LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26369-2020 proposto da:
444 S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TINTORETTO 88, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MIANI, rappresentata e difesa dagli avvocati RICCARDO CONTE, FABRIZIO CONTE;
– ricorrente –
contro
AS CONSULTING S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso l’ordinanza n. 18036/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 28/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/01/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La 444 s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso articolato in un unico motivo per la revocazione dell’ordinanza n. 18036/2020 della Corte di cassazione, del 28 agosto 2020.
2. L’intimata A.S. Consulting s.r.l. in liquidazione non ha svolto attività difensive.
3. Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e dell’art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava che il ricorso non fosse inammissibile, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in Camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.
4. Questa Corte, con l’ordinanza n. 18036/2020 del 28 agosto 2020, dichiarò inammissibile il ricorso per cassazione formulato dalla 444 s.r.l. avverso la sentenza n. 1022/2016 del Tribunale di Pavia, la quale aveva respinto l’appello contro la sentenza n. 1130/2013 del Giudice di Pace di Pavia, reiettiva dell’opposizione al decreto ingiuntivo avanzata dalla medesima 444 s.r.l. Il decreto ingiuntivo n. ***** pronunciato dal Giudice di Pace di Pavia aveva ingiunto alla 444 s.r.l. il pagamento in favore di A.S. Consulting S.r.l. della somma di Euro 2.881,00 a fronte di prestazioni di tenuta della contabilità; l’opponente aveva peraltro avanzato domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno derivante dalla cattiva esecuzione dell’incarico professionale.
5. L’ordinanza n. 18036 del 2020, nel dichiarare inammissibile il ricorso, affermò che:
“Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 115,116 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, perché il Tribunale, nel fare riferimento alla motivazione già resa dal Giudice di Pace nella decisione appellata, avrebbe reso una motivazione apparente, in particolare omettendo di chiarire i motivi per cui sia il primo che il secondo giudice avevano ritenuto di non discostarsi dalle conclusioni della C.T.U. esperita in prime cure. La censura è inammissibile, dovendosi ribadire il principio per cui qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non occorre una specifica motivazione poiché l’accettazione del parere dell’ausiliario, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018, Rv.649560). (…) il ricorrente ha l’onere di indicare con precisione, nel motivo di ricorso, di aver tempestivamente dedotto le proprie osservazioni critiche alla C.T.U., dovendosi ribadire il principio per cui “Le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito” (…). Nel caso specifico, il motivo in esame non dà atto che la società ricorrente avesse censurato specificamente la C.T.U. già in prime cure: al contrario, l’odierna società ricorrente afferma testualmente di aver dedicato oltre 30 pagine dell’atto di appello alla censura dell’elaborato peritale (cfr. pagg.7 e 8 del ricorso), confermando in tal modo, indirettamente, di aver sollevato la censura in modo tardivo. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1175,1176 e 1460 c.c., in relazione all’art. 365 c.p.c. (recte, art. 360 c.p.c.) n. 3, perché il Tribunale avrebbe escluso l’inadempimento della A.S. Consulting S.r.l. valorizzando l’assenza di danni per la 444 S.r.l., non considerando che la domanda proposta da quest’ultima società non era di risarcimento del danno, ma di accertamento della non debenza della somma pretesa dal centro servizi a titolo di compenso per la prestazione resa in modo non corretto. La censura è inammissibile, in quanto la sentenza impugnata chiarisce che il contratto stipulato tra le parti prevedeva la sola obbligazione di A.S. Consulting S.r.l. di assicurare il “… mero inserimento dei dati contabili forniti dal cliente…” (cfr. pag.2) e valorizza la circostanza che “… la consulenza tecnica svolta in primo grado ha evidenziato la ricorrenza di alcune irregolarità formali (sporadiche) nel trattamento della “prima nota”. Dette irregolarità sono state in seguito corrette, come risulta dal bilancio depositato, e non hanno dato luogo a conseguenze negative per la società, non risultando state oggetto di specifiche contestazioni da parte della Guardia di Finanza, che ha avuto modo di verificare per ben altre ragioni la tenuta della contabilità della odierna appellante” (cfr. ancora pag.2). Tre, quindi, sono gli elementi enfatizzati dal giudice di merito, e precisamente: (a) il carattere marginale delle irregolarità meramente formali emerse; (b) la loro successiva regolarizzazione senza conseguenze negative per la 444 S.r.l.; (c) la mancanza di specifiche contestazioni da parte della Guardia di Finanza. Si tratta di motivazione relativa alla gravità dell’inadempimento lamentato dalla società odierna ricorrente, che rientra nell’ambito dell’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (…)”.
