò vale anche per la dichiarazione di volontà da ratificare per la quale sia richiesto un atto scritto ad substantiam ove i facta concludentia dai quali desumere la ratifica rivestano tale forma e siano redatti per fini consequenziali alla stipulazione del negozio (Cass., Sez. II, 17 ottobre 2001, n. 12652).

Con il motivo di ricorso, la società ricorrente introduce un tema nuovo, la nullità negoziale discendente dall’asserito abuso del diritto perpetrato dal figlio in danno dei genitori. Accantonati “i profili formali della vicenda” e spostata l’attenzione sulle “verifiche sostanziali poste a tutela dello stesso soggetto ratificante affetto da cecità”, l’interrogativo che la Co.Ve.C. pone riguarda, non più il fatto se il genitore avesse ratificato l’acquisto posto in essere dal figlio, ma la necessità di “accertare la misura d’invasività e di coercizione che il medesimo figlio abbia potuto avere nei confronti dello stesso genitore rappresentato”.

Nella prospettiva della società ricorrente, la nullità del contratto discenderebbe dalla assenza del “controllo omologatorio” del giudice tutelare, al quale sarebbe spettato di verificare anche l’attitudine del figlio ad amministrare, provvedendo, in caso contrario, “a nominare idoneo amministratore di sostegno con capacità di procedere alla ratifica”, “nulla perché posta in essere in violazione-elusione della normativa sull’amministrazione di sostegno che, nel caso in esame, andava attivata”.

Il motivo – con cui si chiede di dichiarare la nullità della ratifica da parte del genitore non vedente per effetto della “scorribanda comportamentale da parte del figlio-procuratore”, che porrebbe un problema di “sconfinamento causale” e di “meritevolezza ordinamentale” dell’operazione negoziale – è inammissibile, in quanto ha ad oggetto una questione nuova che, non essendo stata dedotta nel giudizio di merito, non è introducibile nel giudizio di legittimità.

Invero, il principio della deducibilità e rilevabilità, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, della nullità del negozio giuridico (secondo la pronuncia n. 26242 del 12 dicembre 2014 delle Sezioni Unite di questa Corte) opera in sede di legittimità solo quando la nullità medesima derivi da elementi già acquisiti in causa e risultanti dalla sentenza impugnata, mentre resta preclusa la possibilità di dedurre per la prima volta con il ricorso per cassazione una ragione di nullità che implichi nuove indagini di fatto, non consentite in detta sede (Cass., Sez. I, 7 luglio 2017, n. 16848).

Di qui l’impossibilità di dare ingresso alla censura veicolata con il motivo, giacché dal testo della sentenza impugnata non risultano accertate né l’invasività coercitiva del figlio né la necessità per il genitore di ricorrere al “sottosistema normativo di protezione a base imperativa” dell’amministrazione di sostegno per ovviare ad una situazione di carenza di autonomia a causa di una condizione d’infermità, l’una e l’altra presupponendo nuove indagini di fatto non compiute nei precedenti gradi di merito.

3. – Con il terzo motivo (art. 360 c.p.c., n. 5; artt. 61, art. 116 c.p.c.; mancata valutazione probatoria circa un fatto decisivo per il giudizio) ci si duole del mancato esame delle risultanze della c.t.u. con riguardo ai vizi riscontrati dall’ausiliare del giudice.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Quanto alle contestazioni della c.t.u., la Corte d’appello le ha disattese con logico e motivato apprezzamento, rilevando che il consulente tecnico ha analizzato in modo puntuale gli immobili in questione descrivendo i singoli vizi riscontrati, la conformità o meno delle opere eseguite al capitolato e la completezza o meno delle opere extra capitolato, e determinando gli importi delle varie voci con una valutazione non personale ma aderente e corrispondente agli accertamenti compiuti e ai documenti contrattuali in atti.

In ordine, poi, alla contestazione circa il, denunciato in appello, vizio di extrapetizione, la Corte di Milano ha ritenuto infondata la censura, richiamando l’atto di citazione, dove si richiedeva, tra l’altro, la condanna al pagamento di “una somma non inferiore ad Euro 35.180,29 ovvero nella somma che sarà ritenuta in corso di causa all’esito dell’espletanda consulenza tecnica”.

Con la censura la ricorrente si duole:

che non siano stati evidenziati i vizi in eccesso riscontrati dalla c.t.u. rispetto a quelli introdotti con la domanda sostenuta nella sua consulenza da controparte;

che la sentenza di appello sia stata motivata per relationem alla pronuncia di primo grado affetta dal medesimo vizio; che non si sia acceduto alla richiesta di una nuova perizia, essendo quelli svolti accertamenti caratterizzati dalla manifesta sproporzione;

– del mancato esame delle risultanze della c.t.u.

La doglianza articolata con il motivo è generica.

Per un verso, essa enuncia la violazione degli artt. 61 e 116 c.p.c., ma non indica le ragioni di diritto del denunciato errore, perché omette di esaminare il contenuto precettivo delle norme richiamate e di confrontarlo con le affermazioni della sentenza impugnata ritenute erronee.

Per l’altro verso, la censura di mancata valutazione probatoria circa un fatto decisivo del giudizio, costituito dalla c.t.u., appare disallineata rispetto al reale senso complessivo del motivo, indirizzato a denunciare: (a) l’utilizzazione della c.t.u. come base di una condanna alla restituzione (per i riscontrati vizi) in eccesso rispetto alla quantificazione contenuta nella domanda; (b) la “manifesta sproporzione” dei vizi accertati dal c.t.u. o la loro erronea quantificazione.

Non è quindi un omesso esame della c.t.u. a venire in rilievo, quasi che il giudice del merito si fosse allontanato immotivatamente dagli esiti dell’accertamento peritale; quanto, piuttosto, (la denuncia di un) immotivato e acritico adagiarsi del giudice sulle risultanze della consulenza.

Ma anche sotto questo profilo il motivo non sfugge al rilievo di inammissibilità.

Da un lato, infatti, quanto ai vizi in eccesso, il motivo si limita ad una affermazione apodittica e non contiene alcuna comparazione specifica tra la stessa consulenza di parte attrice e il diverso computo risultante dalla c.t.u.

Dall’altro, il motivo contesta la manifesta sproporzione degli esiti peritali, ma non indica quali accertamenti eseguiti dal consulente sarebbero erronei e quali calcoli o quantificazioni inattendibili, né le ragioni del supposto errore o della prospettata inattendibilità.

Al riguardo, va ribadito che la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo nell’ambito dei vizi deducibili ai sensi dell’art. 360 c.p.c. (Cass., Sez. III, 13 luglio 2021, n. 19989).

In questo contesto, il motivo si risolve – come puntualmente colto dall’Ufficio del pubblico ministero – in una evidente censura alle valutazioni di merito compiute dalla Corte territoriale nell’esame della c.t.u., il che non può trovare spazio nell’ambito del sindacato di legittimità affidato alla Corte di cassazione.

4. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

5. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 2 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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