6. Il ricorso per revocazione denuncia l’errore di fatto – ex art. 391-bis c.p.c., e ex art. 395 c.p.c., n. 4 – in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte nel ritenere che l’oggetto dell’impugnazione della sentenza del Tribunale di Pavia concernesse “i motivi per cui sia il primo giudice (n.d.r.: il Giudice di Pace di Pavia) che il secondo giudice (n.d.r.: il Tribunale di Pavia) avevano ritenuto di non discostarsi dalle conclusioni della C.T.U. esperita in prime cure”. In realtà, osserva la ricorrente per revocazione, il motivo del ricorso per cassazione aveva contestato che il Tribunale non avesse motivato il rigetto dei motivi di appello avverso la sentenza del GdP, tra cui ve n’era uno con cui si contestava che il GdP si fosse discostato dalle risultanze della disposta CTU, senza alcuna spiegazione in merito. Secondo la ricorrente per revocazione, l’ordinanza n. 18036/2020 sarebbe incorsa in altro errore di fatto, avendo affermato che il primo motivo del ricorso per cassazione non avesse dato atto che la 444 s.r.l. aveva “censurato la C.T.U. già in prime cure”, avendo piuttosto indicato di aver dedicato a ciò oltre 30 pagine dell’atto di appello, così confermando la tardività di tali censure. Il ricorso per revocazione espone che la 444 s.r.l. non aveva mai formulato critiche alla CTU, giacché le conclusioni dell’elaborato peritale corroboravano le difese della ricorrente, e perciò l’atto di appello criticava non la CTU, ma la sentenza del giudice di pace che si era dalla consulenza immotivatamente distaccata.
In sostanza, il ricorso per revocazione allega errori compiuti nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, attesa l’esistenza di divergenti rappresentazioni dell’oggetto delle censure emergenti l’una dalla decisione revocanda e l’altra dagli atti di causa.
7. Il Collegio ritiene, tuttavia, che il ricorso per la revocazione dell’ordinanza n. 18036/2020 della Corte di cassazione del 28 agosto 2020 sia inammissibile, in quanto l’errore di fatto ipotizzato si rivela non essere essenziale né decisivo, nel senso che, pur in sua assenza, la decisione sul ricorso per cassazione non sarebbe stata diversa (Cass. Sez. 6 – 2, 10/06/2021, n. 16439; Cass. Sez. 2, 02/08/2019, n. 20856; Cass. Sez. 6, 17/05/2018, n. 12046; Cass. Sez. 1, 31/10/2017, n. 25871; Cass. Sez. L, 04/11/2015, n. 22520; Cass. Sez. L, 14/11/2014, n. 24334).
Il ricorso per cassazione avanzato dalla 444 s.r.l. avverso la sentenza n. 1022/2016 del Tribunale di Pavia, con cui era stato respinto l’appello contro la sentenza n. 1130/2013 del Giudice di Pace di Pavia, lamentava, nella sostanza, il buon diritto della società ricorrente di non pagare il corrispettivo preteso dalla A.S. Consulting S.r.l. perché la prestazione di tenuta della contabilità non era stata svolta correttamente, invocando a sostegno delle proprie allegazioni difensive le conclusioni della CTU.
Decidendo in particolare sul secondo motivo di ricorso, l’ordinanza revocanda ebbe però a scrivere, come già riportato, che la sentenza del Tribunale di Pavia aveva interpretato il contratto concluso fra le parti come limitato al “… mero inserimento dei dati contabili forniti dal cliente…” ed aveva recepito dalla CTU svolta in primo grado il dato che la prestazione resa dalla A.S. Consulting S.r.l. era stata affetta soltanto da “alcune irregolarità formali (sporadiche) nel trattamento della prima nota”, irregolarità, peraltro, in seguito corrette nel bilancio depositato e rimaste prive di conseguenze negative per la 444 s.r.l., anche in sede di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza.
Ed allora, il ricorso per revocazione contesta all’ordinanza n. 18036/2020 di non aver ben compreso che le censure della 444 s.r.l. erano rivolte non contro l’elaborato peritale, ma contro le sentenze di merito che non avevano mostrato adesione allo stesso. Sennonché, pur disvelato tale ipotizzato errore percettivo, ne rimane che l’ordinanza revocanda ha comunque altresì dato rilievo alla motivazione adoperata dal Tribunale di Pavia circa il contenuto del programma negoziale inter partes e circa la limitata portata delle negligenze contestate – sulla base di apprezzamento di merito che non è censurabile in sede di legittimità se non nei limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, arrivando a negare che sussistesse un inadempimento della A.S. Consulting S.r.l. nell’espletamento dell’attività professionale tale da abilitare la cliente 444 s.r.l. a rifiutare di corrispondere il compenso preteso, anche sulla base proprio dell’adesione critica prestata ad alcuni passaggi dell’espletata consulenza tecnica.
Questo ragionamento parimenti esplicitato nell’ordinanza n. 18036 del 2020 comporta il venir meno del requisito indispensabile della decisività dell’errore revocatorio, ossia dell’idoneità dello stesso a travolgere la ragione giuridica sulla quale si regge la decisione impugnata, che, ex art. 395 c.p.c., n. 4, è richiamato dall’art. 391-bis c.p.c., per la revocazione delle pronunce della Cassazione.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Non occorre regolare le spese processuali del giudizio di revocazione, perché l’intimata A.S. Consulting s.r.l. non ha svolto attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater, dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022
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